Un parroco particolare
Giuseppe Stoppiglia è cittadino di Comacchio. Lo è da tempo. È bello che la città lo riconosca ora. È passato mezzo secolo del suo arrivo. Ci è restato dieci anni intensissimi dal ’65 al ’75, decisivi per lui e Comacchio. È arrivato dopo una dura esperienza seminariale a Bologna, interrotta su consiglio di un rettore, apprezzato e sensibile, e ripresa nel 1959.
Faticosa la frequenza in un seminario chiuso e conservatore. Nonostante il cardinale Lercaro e le visite di Dossetti, l’aria nuova del Concilio vaticano si avverte appena. Papa Giovanni XXIII lo ha annunciato nel gennaio del ’59, indetto alla fine del ’61 ed avviato nell’ottobre del ’62. Lo prosegue Paolo VI fino al dicembre del 1965.
Sono anni di intensa applicazione per Stoppiglia, di preparazione biblica e teologica e di letture allora eterodosse: Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Henri-Marie De Lubac, Marie-Dominique Chenu, Emmanuel Mounier, Jacques Maritain. Nella scelta di essere accanto agli emigrati e ai poveri pensa di andare a lavorare in Australia, dove sono emigrati una sorella e uno zio. Si interessa all’esperienza dei preti operai, censurata in Italia dalla gerarchia cattolica. Questo duplice interesse è sollecitato anche dall’intervento, promosso dal rettore, di Alfred Ancel, vescovo operaio di Lione, rifondatore del Prado, un movimento che si sviluppa in tutti i continenti, vicino alla popolazioni più povere, agli operai delle periferie, agli emarginati.
Al seminario di Bologna conosce Gaetano Farinelli, che gli sarà compagno prima, mentre e dopo la cruciale presenza a Comacchio.
Ordinato prete nel 1965, a Pove del Grappa dal vescovo di Comacchio Mocellini, non in Australia, ma a Comacchio appunto, va come cappellano in Cattedrale. L’aria del Concilio, quella più fresca, la porta dunque il giovane “prete bello” in clergyman, lunghi capelli biondi e occhi azzurri. È l’uomo della novità per tutti i dieci anni. Sono stati i dieci anni più belli, dove ho scoperto che essere preti è stare in mezzo alla gente, raccogliere le domande collettive. Sono anni belli, ma non sono una passeggiata.
Nell’oratorio salesiano vuole accanto ai bambini, che soli lo frequentano, anche le bambine: Maschi e femmine devono crescere sempre assieme. Accanto ai figli di piccola e media borghesia i figli degli operai i figli dei poveri. Le famiglie “bene” minacciano di ritirare i bambini lui risponde scelgo i piccoli, i ragazzi che hanno più bisogno.
Vuole una chiesa aperta a tutti e solo una minoranza, spesso clericale, la frequenta, con un’ostilità, ricambiata, nei confronti della maggioranza, anticlericale, di comunisti, socialisti e repubblicani. Di questi diventa amico don Giuseppe. Lo apprezza l’arciprete Marinelli, il parroco della cattedrale che lo propone per la sua sostituzione al vescovo, che non è però contento delle iniziative di Stoppiglia, troppo spregiudicate.
Alla fine degli anni ’60, movimento studentesco e lotte operaie trovano anche nella chiesa risposte e proposte. Io mi ero già iscritto al sindacato nel ’66. Era il periodo in cui facevo l’insegnante: un anno alle medie, due al biennio dell’Itis. Poi sono passato all’Enap. Il vescovo ha detto: “Guarda che ti sospendo a divinis, non puoi”. “Il sindacato unisce, Eccellenza, non divide”.
Non in Cattedrale ma al Santo Rosario sarà parroco Stoppiglia e come cappellano lo raggiungerà Farinelli. Nascerà un gruppo parrocchiale vivace e attento alle novità. Don Giuseppe invita Ernesto Balducci, con il quale è in contatto, così come lo è con Davide Maria Turoldo, Umberto Vivarelli ed i preti operai Sirio Politi e Bruno Borghi, il cui esempio finirà col seguire.
Lotte e scioperi sono un po’ ovunque. Alla perdita di posti di lavoro Comacchio reagisce. Da due giorni c’era sciopero generale: chiuso tutto, scuole, negozi. Eravamo alla prima settimana dopo Pasqua e c’era l’abitudine di benedire le case. Io vado dall’arciprete e dico: “Come si fa ad andare nelle case e a dire ‘pace a questa casa e ai suoi abitanti’, quando sono in lotta, sono in difficoltà”. Allora decidiamo di sospendere e scriviamo un manifesto, suoniamo le campane e andiamo noi, preti giovani, nella piazza a spiegare perché sospendiamo la benedizione delle case. Questo succede alle 11. Andiamo vestiti da preti, con la cotta e la stola. La gente è diventata tutta nostra. “Finalmente abbiamo i preti comunisti che stanno con noi!”. A mezzogiorno c’erano il prefetto, il questore, il vescovo e il colonnello dei carabinieri. Allora abbiamo detto all’arciprete: “Guai a Lei se va dal vescovo da solo. Abbiamo deciso insieme e insieme dobbiamo andare”. E lui così ha detto al vescovo: “Chiami anche gli altri”, “No, no, voglio parlare con Lei”. Invece il prefetto e il questore hanno voluto parlare anche con noi. Fatto sta che alle due avevano già deciso che i posti di lavoro dovevano essere riaperti. Da allora, quando c’era sciopero la gente mi diceva: “Dai, suona le campane”.
Alla realtà locale Stoppiglia aderisce dunque profondamente. Critico verso la bonifica incoraggia l’approfondita, importante ricerca di Serafina Cernuschi Salkoff, che troverà anni dopo la pubblicazione in un libro dai titoli eloquenti, sia in italiano che in francese, La città senza tempo, La ville du silence, dal quale risulta come la distruzione dell’ambiente lagunare avesse reso il centro abitato una città morta. Perché avete bonificato? Avete sbagliato. Rimettete l’acqua nelle valli dice don Giuseppe. Diverso il giudizio del vescovo, che lascia Comacchio, dopo tredici anni in diocesi, nell’ultimo discorso, 9 marzo 1969, in cattedrale: un diffuso benessere ed un’edilizia dall’aspetto più dignitoso, frutto dei “lavori di bonifica e di appoderamento delle valli e allo sviluppo turistico dei Lidi”.
Problemi ci saranno anche con il nuovo vescovo, Mosconi, arcivescovo della diocesi riunificata, che pure lo stima. Nell’omelia in cattedrale a Ferrara alla fine del ’65 aveva riassunto con prudenza il compito assegnato dal Concilio: “Né immobilismo, né avventura. Operosità fedele alle direttive della chiesa: onde i vescovi stessi hanno il dovere di studiarle, farle conoscere, farle gradualmente attuare. Tempo di azione. Non fretta, non frenesia, non febbre, come s’è visto di recente anche, con affermazioni, interpretazioni, anticipazioni illegittime e con autentici errori”.
Diverso l’approccio di Stoppiglia. Parroco al Rosario vive in comunità con Farinelli e altri tre preti, ansiosi portatori di novità. Loro volevano far cambiare la chiesa all’improvviso, ma io sapevo che c’erano dei passaggi obbligati.
Mosconi in una lettera alla diocesi del 16 aprile 1969 cita don Milani, ma solo per ricordare tempo pieno e celibato del sacerdote, che non può e non deve fare altro. Frequenti sono subito le sue visite pastorali nelle parrocchie di Comacchio. “Nessuno si preoccupi eccessivamente. Non si tratta di ispezioni, di controlli, di fiscalismi. Si tratta soltanto dell’incontro del vescovo con tutte le anime che Cristo gli ha affidato”. Ma qualche preoccupazione ne riceve da più parti: un gruppo di fedeli di Comacchio invia un esposto a Paolo VI per chiedere un vescovo residenziale per la diocesi di Comacchio, proprio il 13 Agosto 1970, festa di San Cassiano.
Due anni dopo, nella stessa ricorrenza, il vescovo protesta per la voluta coincidenza della Festa dell’Unità con le celebrazioni patronali: “Per questo l’ultima parola del vescovo stasera è una protesta; ma non soltanto contro il mondo, non soltanto contro lo pseudocristianesimo. Ma è protesta specifica in nome di San Cassiano nostro patrono. È la protesta, umile ma ferma contro la celebrazione della festa dell’Unità contemporaneamente alla celebrazione diocesana di San Cassiano. Tutti lamentano questo; ma senza compromettersi. Il vescovo in nome di tutta la comunità diocesana sottolinea le ragioni della sua protesta…”.
Il 9 novembre dello stesso anno ai sacerdoti di Ferrara e Comacchio lo stimmatino Sergio Faè parla di “Aspetti storici delle tensioni nella chiesa”, componenti essenziali della vita ecclesiale, continua tensione verso il meglio ma non “spaccature” tra la “chiesa dei perfetti” e la chiesa della tradizione e della istituzione.
Qui sotto un’intervista dell’amico Checco Monini