Ripercorro alcuni passaggi di questa storia per ciò che di bello può dirci, mentre si sovrappongono le notizie sulle violenze governative e l’arresto o l’espulsione dei giornalisti che potrebbero documentarle.
Dopo l’arresto del marito Svetlana Tikhanovskaya raccoglie le firme per presentarsi alle presidenziali e viene ammessa come candidata. A suo avviso il governo è sicuro che nessuno la prenderà sul serio. Invece il suo volto e quello delle compagne diventano il simbolo della volontà di cambiamento di una parte del popolo bielorusso, e oltre 60mila persone si raccolgono nel Parco dell’Amicizia dei popoli, a Minsk, nella manifestazione politica nazionale più partecipata delle ultime decadi.
Seguono le elezioni, la vittoria schiacciante di Lukashenko (oltre l’80% dei voti, benché un sondaggio di pochi giorni prima prevedesse il 3%), l’accusa di brogli da parte della Tikhanovskaya che presenta regolare ricorso, la sua uscita dal paese per raggiungere i figli in Lituania, la disponibilità dichiarata all’Europa e agli Stati Uniti ad assumere un ruolo di guida nazionale, in via temporanea, per favorire una transizione pacifica nel paese, dove nel frattempo si succedono grandi manifestazioni di protesta con migliaia di arresti, e con partecipanti uccisi o feriti dalla violenza della polizia.
Mi attrae l’imprevedibilità di questa storia. Il presidente Lukashenko aveva affermato, durante la campagna elettorale: “la nostra Costituzione non è fatta per una donna. E la nostra società non è matura per votare una donna. Perché secondo la nostra Costituzione il presidente ha un forte potere, e solo un uomo può averlo”.
Da una posizione così granitica traspare sia una precisa lettura del maschile e del femminile, sia una concezione del potere molto chiara che l’opposizione sta cercando di decostruire. La differenza portata da Svetlana è palese in ogni comunicazione che ci è stata tradotta.
Dal principio avverte di non essere un personaggio politico e di non cercare il potere per sé. È già una bella novità, non solo per la Bielorussia. “Siamo persone pacifiche e vogliamo cambiamenti pacifici nel nostro Paese”, dichiara alla stampa. Ha scelto la candidatura per proseguire l’impegno del marito e di tutte le persone che lo sostengono e presenta un programma semplice e breve, da svolgersi in sei mesi: liberare gli oppositori dal carcere e indire nuove elezioni, libere e trasparenti, vigilate da osservatori internazionali e aperte ai candidati esclusi da Lukashenko. E poi, scherza, “ritornerò a cuocere le mie cotolette”.
A proposito di questo, bisogna ricorrere ai media stranieri per apprendere che è laureata in Filologia, ha lavorato come insegnante di lingue e come traduttrice, e ha due figli, di 4 e 10 anni. “Insegnanti e compagni di classe la ricordano molto diligente, responsabile, in grado di difendere la sua opinione fin dall’infanzia. Si è diplomata a scuola con una medaglia d’oro. È cresciuta in una famiglia calma e gentile”. Per giornalisti e analisti politici nostrani invece è “una semplice casalinga”. Come a dire: ma pensa, una che non c’entra niente, dove può arrivare. Il sospetto che sia sostenuta da forze sotterranee infatti non manca. Ma sul perché una casalinga debba essere per forza disimpegnata, pavida o stupida, si potrebbe aprire un discorso. Come su cosa autorizzi a esaurire una persona negli stereotipi del lavoro che svolge – questa seconda eccezione vale anche per idraulici, commercialisti, eccetera.
Ulteriori peculiarità della sua candidatura sembrano essere l’entusiasmo e l’impegno. Svetlana viaggia per tutta la Bielorussia, visita undici città in una settimana, fa il pienone in stadi e piazze e ammette la propria inesperienza. Non è mai sola: con lei ci sono Maria e Veronika, un altro dato da ricordare. Unite, tutte, nella richiesta di un cambiamento senza violenza.
“Non si può negare che la nostra gente voglia cambiare”, aveva detto la Tikhanovskaya, prima delle elezioni, ad Euronews. “Vogliamo elezioni veramente democratiche e, in caso contrario, contesteremo legalmente i risultati della commissione elettorale. Se le persone dopo elezioni truccate decidono di voler difendere i propri voti uscendo per le strade, non posso vietare loro di farlo. Chiedo alla polizia e all’esercito di non sparare a persone pacifiche”. E di nuovo: “Sono assolutamente contraria alla violenza”.
Quando lascia la Bielorussia – se per scelta o per costrizione, per mettere in salvo la vita propria e dei familiari o per ottenere in cambio il rilascio di Maria Moroz, responsabile della sua campagna elettorale noi non sappiamo dire – si parla di resa, di sconfitta. Lei appare in video e ammette la propria debolezza.
“Pensavo che questa campagna mi avesse rafforzata e dato la forza di sopportare tutto, ma sono senza dubbio rimasta la donna debole che ero all’inizio. Ho preso una decisione molto difficile. Ho preso la decisione da sola, nessuno mi ha influenzata in nessun modo, né i miei amici, né la mia famiglia, né il mio team della campagna, né mio marito. So che molti mi condanneranno, molti mi comprenderanno, molti mi odieranno, ma non auguro a nessuno di dover fare la scelta che ho fatto io”.
Secondo il Ministro degli Esteri lituano il governo le aveva prospettato un’alternativa “non compatibile con la libertà”. La collaboratrice Olga Kovalkova dichiara alla testata indipendente Tut.by: “Svetlana non aveva altra scelta, le autorità l’hanno portata fuori dal paese. L’importante è che sia viva e sia libera. Parte del team di Svetlana è ancora trattenuto in ostaggio”. E poi: “La situazione ora è critica, ma per quanto le cose siano difficili per noi, dobbiamo rinunciare alla violenza e difendere la nostra vittoria per vie legali e non violente. Chiediamo alle forze democratiche e ai sostenitori del cambiamento di unirsi”.
Qualche giorno dopo anche l’uscita dal paese sembra, per Svetlana, un passaggio di una lotta che continua. Nell’incontro con il Segretario di Stato USA, Stephen Biegun, ribadisce che è impegnata a risolvere la crisi in Bielorussia attraverso il dialogo per una transizione pacifica e apre alla mediazione da parte di organizzazioni internazionali nel rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale della Bielorussia.
Propone discorsi meditati, sobri. Intervistata dalla BBC risponde senza esaltazione. “Chi scende in piazza grida il mio nome non per avere me alla guida del paese, ma perché io sono diventata un simbolo di libertà e di diritti. (…) Non posso dichiararmi il vero presidente della Bielorussia perché non ho elementi per sapere quanti mi hanno votato, ma chiediamo elezioni libere”.
E in un ulteriore intervento: “È ormai assolutamente ovvio per il mondo intero che i bielorussi sono capaci di organizzarsi, di prendere le decisioni giuste e di rialzarsi. La cosa più importante è che lo abbiamo capito noi. Questa consapevolezza ci è mancata per molti anni. Oggi i bielorussi stanno facendo miracoli di eroismo, solidarietà, decenza. Stiamo mostrando al mondo giorno dopo giorno il nostro impegno per un’idea di resistenza non-violenta e questo prova che la verità non sta dalla parte della forza e delle armi; la verità è la forza che sta nell’intelligenza, nell’onestà, nella dignità e nel coraggio”.
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