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Perchè No alla guerra in Libia, e alcune proposte costruttive

Diadmin

Mar 7, 2016

Noi rappresentanti di movimenti, associazioni e gruppi del mondo della pace e della nonviolenza siamo preoccupati delle pressioni esercitate sul nostro governo perché assuma un ruolo guida nell’intervento militare in Libia a fianco di altre potenze occidentali. Il Presidente del Consiglio ha detto che “non è in programma una missione militare italiana in Libia”. Ne prendiamo atto. Ma i problemi restano: – il contrasto all’espansione del terrorismo del sedicente Stato islamico; – una minaccia alla sicurezza del nostro paese; – la stabilizzazione della nazione nordafricana. La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo né tantomeno per portare stabilità alla Libia. Basterebbe guardare alla storia di questi ultimi anni per capire che gli interventi militari non hanno risolto i problemi, li hanno invece aggravati.

A partire dalla dissennata guerra lanciata dalla Nato nel 2011 contro il regime di Gheddafi che avrebbe dovuto inaugurare un’era nuova di pace e democrazia. Invece la Libia è precipitata nel caos e nella guerra intestina. Non solo. Quella guerra ha posto le basi per altri conflitti. È ormai risaputo e documentato che il saccheggio di vasti arsenali di armi del colonnello durante l’operazione della Nato ha alimentato la guerra civile in Siria, rafforzato gruppi terroristici e criminali dalla Nigeria al Sinai e destabilizzato il Mali.

Di fatto nessuno dei conflitti iniziati dal 1991 ad oggi – Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Siria – ha risolto i problemi sul campo, anzi sono tragicamente aggravati. Il fallimento di tali operazioni è sotto gli occhi di tutti: milioni di profughi abbandonati al loro destino che fuggono a causa delle nefaste conseguenze delle recenti guerre.

Oggi poi, un eventuale secondo intervento armato in Libia avrebbe gravi ripercussioni anche sulla vicina Tunisia che teme il debordare della crisi libica oltre i suoi confini, mettendo a repentaglio il suo fragile equilibrio politico e il faticoso cammino verso la democrazia avviato in questi ultimi anni.

Inutile e ovvio dire che saranno i civili a pagare il prezzo più alto di imprese militari, anche nel caso di attacchi effettuati dai droni. Per quanto si voglia far credere che la precisione di tale velivoli a pilotaggio remoto non causerà vittime tra la popolazione, i fatti dimostrano l’esatto contrario. Indagini condotte su una lunga serie di attacchi hanno messo in evidenza che per un terrorista colpito i droni uccidono altre trenta persone circa, tra cui donne e bambini.
Se un intervento armato di polizia internazionale in Libia ci dovrà essere, sarà da considerarsi come estrema ratio, fatta nell’ambito delle Nazioni Unite e in seguito alla esplicita richiesta del governo unitario libico. Senza la quale – ammoniscono le autorità del governo di Tripoli – “qualsiasi tipo di operazione militare si trasformerebbe da legittima battaglia contro il terrorismo a palese violazione della nostra sovranità nazionale”.

Va aggiunto che la lotta al terrorismo dello Stato Islamico non potrà mai essere vinta con un dispiegamento di forze militari. Anche la macchina bellica più potente è inefficace di fronte al fanatismo e alla capacità di mimetizzarsi dei terroristi in grado di colpire ovunque nel mondo cittadini inermi con attentati sanguinari. La nostra penisola è in una posizione particolarmente vulnerabile perché è la più esposta per la sua vicinanza geografica alle coste libiche.
Per i motivi esplicitati qui sopra, ci rivolgiamo al governo italiano perché assuma un ruolo guida per indicare alla comunità internazionale la ricerca paziente e perseverante di una soluzione politica alla grave crisi libica.

A tale scopo proponiamo con urgenza che l’Italia si impegni:
a ricostruire l’assetto statuale della Libia, sostenendo con la diplomazia e la politica l’iniziativa per un accordo tra le controparti e la formazione di un governo unitario tra i governi di Tobruk e di Tripoli;
a coinvolgere gli stati membri della Lega araba e dell’Unione africana anche al fine di bloccare i finanziamenti ai movimenti terroristici islamici che provengono da Arabia saudita e Qatar, dal commercio di petrolio e di droga;
a valorizzare la partecipazione della società civile della Libia nel processo di ricostruzione della loro nazione;
a garantire da parte dell’Europa l’apertura delle frontiere per accogliere e assistere i profughi, mettendo in campo un’operazione di salvataggio in mare.

Sulla base della nostra Carta costituzionale che sancisce che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» chiediamo al governo di adoperarsi con determinazione e concretamente al fine di promuovere e restituire pace e giustizia al popolo della Libia. Lavoro al quale partecipano da tempo schiere di cittadini che a vario titolo e in diverse organizzazione operano per la promozione della pace e della giustizia tramite l’educazione nelle scuole, con corsi di formazione alla nonviolenza attiva, con la disseminazione di informazione, con la ricerca, il monitoraggio e la denuncia di vendita illegale di armi e con una variegata gamma di iniziative e progetti.

Infine desideriamo rivolgere un appello a papa Francesco che negli anni del suo pontificato non si è stancato di dichiarare la propria ferma opposizione alla guerra. Che anche in questo caso levi la sua voce profetica per denunciare l’assurdità e l’immoralità di un intervento armato in Libia, sollecitando la comunità internazionale a cercare soluzioni pacifiche e giuste.

Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia
Mao Valpiana, direttore di Azione nonviolenta
Alex Zanotelli, direttore di Mosaico di Pace
Mario Menin, direttore di Missione Oggi
Filippo Rota Martir, direttore di Cem Mondialità
Marco Fratoddi, direttore di La nuova ecologia
Riccardo Bonacina, direttore di Vita
Pietro Raitano, direttore di Altreconomia
Claudio Paravati, direttore di Confronti
Michele Boato, direttore di Gaia
Pier Maria Mazzola e Marco Trovato direttori di Africa
Silvia Pochettino direttrice di Volontari per lo sviluppo
Redazione di Mondo e Missione
Antonio Vermigli, direttore di In dialogo
Luca Kocci, direttore di Adista
Luigi Anataloni, direttore di Missioni Consolata e segretario della Federazione Stampa Missionaria Italiana

Di admin

2 commenti su “Perchè No alla guerra in Libia, e alcune proposte costruttive”
  1. Notizia “fresca fresca”… il Sig. Franco Giorgi bloccato in Libia da circa un anno… dall’Europa non si esportano solo, evidentemente, “foreign fighters”. Il ruolo più importante dell’Italia, Paese da cui le armi “partono” troppo spesso per alimentare le guerre sparse nel mondo, dovrebbe e potrebbe essere quello di VIGILARE ATTENTAMENTE ED IMPEDIRE TALI TRAFFICI… che ne dite? Ma finché avremo “responsabili” che preferiranno fare finta di non vedere quello che risulta chiaro agli occhi di alcuni (dal nostro Governo, pur interpellato in merito, i chiarimenti sui cargo pieni di bombe partiti dall’aereoporto di Cagliari, ad esempio, “tardano” a venire… la notizia del piazzista italiano di cui sopra giunge dal Consiglio di Sicurezza ONU… non da nostrane fonti governative… un caso?) sarà difficile credere che ci siano reali finalità pacifiche a stimolo di qualsiasi tipo di azione intrapresa.

  2. Analisi perfetta e completa.
    I fatti di questi ultimi giorni a Sabrata evidenziano anche che i soggetti del disastro provocato dalla Francia e dall’Inghilterra sono molti di più di quelli che ci hanno raccontato fino ad oggi.
    Anche le nostre presunte conoscenze della realtà libica paiono quantomeno limitate.
    Incomplete.
    Ecco così che trattative e le attenzioni nei confronti dei due “governi” in competizione fra di loro, non sono ancora sufficienti.
    Esiste l’Isis che abbiamo chiaro sia “il nemico” ma esistono anche una serie di milizie che spesso, per farla breve, fanno capo solo ad un unico leader: il dio denaro.
    Tutte le altre motivazioni probabilmente sono solo di contorno.
    Agire anche su questi soggetti potrebbe essere, questo si, davvero propedeutico anche per premere con più efficacia verso Tripoli e Tobruk.

    Mentre la guerra la “ben-amata” guerra non farebbe altro che disseminare nuova morte ed alla fine di nuovo la necessità di ritrovarsi di nuovo a trattare e mediare.
    Allora perché non farlo adesso ma con più convinzione?

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