• 23 Novembre 2024 2:04

Se fossimo più uniti guariremmo già le malattie

DiDaniele Lugli

Mar 16, 2020

Vi si è colta una nota non del tutto negativa nel liberarsi di una popolazione improduttiva, più che l’invito a sopportare con forza lutto e dolore. Non c’è niente da fare oltre a lavarsi le mani, come faccio io e il mio Governo di fronte alla pandemia, sembra dire. Il resto dell’Europa in qualche modo ci prova. Non l’Inghilterra: alla Brexit politica aggiunge la Brexit sanitaria.

A me è riaffiorato un ricordo di Diritto romano: “Sexagenarios de ponte deicere”, gettare i sessantenni dal ponte. Pure il ponte è indicato: il Sublicio. Anche a considerarsi sessantenni finché non si compiono i settanta, è una pratica crudele, non sappiamo quanto e in che tempi praticata a Roma. L’interpretazione meno cruenta ricorda che a sessant’anni i Romani cessavano di far parte dei comitia centuriata, cessavano dunque di essere ammessi sui pontes delle votazioni. Quanto al ponte pare che il nome venga da Sublica tavole di legno in lingua volsca. E’ un ponte che ci è caro fin dalle elementari. Vide le gesta di Orazio Coclite (Horatius Cocles) che, mezzo millennio prima di Cristo, bloccò gli etruschi di Porsenna, mentre il ponte, alle sue spalle veniva tagliato. L’eroe è annegato nel fiume secondo Polibio, salvo invece per Livio. Noi sappiamo benissimo come è andata: “Orazio Coclite cadette giù dal ponte, si fece un bernoccolo nel mezzo della fronte”.

In questo caso non c’è neppure bisogno che qualcuno si prenda il compito di eliminare i deboli. Boia volontari si troverebbero comunque facilmente, come si vede ovunque. Ci pensa la natura, in forma di epidemia. Se poi agli ultrasessantenni fosse stato, romanamente, tolto il diritto di voto Alexander Boris de Pfeffel Johnson non sarebbe stato eletto. Infine auspichiamo il virologo Coclite, che arresta l’avanzare del morbo, mentre si tolgono i collegamenti impedendone la diffusione. Intanto siamo grati a chi è particolarmente impegnato e attivo in questo compito. Vorremmo comunque evitare una fatale contrapposizione juniores–seniores. Ne ho scritto, per chi fosse interessato a questo aspetto, il 26 luglio 2018 “Non ci sono più i giovani di una volta”. Certo occorrono vecchi adeguati alla situazione.

Ci illudevamo di non invecchiare. La gioventù è stata spostata fino ai 35 anni, mi si è detto. Non è più la mezza età come da giovane credevo. Lo credeva pure il Poeta: Nel mezzo del cammin di nostra vita… Me ne sono rallegrato, ma la vecchiaia arriva e il suo arrivare è un privilegio. I vecchi, come me, debbono essere consapevoli. Siamo in prima linea diceva il padre del caro amico Ranieri. E’ un bene. Un mitico imperatore della Cina chiese al saggio di corte l’augurio migliore che si potesse fare. “Muoiono i nonni. Muoiono i padri, Muoiono i figli, Muoiono i nipoti” rispose il saggio, rischiando la decapitazione. Non ci fu perché ebbe il tempo di aggiungere “Pensa come sarebbe se fosse il contrario!”. Una cosa non vorremmo, per quel che possibile. Depontani senes appellabantur, qui sexagenarii de ponte deiciebantur, depontani erano detti i vecchi che sessantenni erano gettati dal ponte. Ecco non vorremmo essere Accoronani, cioè lasciati ad Coronam in balia del virus senza provarci.

Già il virus impone di morire più soli che mai, senza alcun accompagnamento alla morte, per le stringenti e motivate norme imposte. Anche i funerali sono ristretti a pochissime persone. Mia moglie parlando della morte recente ci ha molto addolorato di un caro amico mi dice “Almeno si è risparmiato l’isolamento da Corona virus”. E’ vero ho goduto della sua presenza fin quasi alla fine. Così mi era accaduto con un altro amico caro. E sono a loro grato. Il monaco e tanatologo Guidalberto Bormolini, già compagno nel Movimento nonviolento e sacerdote al funerale di Piero Pinna, trova parole giuste per sottolineare questi aspetti. “Le prime sepolture risalgono a 100 mila anni avanti Cristo. Siamo privati di qualcosa che, secondo gli storici e gli antropologi, ci rende umani. L’umano nasce con la cultura dei morti. Qui abbiamo di fronte una circostanza che toglie l’umano ad una società già disumana sotto molti aspetti”. Ancora prima, la fase del congedo, dei saluti è importante. Io l’ho sperimentata. “ Come moriamo rimane nella memoria di tutti. La morte ci costringe a donare tutto, volenti o nolenti. La differenza è in chi la accoglie. Ecco, il dono che ci possono fare le persone che stanno morendo ora è di farci capire l’importanza della relazione con chi sta per morire e della relazione con chi è già morto, così da restare veramente umani”. Nel saggio Omnicrazia, che la morte gli impedì di completare, Capitini scrive “Gli esseri che sono in una situazione di grave limite potranno essere aiutati dalla realtà di tutti: se fossimo più uniti guariremmo già le malattie”.

(vigna di Mauro Biani)

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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