Il 15 maggio scorso Papa Francesco ha ricevuto don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’associazione Meter che dal 1989 si occupa di contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia. “L’abuso sui minori è una sorta di ‘omicidio psicologico’ e in tanti casi una cancellazione dell’infanzia”, ha dichiarato il Pontefice in quell’occasione. “Anche oggi vediamo quante volte nelle famiglie la prima reazione è coprire tutto; una prima reazione che c’è sempre anche in altre istituzioni e anche nella Chiesa”.
L’incontro mi dà l’occasione per sfiorare un tema, quello della lotta alla pedofilia negli ambienti religiosi, a cui mi accosto con l’umiltà di un’interessata che raccoglie notizie da tempo ma non ha l’ampiezza di conoscenze necessaria per offrire un inquadramento globale. Per altro verso, vorrei sfuggire alle reazioni opposte che spesso si rilevano quando si parla di abuso sui minori: totale difesa dei sacerdoti da una parte, totale condanna dall’altra.
Un argomento che divide è la frequenza degli abusi negli ambienti ecclesiastici. Nel discorso comune i detrattori della Chiesa ritengono che tanti sacerdoti siano abusanti e vengano sistematicamente coperti, al più spostati da una parrocchia all’altra o da un Paese all’altro; sull’altro fronte i difensori ricordano quanto l’abuso sia praticato soprattutto altrove, in famiglia intanto e poi a scuola, nel rapporto con vicini di casa, amici dei genitori e via discorrendo. Da un certo punto di vista entrambe le posizioni sono giuste e, purtroppo, le statistiche non aiutano.
Secondo uno studio del CENSIS risalente al lontano 1998 (“Sfruttamento sessuale e minori: nuove linee di tutela”), basato su dati ministeriali, il 90% dei casi di abuso su minori in Italia avviene in famiglia mentre circa lo 0,07% riguarda il clero; questa era infatti la percentuale di sacerdoti italiani condannati per pedofilia negli ultimi 50’anni, mentre nella società civile si contavano 21mila casi di pedofilia ogni anno (1 ogni 400 minori). Non c’è dubbio che i dati andrebbero aggiornati e che già allora risentissero di molteplici fattori. Conteggiare gli abusi sulla base delle condanne è l’unico modo serio di procedere per non entrare nella caccia ai fantasmi, ma è anche un modo molto limitato: non tutto ciò che accade viene denunciato, non tutte le denunce danno luogo a una condanna. A chi stesse pensando “sì ma la Chiesa ha sempre insabbiato” occorre dire, con Papa Francesco, che è vero, e anche le famiglie in molti casi lo hanno fatto e lo fanno ancora.
Vanno riconosciuti alla Chiesa Cattolica passi importanti da quando, nel Concilio Vaticano II, con ottime intenzioni venne compilato un fascicoletto per mettere in discussione il voto di castità. In esso erano accomunate pedofilia e relazioni consenzienti con persone adulte, ricalcando un altro aspetto del sentire comune: il sacerdote soffre di non poter vivere la propria sessualità, cerca di farlo nell’ombra e come può, con chi ha a disposizione. Se questo atteggiamento può inquadrare una parte del problema, è evidente come trascuri la differenza tra un bambino, vittima, e un partner adulto, che certo affronterà dubbi o rischi per quella relazione ma lo farà alla pari e per scelta. Anche oggi, oltre le dichiarazioni, la tutela delle vittime rimane spesso sullo sfondo. Nel rapporto pubblicato a marzo 2021 sugli abusi su minori nella chiesa di Colonia, in Germania, si parla di un fascicolo fino a quel momento secretato intitolato “Fratelli nella nebbia” dove erano raccolte le denunce verso sacerdoti abusanti. La preoccupazione per i fratelli smarriti è comprensibile e necessaria, purché non confonda in una nebbia ancora più fitta le loro vittime.
In un clima che possiamo immaginare di grande tensione e opposte correnti, con Papa Francesco, ma già con Benedetto XVI prima di lui, la Chiesa ha avuto il coraggio di ammettere le proprie mancanze e di darsi regole diverse. Per stare agli ultimi anni ricordiamo che nel 2019 Bergoglio ha voluto un summit di quattro giorni sugli abusi sessuali nel quale anche alcune vittime hanno avuto spazio di parola, una iniziativa impensabile fino a qualche tempo prima. Il discorso di Papa Francesco è come sempre potente. “Vorrei qui ribadire chiaramente: se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – tale caso sarà affrontato con la massima serietà. Fratelli e sorelle: nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato da questi disonesti consacrati. L’eco del grido silenzioso dei piccoli, che invece di trovare in loro paternità e guide spirituali hanno trovato dei carnefici, farà tremare i cuori anestetizzati dall’ipocrisia e dal potere. Noi abbiamo il dovere di ascoltare attentamente questo soffocato grido silenzioso”.
Nello stesso anno Bergoglio ha abolito il segreto pontificio sui casi di abusi sessuali (quello in base al quale, in presenza di una denuncia per abuso a carico di un prelato, l’Autorità Giudiziaria non poteva procedere a meno di ricevere l’esplicito consenso da parte della Chiesa) ed è stato istituito un Servizio nazionale per la tutela dei minori che ha corrispettivi a livello regionale e diocesano, con vescovi e laici incaricati di sviluppare progetti di prevenzione e assumere le eventuali denunce. Inoltre, nel 2020 la Chiesa Cattolica ha emanato un vademecum su come trattare i casi di pedofilia nel clero.
Non c’è dubbio che gli scandali susseguitisi in tutto il mondo negli ultimi trent’anni abbiano dato un’accelerazione importante. Il fatto che tante vittime si siano decise a parlare ha determinato una svolta su cui si tornerà. E una svolta sarà anche la trasformazione in atto nella formazione dei sacerdoti, rispetto a tempi nei quali il rapporto con il corpo e con il desiderio era talmente coartato da – quantomeno – contribuire alla maturazione di una sessualità distorta.