• 3 Luglio 2024 7:29

Ada Rossi e Marmittone

DiDaniele Lugli

Lug 4, 2022

Ada Rossi è per me solo la moglie di Ernesto, finché in una ricerca su Silvano Balboni – divenuta poi un libro – non trovo una sua lettera.

“Roma, 21.1.1948 Carissimo Balboni, m’à fatto molto piacere essere ricordata da “marmittone”. Spesso con Esto noi pure la ricordiamo con simpatia.

Esto le spedisce a parte l’ultimo numero di “Mondo Europeo”, con le 2 relazioni di maggioranza e di minoranza. (Verrà al congresso federalista di Milano?) “Mondo Europeo” è in vendita nelle edicole, e se ad altri interessano le relazioni consigli di acquistare questo numero.

Il M.F.E. romano à ripreso vita: il 26 novembre u.s. à indetto una riuscitissima manifestazione

federalista al Teatro Eliseo con teatro esaurito. I discorsi dei relatori: Einaudi, Calamandrei,

Silone, Salvemini e del presidente Parri sono riuniti nel libro “Europa federata” che Esto le spedirà. L’“Europa federata”, oltre che presso i librai, si trova in vendita al prezzo ridotto di lire 200 presso le sedi del M.F.E. È un libro che vale la pena di acquistare per leggerlo.

Domenica prossima ci sarà un’altra manifestazione federalista sempre al Teatro Eliseo: parleranno

De Ruggiero, Carandini, Ivan Matteo Lombardo e probabilmente uno straniero, forse Guy Mollet del P.S. francese. Stasera ci troveremo con Mollet e con altri socialisti federalisti stranieri che sono a Roma per il XXVI congresso del P.S.I. Io ò seguito fin’ora questo congresso con interesse e stamane ò pensato a lei ascoltando Pietro Nenni… Mille cordiali saluti da Esto e da Ada Rossi, e le unisco alcuni francobolli che ho trovato nella sua busta”.

“Marmittone” – personaggio del Corriere dei Piccoli, mite e sfortunato soldato – lo chiama Ernesto quando Silvano, esule e internato militare, su presentazione di Luciano Bolis, fa visita ai coniugi Rossi, appena giunti a Ginevra nel marzo del 1944. Iniziano una frequentazione e collaborazione intensissime. Già nel luglio Balboni, finito il semestre di studi universitari, lascia Ginevra per campi di lavoro in diverse località, fino al rientro in Italia più di un anno dopo. I contatti vengono però mantenuti con un’intensa corrispondenza tra Silvano e Ada Rossi. Io trovo di grande interesse il periodo dalla diffusione del manifesto di Ventotene, al periodo svizzero durante la guerra, all’immediato dopoguerra. Sono gli anni di impegno straordinario per il federalismo del liberalsocialista Silvano Balboni, morto a 26 anni nel 1948. Sono anni nei quali è molto importante il rapporto con Ada Rossi. Di qui lo stimolo a conoscere un po’ più da vicino chi è questa donna. Un suo profilo si trova nell’opera di Antonella Braga e Rodolfo Vittori, Ada Rossi, Milano 2017, e molto altro si può rintracciare anche online. Mi limito a qualche notizia sul periodo precedente l’arrivo in Svizzera.

Ada è una “ragazza del novantanove”, figlia di Carlo Rossi, ufficiale di carriera per tradizione familiare morto nel 1912. La madre si risposa e la famiglia nel 1918 si trasferisce a Bergamo. Ada, già maestra, si laurea in matematica e fisica, ed è incaricata nel 1928 all’Istituto Tecnico dove insegna Ernesto Rossi, che ha due anni più di lei. Ernesto, ricercato per la vicenda del Non mollare, lascia Firenze, si rifugia a Parigi. Nell’ottobre del 1925 rientra in Italia per il concorso all’insegnamento. Risulta primo. Il fratello di Ada le dice: “è molto bravo, fa delle lezioni da Università… andrebbe d’accordo con te, sai quello è antifascista come sei antifascista tu”.

Ada ed Ernesto si frequentano. La loro relazione si fa forte. Ada è coinvolta nella cospirazione. Nel 1929 conosce gli antifascisti milanesi a partire da Bauer e man mano tutto il gruppo di Giustizia e Libertà. Ada lo sposerebbe ma “Mi piaci perché non pretendi nulla da me. Vedi, io non posso dare niente. Chi si appoggia a me rimane fregato, sono come il bastoncino di Charlot”. Le dà però dei soldi. Ha fatto la cessione del quinto: “Faccio così, perché se mi arresteranno, dopo non li restituirò”. Li richiederanno invece, con gli interessi, mentre è al confino.

Ernesto è attivissimo in Italia e all’estero, passando più volte, almeno sei, clandestinamente la frontiera. Ada conosce anche la madre di Ernesto a Firenze. È a casa sua il 27 luglio 1929, il giorno della fuga da Lipari di Lussu, Nitti, Rosselli.

Nel 1930 Ernesto Rossi è coinvolto per un attentato dimostrativo alle intendenze di finanza, compresa quella di Bergamo. L’azione non ha luogo, ma l’intero gruppo di Giustizia e Libertà è arrestato per il tradimento di Del Re. II 30 ottobre 1930, mentre sta tenendo la lezione di economia, Rossi viene arrestato. Ada va a Milano. Bauer e Calace sono stati arrestati, non Del Re con il quale lei, ignara del tradimento, si sfoga: “Per questa gentaglia ci vogliono le bombe, altro che foglietti di carta; prendere degli anni di galera per dei foglietti non vale la pena”.

Il 3 novembre Ernesto si getta dal treno diretto a Roma, per Regina Coeli. Cerca inutilmente aiuto nei pressi di Viareggio. È ripreso il giorno dopo. Il Giornale di Bergamo titola: “Carogna al laccio”. Ada dice a tutti che il Direttore l’avrebbe “preso a schiaffi in qualsiasi momento”: Ada non è nella retata, anche se i funzionari dell’Ovra la definiscono “elemento pericolosissimo”, “nihilista anarchica con tendenze terroristiche”. Perde la cattedra presso l’Istituto Tecnico. Vive a Bergamo col fratello. Il resto della famiglia si è spostato a Reggio Emilia. Dà lezioni private (40 ore settimanali) e qualche ora in un istituto femminile. Ha un colloquio con Ernesto, la credono sua sorella, l’8 dicembre 1930, assieme alla madre di lui. Dal 1931 Ada si reca a visitare Ernesto almeno una volta al mese, che diventano anche due quando è a Roma, con faticosi viaggi per brevi colloqui in presenza delle guardie carcerarie. Da fine novembre 1930 all’estate 1943 Ada scrive 977 lettere.

Alla fine di maggio 1931 Ernesto è processato coi suoi compagni dal Tribunale Speciale. Un appello, promosso all’estero da Salvemini, sottoscritto da numerose personalità europee influisce forse sulla sentenza: non pena di morte ma venti anni di carcere. “Non me lo fucilano, e quando è vivo, vedremo”. Al processo le donne non possono assistere.

Dopo la condanna l’avvocato riesce a farlo trasferire a Pallanza, pensando a una fuga possibile. “Ernesto questa volta te lo chiedo sul serio: mi sposi?” “Fai quello che vuoi, pensaci bene”. Ada propone il 24 ottobre “Sì, guarda, credo di essere in casa quel giorno”. Il 24 ottobre 1931 nell’ufficio del direttore del carcere penale di Pallanza, celebra il podestà, testimoni due questurini. “Aver saputo che c’era la finestra aperta, avremmo potuto combinare che lui si buttasse giù” pensa Ada. In un rapporto dei carabinieri del, 31 ottobre Ada viene descritta come elemento pericolosissimo, profonda odiatrice del fascismo, un’anima ribelle, che avrebbe sposato Ernesto per legare la propria vita alla causa politica del marito. Ernesto pensa alla fuga. Ada deve andare a Milano per il passaggio in Svizzera. La cosa non riesce. Lui la saluta a modo suo “Guarda, non mi fare trovare la casa troppo piena di figlioli, qualcuno ma non troppi”.

Ernesto è trasferito da Pallanza a Piacenza, 24 novembre 1931. Ada organizza l’evasione: una guardia pagata, una sega da ferro, una corda di seta. L’impresa fallisce. Ada è attentamente sorvegliata. I suoi spostamenti segnalati telegraficamente alle questure interessate, partenze, arrivi, pedinamenti, luoghi frequentati, persone incontrate. Le lezioni private di matematica sono anche lezioni di antifascismo e di formazione per studenti e studentesse bergamaschi. E non solo: da Milano viene ad esempio Luciano Bolis. Le lettere dal carcere di Ernesto sono lette da Ada ad amici e studenti. I coniugi perfezionano il cifrario per trasmettere notizie riservate. Negli incontri, nei momenti vicini, Ernesto passa o fa cadere un rotolino o pallottoline quasi invisibili (carta di sigarette con minuta calligrafia) nella scollatura di Ada. Ada è altrettanto rapida a passargli biglietti che non supererebbero la censura. Massimo Mila, compagno di carcere, ricorda le visite di Ada, “Lady Rossi” la chiama con Bauer e i più intimi. Ernesto accetta. Crede dicano “l’è di Rossi” ‘un si tocca.

Rossi ringrazia i suoi studenti dei saluti portati da Ada. Gli studenti rispondono firmando tutti e indirizzando al carcere di “Regina Coeli”: “Eccezionalmente gradita ci è stata la lettera ch’Ella si è compiaciuta di trasmetterci per cortese intercessione della Sig.na Rossi. Essa ci ha commosso, in quanto è venuta a riprovare quei sentimenti di reciproca comprensione e di affetto che si erano venuti formando attraverso tante belle lezioni; del resto è noto come gli studenti, anche se apparentemente non lo dimostrino, amino assai quei pochi tra i loro insegnanti che insegnano con ammirabile passione e profonda conoscenza della materia… Attendiamo con fiduciosa sicurezza il giorno che Ella, chiarito ogni sempre possibile malinteso, tornerà tra noi simpaticissimo Professore a istruirci con la Sua chiara parola. ArrivederLa a presto!”.

Alla lettera seguono due inchieste. Gli studenti sono ammoniti; il preside Marenghi è trasferito a Ravenna; il prof. Alberti, durante la cui lezione è stata scritta la lettera, muore d’un colpo dallo spavento. La professoressa di scienze è ammonita per aver detto che “Ernesto Rossi non era morto”.

Ridotto a otto anni il periodo di detenzione per alcuni condoni, nel novembre 1938 Rossi è assegnato al confino di Ventotene per altri cinque anni. Ada lo va a trovare. Incontra compagni già noti come Bauer e conosce persone a Ernesto molto vicine come Colorni e Spinelli.

Nell’estate del 1941 non le è difficile passare, con tecnica collaudata, in continente il testo del cd. Manifesto di Ventotene scritto su carta sottilissima e minuta grafia. Le matite le aveva temperate lei. È riprodotto e diffuso largamente, prima della sua edizione ufficiale del 1943. Ne conosce una prima versione Silvano Balboni con il suo gruppo a Ferrara già nell’autunno del 1941.

Sul finire del 1942, il Federale di Bergamo Gino Gallarini, chiede formalmente al Prefetto “un radicale e opportuno provvedimento di polizia” nei confronti di Ada. Il Prefetto nel dicembre 1942 invia Ada al confino: inizialmente a Forino (Avellino), poi marzo 1943 a Melfi (Potenza). Lì trova Eugenio Colorni. Trasferito da Ventotene nell’ottobre del 1941, il 6 maggio del 1943 riesce a fuggire. La sorveglianza su Ada da quel momento è asfissiante. Ottiene un trasferimento a Maratea, non al mare, sempre Potenza.

Con la caduta del fascismo riacquista la libertà e riesce a ricongiungersi col marito dopo tredici anni di separazione. Lui non è più al confino, ma dal 9 luglio, con Vincenzo Calace e Riccardo Bauer, è a Regina Coeli per un nuovo processo al Tribunale Speciale, con previsione di tre condanne a morte. È scarcerato il 30 luglio e riarrestato lo stesso giorno per la diffusione di un manifesto del gruppo federalista, che proclama la necessità della guerra ai tedeschi. Rimesso in libertà si reca

a Firenze dai famigliari. C’è anche Ada. Si abbracciano: “Era un anno che non lo vedevo, perché ero stata a Ventotene per l’ultima volta nell’agosto del 1942”.

I Rossi sono a Milano alla fondazione del Movimento federalista europeo (MFE) a casa di Rollier. Nel settembre sono a Firenze al Congresso del Partito d’Azione. Ritornati a Bergamo partecipano alle prime fasi del movimento resistenziale. Le cattive condizioni di salute di Ernesto li costringono però a rifugiarsi in Svizzera nel settembre 1943, dove rimarranno fino agli inizi di aprile 1945.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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