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La convenzione di Istanbul e la scomparsa di Nawal Al-Sa’adawi

DiAdel Jabbar

Apr 1, 2021

Il primo avvenimento si riferisce alla decisione di Erdogan in data 20 marzo che sancisce l’uscita della Turchia dalla convenzione di Istanbul.
Questo evento ha scatenato aspre polemiche da parte della stampa e organizzazioni femministe e altrettanto dure reazioni a tali critiche da parte di componenti del mondo islamico. Molte delle reazioni erano delle prese di posizione difensive e poco argomentate, sovente, espresse con un tono accusatorio nei confronti di coloro che avevano espresso un parere critico al ritiro dalla convenzione. Il trattato in questione, mira essenzialmente a sollecitare le autorità dei paesi aderenti a prendere provvedimenti a sostegno delle donne che subiscono violenze e discriminazioni. Quindi i suoi contenuti non sono norme di legge che portano, come qualcuno vuole fare credere, alla distruzione della famiglia tradizionale.
Gli stessi che affermano tale cosa, sorvolano invece sul fatto che la famiglia spesso si distrugge proprio a causa della violenza che le donne subiscono da parte degli stessi famigliari.
Un’altra posizione riportata dai sostenitori di Erdogan è quella di considerare la convenzione come incentivo ad intraprendere altre scelte sessuali. Invece l’obbiettivo della convenzione è quello di stimolare gli attori pubblici a mettere in essere interventi atti a garantire il rispetto di tutte le persone al di là degli orientamenti sessuali e a tutelarne la dignità.
Ma al di là di ogni polemica riguardante i contenuti della convenzione, molte persone si sono chieste, quale sia la motivazione che sta alla base di tale decisione, quando la stessa Turchia ormai dieci anni fa ne era stata promotrice, firmataria e uno dei primi stati del Consiglio d’Europa a ratificarla. Non avevano letto attentamente i contenuti? Ci volevano tutti questi anni per fare il ripasso? O è stato piuttosto il risultato della “magia” dell’agire politico? Ciò non dovrebbe comunque scandalizzare perché in questo senso tutto il mondo è paese! L’ipotesi più accreditata da parte di diversi osservatori, è quella legata all’esigenza di future alleanze politiche con settori conservatori, identitari e sovranisti. Come ben si sa, la vicenda italiana lo dimostra, la politica ha spesso dei risvolti sorprendenti. In questa sede però non è il caso di addentrarci in una lettura dell’attualità politica turca. Ritengo opportuno, invece, soffermarci a riflettere, ragionevolmente sulle reazioni infervorate, dei simpatizzanti di Erdogan, nei confronti di coloro che hanno espresso un pensiero critico riguardante il ritiro dalla convenzione. Perché la critica all’abbandono della convenzione di Istanbul ha suscitato in molti musulmani attivisti, delle forti reazioni come se si trattasse di un attacco all’Islam? La Turchia fino a prova contraria è un paese laico e il presidente Erdogan stesso ha giurato di rispettare le istituzioni laiche dello stato e non mi risulta che egli abbia la velleità di presentare la propria esperienza come fosse la costruzione di una nuova “Medina”. Del resto Turchia e la Tunisia sono gli unici paesi islamici che hanno vietato la poligamia e Erdogan nell’arco di tutti questi anni in cui è stato al potere non ha mai segnalato di volere reintrodurre la poligamia come invece vorrebbero certi movimenti religiosi. Quindi perché tutta questa veemenza e queste esternazioni offensive contro donne e uomini che la pensano diversamente?

Criticare l’uscita dalla convenzione di Istanbul non significa denigrare l’intero operato di Erdogan e del suo partito AKP né lodare Al-Sissi e il principe saudita Mohammad Ben Salman, come qualcuno cerca di insinuare – da notare per altro che nell’ultimo periodo, si sta registrando un miglioramento dei rapporti tra Arabia Saudita, Egitto e Turchia, un avvicinamento che desta non poche preoccupazioni tra gli oppositori egiziani in stanza ad Ankara e a Istanbul. La critica al ritiro della convenzione inoltre non va letta come fosse un servizio a Macron, Biden o agli aytollah dell’Iran. Quello che è certo è che qualunque spiegazione dia la Turchia a questo punto non fa una bella figura.

Il secondo avvenimento che ha provocato alcune controversie negli ultimi giorni, si riferisce alla scomparsa di Nawal Al-Sa‘adawi. Una donna che ha dedicato una vita intera impegnandosi contro la violenza sulle donne, la loro inferiorizzazione e la subalternità dell’universo femminile. E’ stata una voce coraggiosa e temeraria conosciuta in tutto il mondo arabo e non solo. La sua scomparsa proprio nella giornata del 21 marzo, giornata di lotta contro i razzismi, le discriminazioni e le segregazioni, la renderà sempre presente nella memoria in occasione di questa ricorrenza.
Nell’arco della sua lunga vita Nawal Al-Sa‘adawi ha condotto con fermezza aspre battaglie a favore degli emarginati, dei poveri e degli sfruttati. Essa ha dato un contributo eccezionale alla lotta anti coloniale e ha saputo riconoscere e nominare le contraddizioni e le ipocrisie delle società arabe pesantemente condizionate da visioni classiste, clanistiche e razziste. È vero che Al-Sa’adawi era contraria al velo e al significato che molti gli danno.

Tuttavia lei ha assolto in modo straordinario all’impegno sostanziale dell’essere musulmano contrastando i costumi e le tradizioni in cui vige una concezione tribale, il dominio di una casta mercanteggiante e la pratica schiavistica, tutte pratiche tutt’ora diffuse, purtroppo, in diversi paesi arabi. Non era forse lo sradicamento di queste pratiche uno degli obiettivi principali della missione del Profeta Mohammed? Lei ha cercato di svelare con determinazione, nonostante molti ostacoli ed enormi difficoltà, le troppe storture mentali e i comportamenti aberranti radicati in molti settori delle realtà arabe. La personalità di Nawal Al-Sadawi va quindi ricordata soprattutto per il coraggio e il pensiero libero che sono sempre stati un segno distintivo delle sue gesta. Le sue battaglie rappresentano un insegnamento fondamentale da cui apprendere anche se non si condivide il suo intero percorso.

Di Adel Jabbar

Adel Jabbar sociologo dei processi migratori e relazioni transculturali. Ha insegnato sociologia delle culture e delle migrazioni all’Università Ca' Foscari di Venezia e Comunicazione interculturale all’università di Torino. Libero docente incaricato nell’ambito della sociologia della migrazione in diverse università italiane. Collabora con le seguenti riviste: Cem mondialità(BS), Fenomenologia e Società(TO) e Confronti(Roma). Svolge attività di ricerca e formazione per diversi organismi di ricerca e enti locali.

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