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Chi vuole il disarmo dell’altro

DiEnrico Peyretti

Lug 20, 2014

Mi pare, e credo, che un atto alto, e davvero avanzato, e promotore di umanità, rivolto in avanti, al futuro, e non a vendicare infinitamente il passato, vendetta più vendetta (come avviene dalle due parti, in quello sciagurato conflitto), un grande atto sarebbe che chi vuole il disarmo dell’altro cominci col proprio disarmo, col disarmare se stesso; in questo caso col deporre un dominio tormentoso e torturante come quello di Israele sulla Palestina, col definitivo riconoscimento reciproco in condizioni di parità.
   
Il disarmo creativo avviene abbastanza spesso nelle nostre contese interpersonali, familiari o sociali. Il più saggio dice: “Lasciamo perdere…”. E invece è un vincere: non dominando e legando (vincere vuol dire legare, vincolare, costringere) l’altro, ma stemperando il conflitto e aprendolo a vie sulle quali, poiché nessuno perde tutto, e ciascuno molla qualcosa, entrambi guadagnano qualcosa, e almeno la tranquillità. Tutto il contrario della guerra, e della lite dura.

    Ma la politica statale ha una fede miserabile nella forza armata più che nella ragione umana (trattative, accordi, patti = pax). La politica che si identifica col potere di chi vince, più che col “potere di tutti”; che è disposta a sacrificare la qualità alla quantità in base a cui si attribuisce il potere, non è ancora la politica giusta, non è la città (polis) umana evoluta. La democrazia dei numeri è ancora necessaria (non sappiamo ancora fare di meglio), ma è solo una tappa da oltrepassare col dialogo qualitativo umanizzante, con la costruzione di un consenso su valori umani universali. La cultura di un popolo conta più delle elezioni, ancora necessarie in questa fase. E una cultura davvero umana ripudia la logica delle armi, cioè dell’uccidere. Almeno progressivamente.

    Qualche sprazzo creativo c’è stato: Gorbaciov il Saggio, cominciò un parziale disarmo unilaterale, non rispose con la violenza alle rivoluzioni nonviolente, e così (ben più che con la minaccia reciproca) evitò la guerra. Il prezzo fu la fine dell’impero sovietico, e poteva essere la pace, nel 1989-91, se anche l’Occidente avesse adottato quella logica, lo Statuto dell’Onu, il diritto internazionale di pace.

Invece, mantenne la Nato, si sentì vincitore, potenza unica, e rilegittimò la guerra, con un modello di difesa non del diritto ma del privilegio, nella logica dello “scontro delle civiltà”. Il cammino è lungo e difficile, ma guardare avanti, molto avanti, “alle future generazioni più che alle prossime elezioni” è il primo passo.

Enrico Peyretti, 18 luglio 2014

Di Enrico Peyretti

Enrico Peyretti (1935). Ha insegnato nei licei storia e filosofia. Membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza "Sereno Regis" di Torino, del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). Fondatore de il foglio, mensile di “alcuni cristiani torinesi” (www.ilfoglio.info). Collabora a diverse riviste di cultura. Gli ultimi di vari libri (di spiritualità, riflessione politica, storia della pace) sono: Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (Claudiana, 2011); Il bene della pace. La via della nonviolenza (Cittadella, 2012). (peacelink.it/peyretti)

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