Di John Lennon artista si è detto e scritto tutto il possibile. Abbiamo a disposizione una mole enorme di materiale documentale: audio, video, libri, foto. Ogni sua canzone è stata studiata, analizzata, sviscerata. Della sua musica, che tanta influenza ha avuto su molte generazioni in tutto il mondo, dieci anni con i Beatles e dieci da solista, sappiamo tutto.
Ma oggi per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, preferisco concentrarmi sulla sua persona, sulla figura di figlio, di marito, di padre, di amico, di visionario, con quel suo volto dallo sguardo ironico e malinconico.
La vita di John è una parabola della nonviolenza.
Nasce a Liverpool il 9 ottobre del 1940 mentre era in corso sulla città un raid aereo nazista della seconda guerra mondiale. Di secondo nome, dopo John, fa Winston, una dedica al primo ministro Churchill, considerato dalla madre il paladino della libertà.
Il padre, mentre John nasce, non c’è, si è imbarcato su una nave come cameriere. Sarà la madre, Julia, che divorzierà poco dopo dal padre assente, a crescere John da sola. A soli 5 anni John viene allontanato dalla madre, che non è in grado di mantenerlo ed educarlo, e viene affidato alla zia Mimi, con la quale trascorre tutta l’adolescenza. Un’adolescenza turbolenta, con pessimi risultati scolastici: John è uno spirito libero, indipendente, creativo, scostante, ribelle. A 17 anni, quando sta riallacciando il rapporto con la mamma Julia (donna libera, fuori dagli schemi, ingenua, solare), John assiste all’incidente mortale: Julia viene falciata sulla strada, mentre si allontanava dopo essere andata a trovare il figlio. Un dolore immenso, lacerante, che lascerà un segno indelebile nell’anima di John: “Ho perso mia madre due volte. Una volta da bambino a cinque anni e poi ancora a diciassette. Mi diede molta, molta amarezza. Avevo appena iniziato a ristabilire una relazione con lei quando fu uccisa. Il dolore più grande è non essere desiderati, renderti conto che i tuoi genitori non hanno bisogno di te quando tu hai bisogno di loro. Quando ero bambino ho vissuto momenti in cui non volevo vedere la bruttezza, non volevo vedere di non essere voluto. Questa mancanza di amore è entrata nei miei occhi e nella mia mente“.
L’adolescente John reagisce nel modo più facile. Butta il dolore fuori da sè e lo scarica sugli altri. Diventa un bullo. È un ragazzo proletario di periferia. Attaccabrighe, provocatorio, cinico, beffardo, anche se simpatico, burlone, geniale, comico.
L’unica cosa che lo rende docile, è la sua fantasia. Scrive, disegna, dimostra un talento raro. E poi la chitarra che gli regala la zia Mimi, con la quale strimpella le note di banjo che gli aveva insegnato la madre Julia. Diventa un leader, un capo naturale. Arruola Paul, Stuart, George, Pete e poi Ringo. Fa strage di ragazze, e adora canzonare i disabili. Politicamente scorrettissimo, diremmo oggi. Un teddy boy, come si diceva allora.
John fonda i Beatles, e dal 1962 in poi, con Brian Epstein, inizia la storia travolgente. Lui è il capo, ma è instabile, insicuro, e si lascia travolgere. È il primo Beatle a sposarsi, con Cynthia Powell, ma il matrimonio viene tenuto segreto, per non turbare i fan; subito dopo nasce il loro figlio Julian, ma John, beatle a tempo pieno, non ha il tempo né la maturità per fare da padre. Julian ha appena due anni quando John scrive e grida al mondo intero Help! “Aiutami se puoi, sto male […] Aiutami a rimettere i piedi per terra” […] “Quanto è cambiata la mia vita, la mia indipendenza si è trasformata in confusione”. Il successo è mondiale, sempre più vertiginoso, vorticoso, persino rovinoso per le personalità dei quatro ragazzi. Tentano la fuga nella meditazione, in India, ma ben presto anche questo si rivela un fallimento. Capita perfino che tornando in Inghilterra John si “dimentica” della moglie e la lascia giù dal treno. È l’inizio della fine. Si butta nel mondo psichedelico, cade nelle dipendenze, e John si perde. Il sogno finisce, i Beatles si sciolgono e si dividono. Resta di nuovo solo, subisce l’ennesimo rifiuto. Ma questa volta sulla sua strada trova la seconda musa ispiratrice. Dopo la madre Julia, incontra l’amante Yoko. È una seconda ripartenza. Con la nuova moglie/madre gli sembra di rinascere. Ritrova anche l’ispirazione musicale, sforna nuovi capolavori, trova l’impegno politico, radicale, la militanza per la pace, lascia Londra per stabilirsi a New York. Ma ancora una volta è la confusione che prevale sulla stabilità.
John capisce che ha bisogno di un lavoro profondo, dentro di sè questa volta. Una rivoluzione interiore prima che politica. Yoko lo lascia, anzi, lo caccia via, fino a che non ritroverà se stesso. John attraversa il deserto. È il periodo di Los Angeles, la caduta in fondo al baratro, il lost weekend, come lo chiamò, perdersi per ritrovarsi. Fu più di un anno esagerato, di baldoria, perdizione e immaturità, un vortice di depressione e ubriachezza; John riuscì a tirare fuori il peggio di sé, un adolescente in fuga dalle responsabilità. Toccò il fondo.
E poi, quindi, l’inizio della risalita. Il ritorno a casa, da Yoko, la disintossicazione, l’analisi profonda, il concepimento del figlio Sean, la ritrovata serenità della vita casalinga, la consapevolezza del ruolo di padre e marito. È il periodo migliore di John, la riconciliazione con se stesso e con il mondo. La scelta della nonviolenza, politica e personale. Le letture, la nuova ispirazione musicale, la voglia di riprendere a suonare, di comporre, di nuovi rapporti con i vecchi amici (prende anche in considerazione l’idea di fare qualcosa di nuovo con i Beatles) e i fan. Si scopre maturo, consapevole, pacificato, abbraccia la nonviolenza. Troppo bello per essere vero: l’8 dicembre 1980 arrivano quei cinque colpi di pistola fatali che interrompono per sempre la sua storia. Una violenza mortale che lo rende immortale. John è morto, viva John.
Da Baronetto a Tricheco, non ha mai nascosto i suoi sentimenti profondi, le fragilità, le solitudini, ma anche gli slanci, gli amori, i sogni. Sincero fino in fondo, si è sempre mostrato per quello che era, senza ipocrisie, raccontando anche i lati più oscuri e più veri della sua anima.
La parabola è questa: un ragazzo di strada del dopoguerra, talentuoso ma pieno di rabbia perchè non ha conosciuto l’amore dei genitori, si trova sbalzato sulle vette del successo mondiale, ricco e famoso, non ha la possibilità di conoscersi, vive in collera fino a perdersi, per poi riconoscersi grazie all’amore ritrovato, all’impegno per la pace, alla paternità; con la nonviolenza arriva finalmente alla serenità interiore e alla maturità sociale. Avrebbe potuto vivere sugli allori, recitare la parte dell’ex beatle, o ritirarsi a vita privata; invece ha scelto di mettersi in gioco fino in fondo, usare la sua fama al servizio della causa pacifista, coinvolgersi nel movimento contro la guerra.
È questo il John Lennon ottantenne che festeggiamo oggi. Una strada in salita, ma che arriva alla meta dell’amore. Un percorso di conversione dalla violenza alla nonviolenza, con tappe ben definite. Dal grido di disperazione in Mother (madre, io ti volevo ma tu non mi volevi; padre io avevo bisogno di te, ma tu non di me) all’Eroe della classe operaia (non bisogna fidarsi dei sogni che possono trasformarsi in incubi); dalla preghiera di God (il sogno è finito, credo solo in me); alla scoperta di Love (l’amore è una forza insopprimibile), fino ad Imagine, il suo manifesto per il mondo unito, concettuale e spirituale che ha sempre cercato e alla fine raggiunto.
(Prima parte, segue;
la seconda parte sarà pubblicata l’8 dicembre)
* giornalista, beatlesiano.