• 2 Luglio 2024 20:21

Repubblica: bene comune

DiDaniele Lugli

Giu 6, 2022

Passo buoni giorni al mare vicino, che ho imparato ad apprezzare. Complice anche un piccolo intervento faccio un po’ il convalescente. Passeggio e ancora, incredibilmente, niente bagni. Da anni non lascio passare maggio. Penso a un post marino, anche se la limitata vita sociale non mi offre molti spunti.

Ci sarebbe la storia di un cane liberato da una reclusione, dalla nascita fino ai tre anni, in spazio ristrettissimo. Da un anno è affidato alle amorevoli cure di un signore. L’am fa danàr: dice, guardandolo con amore ricambiato. Ora il cane pare essersi invaghito di una cagna più giovane.

C’è la vicenda, merita approfondimento, di un tale che ha trasportato al mare 30 chili di cipollotti e li ha sistemati in alto. Non so come e dove, né se pensi a un consumo personale o altro. Vorrei vedere la bimba per la cui nascita al lido confinante hanno messo un fiocco rosa dal balcone del primo piano fino a terra. Sto tenendo d’occhio grandi e tondi orologi apparentemente fermi. Li fotografo e controllo che effettivamente lo siano. Ai due lati segnano ore molto differenti. C’è un percorso che compio con una piccola variante. Incontro un’altra coppia e lui dice a lei: “Ci sono 10 metri di differenza”. Non gli chiedo se si riferisce alla variante.

Per me ce ne sono di più. Insomma, magari aggiungendo qualche mio vecchio raccontino sull’amore dei crostacei – ho preso un granchio, gongolò la granchia; ho preso una cotta, arrossi il gambero… – potrebbe bastare per un post marino, estivo. La festa della Repubblica mi suggerisce però un ricordo di qualche anno fa. C’è appena stato il terremoto e scrivo una lettera al giornale cittadino. Lo dirige un giornalista che stimo. Lo pubblica non nelle lettere, ma in prima pagina di spalla, se bene ricordo. Lo rintraccio ed eccolo, non aggiungo considerazioni sul momento presente. Mi sembra attuale così.

 

La mala parata

In molti, con modi appropriati e inappropriati e con argomenti più o meno persuasivi, ma a quanto pare tutti inefficaci, hanno suggerito la non effettuazione della parata militare del 2 giugno. Spiace che il Presidente della Repubblica abbia ritenuto di non accogliere l’invito per riaffermare una sfilata che testimonierebbe dell’unità nazionale, particolarmente importante in un momento di crisi e lutto. Unica concessione, a quel che sembra, la riduzione dei passaggi delle Frecce tricolori e dello sferragliare di carri armati.

Io mi ritrovo nell’invito del Movimento Nonviolento, che precede il sisma, ad abolire la sfilata militare come caratterizzante la festa della Repubblica, cioè di un bene che è di tutti e non in primo luogo dei militari, che hanno il compito, non esclusivamente loro, di difenderla. Il terremoto ha reso solo più evidente quanto sia inappropriato il rito celebrativo del 2 giugno. Articolo 1 della Costituzione: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. E a conclusione dei principi fondamentali, prima dell’indicazione del tricolore, sta l’articolo 11, che ricordo per intero: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Quanto all’articolo 11, in violazione della Costituzione e della Carta della Nazioni Unite, non sono mancati e non mancano interventi militari che vanno al di là della previsione, pur essa costituzionale, della difesa della patria, articolo 52. Né conforta l’essere in compagnia di altri paesi in queste violazioni. Quanto all’articolo 1 non starò a sottolineare come gli stessi diritti di libertà abbiano la loro radice nel diritto al lavoro e del lavoro. E questo, pur solennemente riaffermato dalla Costituzione e dalle leggi, è fortemente insidiato per lavoratori maturi espulsi e per giovani e donne, che faticano ad accedervi. I lavoratori, vittime del sisma e della mancanza di sicurezza delle costruzioni, ci ricordano dolorosamente la precarietà di tutte le conquiste del lavoro e del diritto. Le vicende che hanno visto la morte principalmente di operai che avevano ripreso il lavoro, per loro e la comunità, ci ricorda però quale sia il fondamento della nostra Repubblica, del nostro vivere assieme. E quali pericoli realmente la minaccino. Non abbiamo messo in sicurezza un patrimonio storico unico al mondo, né i luoghi dove la gente lavora ed abita, pur essendo da secoli a conoscenza della fragilità del nostro territorio. Abbiamo in compenso varato pacchetti sicurezza di nessuna utilità per i cittadini, in odio agli immigrati, imbarbarendo, per tutti, la nostra legislazione.

Leggo che parata viene dal “parare”, latino che significa preparare e in particolare addobbare con ornamenti o evitare un colpo. Il sostantivo latino, che è maschile, “paratus” indica preparazione, ma anche apparato, pompa, abbigliamento. È il primo significato quello da promuovere. Occorre essere preparati, come suggerisce il Vangelo: “estote parati”, “siate pronti”, sia agli eventi salvifici che a quelli catastrofici. Soldati e volontari, ben preparati e coordinati dalla protezione civile, possono attenuare l’effetto dei duri colpi ricevuti dalla popolazione, evitare le conseguenze peggiori di quelli che arriveranno. È questa la “parata” che ci necessita. A tutti, secondo responsabilità e competenze sta dunque agire per prevenire con efficacia e costruire vera sicurezza.

Vedo infine che il significato specifico di “parata”, come rivista militare, deriverebbe dal “parada” spagnolo e dal “parade” francese, in origine indicanti il fermare il cavallo per esibirsi in groppa al destriero. Cogliamo l’occasione per fermare, almeno per il futuro, un’esibizione di cui non si sente alcun bisogno. Anche nel mio attuale compito di Difensore civico rilevo quotidianamente il distacco crescente dei cittadini dalle istituzioni, che dovrebbero rappresentarli e nelle quali dovrebbero riconoscersi. La rituale parata in armi non mi pare dia alcun positivo contributo.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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