54 miliardi di euro di autorizzazioni e 36 miliardi controvalore per effettive consegne di sistemi d’arma, venduti a 123 paesi. Sono questi i dati diffusi oggi dalla Rete italiana per il Disarmo, in occasione del 25º anniversario di approvazione della Legge 185 che regolamenta l’export militare del nostro Paese. Il Parlamento votò in maniera definitiva il testo il 9 luglio del 1990, dopo anni di discussione stimolata soprattutto dalla campagna “Contro i mercanti di armi” promossa dalla società civile italiana.
“Le armi italiane uccidono in tutto il mondo”, cominciava così l’appello che diede vita alla mobilitazione “nata per contrastare i commerci di armi che vedevano il nostro Paese in prima fila, spesso nei traffici illeciti e clandestini – sottolinea Eugenio Melandri, uno dei coordinatori dell’azione che portò poi alla Legge 185 – Armamenti e mine, tante mine, che andavano anche a Paesi in guerra con una sorta di ecumenismo degli affari che permetteva di esportare armi a tutte le parti in conflitto”.
I principi della 185/90 prevedono il divieto di esportazione di armamenti verso: Paesi in stato di conflitto armato, Paesi la cui politica contrasti con l’articolo 11 della Costituzione italiana, Paesi sotto embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell’ONU o dell’UE, Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni sui diritti umani, Paesi che, ricevendo aiuti dall’Italia, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese. Vengono inoltre impedite le vendite di armi in contrasto con gli impegni internazionali dell’Italia, i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato e della lotta contro il terrorismo, il mantenimento di buone relazioni con altri Paesi e quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali (le cosiddette triangolazioni).
“Si tratta dunque di un testo di legge molto avanzato – sottolinea Maurizio Simoncelli vicepresidente dell’istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo – che ha costituito anche il modello di base per alcune regolamentazioni a livello internazionale e per lo stesso Trattato internazionale sul commercio di armi entrato in vigore la scorsa vigilia di Natale (e ratificato all’unanimità dal Parlamento italiano)”.
Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della Legge e il controllo, esercitato anche tramite una Relazione al Parlamento da parte del Governo, hanno permesso la diminuzione delle vendite verso Paesi con situazione problematica o in conflitto più o meno conclamato. Un trend che purtroppo si sta modificando in maniera netta negli ultimi anni. “I numeri non mentono – sottolinea Giorgio Beretta analista di OPAL Brescia – e se nel quinquennio 2005-2009 è stata l’Unione Europea ad essere l’area di maggior vendita delle armi italiane, in quello successivo il primato è invece andato al Medio Oriente e al Nord Africa. Regioni tra le più turbolente del globo”
A guidare la classifica dei paesi destinatari dei sistemi d’arma “made in Italy” ci sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, seguiti a ruota da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Vengono poi la Germania, la Turchia, la Francia e la Spagna; completano la Top12 Paesi problematici (dal punto di vista dei conflitti e delle turbolenze) come Malesia, Algeria, India e Pakistan.
[NB dati di dettagli nell’infografica qui]
“Ma se ci limitiamo agli ultimi cinque anni – conclude Beretta – ai primi posti ci sono Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, con il solo inserimento degli onnipresenti Stati Uniti al terzo posto. E’ chiaro dunque in che direzione stiano andando gli affari dell’esportazione militare italiana”.
Con le modifiche più recenti del testo e i Regolamenti attuativi, che danno ad un ufficio del Ministero degli Esteri e non più alla Presidenza del Consiglio il vero coordinamento decisionale in materia, la realizzazione effettiva dei principi di fondo della Legge nel gestire ed indirizzare il commercio di armi italiane non è più così efficace e rispettosa dell’idea di fondo del legislatore.
In tutto questo, come elemento non banale ma anzi funzionale a vendite problematiche, si inserisce anche una progressiva perdita di trasparenza: la Relazione governativa al Parlamento non è più “quella di una volta” e non esplicita più in maniera fruibile tutti dati che sarebbero necessari per poter comprendere la situazione.
“Stiamo parlando di armi, non di noccioline! – afferma Francesco Vignarca coordinatore della Rete italiana per il Disarmo – siamo quindi in un terreno sul quale non possiamo certo agire con leggerezza. Secondo la Legge e secondo il buonsenso (indipendente da avere o meno posizioni disarmiste) l’export militare italiano dovrebbe essere in linea con la politica estera del nostro Paese; ma negli ultimi anni la direzione è invece stata principalmente quella degli affari”, conclude Vignarca.
Le organizzazioni aderenti alla Rete Disarmo da anni sottolinano la progressiva perdita di controllo e trasparenza della Relazione, che si è persa nel corso degli anni importanti pezzi e che non riporta più tutti i dettagli necessari al controllo sull’operato del Governo ed anche degli istituti di credito: “Ridateci le Relazioni del Governo Andreotti – chiosa Giorgio Beretta – con quelle eravamo in grado (noi e i Parlamentari a cui la Relazione è indirizzata) di sapere con esattezza le caratteristiche di una vendita di armi, ed anche l’appoggio dato dalle banche. Ora per molti versi brancoliamo nel buio!”.
La Rete Disarmo ha premuto per anni sul Parlamento affinché riprendesse la discussione su questo tema, cosa avvenuta finalmente negli scorsi mesi dopo quasi otto anni di stop. L’intenzione ora è quella di continuare una pressione sul Governo. La Rete ha infatti scritto nei giorni scorsi, come fatto già numerose volte in passato, al Presidente del Consiglio Renzi e al Ministro degli Esteri Gentiloni per chiedere una maggiore attenzione ed un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni, sia dal punto di vista del controllo sia dal punto di vista delle decisioni sulla destinazione delle armi italiane.
“Non possiamo lamentarci che il Mediterraneo ed il Medio Oriente siano una polveriera di conflitti quando siamo anche noi responsabili di molte delle forniture di armi, vera benzina che poi va alimentare il fuoco delle guerre” conclude Francesco Vignarca.
fonte: Rete Italiana per il Disarmo