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6 febbraio, una giornata di lotta contro le morti alle frontiere

DiElena Buccoliero

Feb 2, 2022

Il suo era un progetto condiviso con i genitori rimasti in patria, lo stesso di tanti ragazzi come lui: trovare presto un lavoro, mandare soldi a casa. Leggo da La Stampa: “Ullah aveva lasciato l’Afghanistan pochi mesi prima dell’arrivo dei talebani a Kabul. La sua famiglia aveva pagato a un passeur seimila dollari per un viaggio interminabile tra Asia e Europa, a piedi e su mezzi di fortuna. 5.746 chilometri, senza soste 1.168 ore di camminata: Afghanistan, Pakistan, Iraq, Turchia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Slovenia. Poi l’Italia, le sue montagne, le Alpi Giulie, e i suoi sentieri tra Trieste e Gorizia. Ullah era diretto in Francia: altri 1161 chilometri da percorrere”.

Quest’ultima tratta del suo viaggio era iniziata dal Friuli Venezia Giulia, dove era stato fermato e accolto in una struttura per ragazzi come lui. Sei giorni gli erano bastati per rifiatare e riprendere il cammino, insieme a un amico diretto dalla sorella in Belgio. Di questo secondo ragazzo non si hanno notizie.

I minorenni stranieri che spariscono dalle nostre strutture di accoglienza sono più di cinquemila ogni anno. Per tanti la ragione è proprio il sogno di un ricongiungimento alla famiglia, o a persone che sono di famiglia pur senza legami di sangue, amici o compaesani che hanno già iniziato a inserirsi in Europa e si spera possano fare da apripista, accogliere nella propria casa, provvedere a un lavoro.

Il ricongiungimento familiare in particolare è un diritto riconosciuto dai trattati internazionali ma talmente poco esigibile da indurre tanti a scappare, con il rischio di nuovi respingimenti e maltrattamenti alle frontiere, con il freddo e la fame, i pericoli della strada come è successo a Ullah o quello di essere intercettati da reti illegali. Su questo tema è attivo il progetto Efris, condotto già da alcuni anni da UNHCR e dalla Cooperativa Cidas. Gli esperti hanno rilevato un numero veramente esiguo di ricongiungimenti per i minorenni accolti in Italia (si parla di una ventina di ragazzi all’anno). Le ragioni vanno cercate in parte nelle complessità burocratiche che rendono questi percorsi lunghi e faticosi, soprattutto se (come accade) non si hanno documenti originali del paese d’origine, e in parte alla poca formazione degli operatori dell’accoglienza. L’equipe di Efris è disponibile a dare supporto a questi percorsi e ha elaborato anche delle Linee guida per gli operatori, “Procedure Operative Standard per il ricongiungimento familiare dei MSNA ai sensi del Regolamento Dublino III”, presentate pubblicamente alla fine dello scorso anno.

C’è da credere che infinite volte Ullah avesse rischiato la vita durante il suo viaggio. Per arrivare vicino ai nostri confini, i respingimenti in Slovenia (o le riammissioni, a voler scegliere parole più educate), illegali anche per i maggiorenni come attestato da un’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2020, riguardano per certo anche persone minorenni, in spregio alle Convenzioni internazionali e alla Costituzione italiana quando si tratta di diritto d’asilo e di supremo interesse del minore.

Anche per loro domenica 6 febbraio si celebra la Giornata globale di lotta contro il regime di morte nelle frontiere e per esigere verità, giustizia e riparazione per le vittime della migrazione e per le loro famiglie. L’appello è sottoscritto da organizzazioni operanti in Paesi sia di partenza sia di arrivo. Insieme all’Italia, la Francia, il Regno Unito, la Spagna… ma anche il Camerun, la Tunisia, il Senegal, il Marocco…

Si sta componendo un calendario internazionale di manifestazioni unite dalla richiesta forte che venga riconosciuto il diritto individuale a cercare il proprio futuro in un paese diverso da quello in cui è nato, se in quel paese è troppo difficile vivere per guerre, condizioni ambientali, povertà, dittatura, mancato riconoscimento dei diritti umani. Ad esempio l’associazione “Veglie contro le morti in mare” organizza manifestazioni e sit-in in diverse città italiane (il 2 febbraio a Bari, il 3 a Milano, il 5 a Varese, il 6 a Bergamo, Genova, Roma, Porto Recanati, Casali del Manco, Napoli, Messina), mentre a Chieri il 4 febbraio il Comune ospita quattro esponenti di “Carovane migranti” per un incontro pubblico dal titolo “Dal grido delle madri alla cura come pratica di cambiamento”.

Non di rado proprio le donne sono protagoniste in questi eventi. Mi piace ricordare che il 5 febbraio nel teatro di Tunisi si terrà una Commémoration pour les migrants disparus dans la Méditerranée indetto da un gruppo di “madri e sorelle dei migranti dispersi/morti nel Mediterraneo”.

La giornata del 6 febbraio è stata scelta per ricordare la strage di Tarajal avvenuta il 6 febbraio 2014 quando circa 300 migranti, che tentavano di arrivare a Ceuta (enclave spagnola in Marocco) a nuoto e poi attraverso la spiaggia di Tarajal, vennero fermati in mare dalla Guardia Civil sparando pallottole di gomma e fumogeni. Ne scaturì un’indagine attualmente archiviata. In un’intervista del febbraio 2020 l’avvocata Patricia Hernandez, rappresentante della parte civile, ha spiegato che, sebbene ci fossero le prove per procedere, tutto si era fermato in quanto la Procura spagnola non aveva proposto ricorso e i familiari delle vittime non potevano farlo, non trovandosi in Spagna ed essendo impossibilitati ad entrarvi legalmente.

Oltre all’apprezzamento per queste iniziative che hanno il merito di globalizzare la protesta per i diritti umani, la cui globalizzazione cerchiamo, sono grata alla svolta che mi pare riescano a imprimere nella percezione comune. Rendono tangibile ciò che spesso viene dimenticato, ovvero che i migranti morti o dispersi sono persone e non corpi, hanno affetti e relazioni. Non troppo lontano dalle nostre frontiere di mare o di terra c’è chi aspetta loro notizie, ed è molte volte oltraggiato quando al lutto si aggiunge l’impossibilità di piangere sulla tomba del familiare, o quella di reclamare giustizia dopo il suo omicidio.

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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