Ci sono libri che spostano confini e limiti dell’immaginario, che illuminano spazi lontani nel territorio del racconto e che, soprattutto, dimostrano chiaramente che tutti quelli che pontificano sulla ‘morte del romanzo’ perché tutto è già stato scritto o detto e non c’è più niente da fare, non ci hanno capito nulla e per noi, lettori, questo è già una goduria strepitosa. Poi, per uno come me che oltre a leggere, scribacchia, incontrare lavori così è una doppia soddisfazione, perché c’è la prova concreta che ancora si può osare, che la narrativa conserva quel potere di stupore e meraviglia che fin da piccolo ho sentito emanare dalle pagine dei racconti che sfogliavo.
Brava LiberAria che l’ha pubblicato, con una scelta coraggiosa, perché la mole potrebbe spaventare, ma in realtà è un libro che va via fluido, con un linguaggio che ha ritmo, forza espressiva, potenza e non ci si annoia. Anzi: ci sono parti in cui ho riso e di gusto. Già l’idea di base è spettacolare: uno scrittore in crisi d’identità, smarrito in un mondo dove la parola è solo chiacchiera, decide di scomparire compiendo un ultimo viaggio, verso il Cern di Ginevra, per fondersi con il Bosone di Higgs, la particella di Dio e così diffondersi nell’universo e raccontare per sempre la sua storia. Ecco, già così, Fresan ha vinto. Ma c’è molto di più: qui si mescola sapientemente il romanzo con il saggio, con l’autobiografia, con il racconto popolare, addirittura con il genere giallo poliziesco, visto che in due si mettono sulle tracce dell’autore scomparso.
In questo alternare registri, forzare categorie, infrangere steccati, ho risentito un altro scrittore che adoro, anche lui capace di creare orizzonti e scenari prima invisibili, David Foster Wallace. E non è un azzardo questo accostamento, perché Fresan, pur essendo argentino, amico di Bolano, ha molti collegamenti con la narrativa nord americana. Lo dico non perché io sia così in grado di trovare simmetrie, ma è stato lo stesso autore a fare questa considerazione a Pistoia, alla Biblioteca San Giorgio, a Ottobre 2019, durante quella splendido manifestazione che è ‘Il libro che verrà‘. Ero andato alla presentazione così, senza un motivo reale: mi incuriosiva il titolo, la copertina e i capelli ‘ribelli e sovversivi’ di Giorgia Antonelli, l’editrice.
Avevo sfogliato qualche pagina e mi ero figurato un possibile ritratto dell’autore, immaginando un viso quasi alla Jack Sparrow o Sandokan e mi trovo un signore con gli occhiai, con lo sguardo tranquillo e mite, anche un po’ stempiato, in un vestito grigio con il maglione.
Però, quando ha parlato, BUM, ero incantato. Così mi sono messo a leggere il libro e non mi sono fermato. Sì, lo so, 700 pagine sembrano tante, ma se sono tutte belle, che problema c’è?
E poi qui, attraverso un’ironia pungente, si parla di noi, di come siamo e di quello che di vitale e necessario c’è nell’arte: la capacità di tratteggiare le cose non come sono, ma come potrebbero, o meglio ancora, dovrebbero essere. Senza ‘La Parte Inventata’ come sarebbe triste e vuota la nostra esistenza di esseri umani, un insieme amorfo di consumatori dediti al conteggio dei soldi.
Questo libro è un inno alla libertà, alla creatività, ai sogni. Ai desideri.
Non perdetevelo, davvero.
Date retta.
Buona lettura!