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Di bullismo si muore

DiElena Buccoliero

Set 8, 2022
Buccoliero bullismo

I primi studi sul bullismo sono iniziati in Scandinavia e nel Regno Unito negli anni Settanta in seguito a diversi episodi drammatici. Adolescenti che si toglievano la vita lasciando un ultimo messaggio nel quale affermavano di non poter più sopportare le vessazioni che erano costretti a ricevere dai coetanei.

Si era ben lontani dall’uso dei social allora, ma già il bullismo – non ancora cyber – poteva avere conseguenze letali, come abbiamo visto anche in Italia, con una ricorrenza del bullismo omofobico che più di altre tipologie ferisce nel profondo la vittima.

È sempre molto difficile in queste vicende dimostrare l’istigazione al suicidio – e cioè un nesso di causalità tra le prepotenze avvenute e la morte di chi le subiva – e non sappiamo che cosa accadrà nel caso di Alessandro, il ragazzo di 13 anni che a Gragnano è morto dopo una caduta dal quarto piano non si sa ancora se per incidente o in modo voluto, ma che certo aveva sul cellulare messaggi molto pesanti ricevuti da un gruppo di 6 giovani, di cui 4 minorenni. (Peraltro, il fatto che del gruppo facessero parte anche due ragazze non mi sembra nuovo né particolarmente degno di attenzione. Da sempre, e in misura crescente negli anni, il bullismo è praticato da entrambi i sessi, specialmente quello elettronico).

Quello che invece è facile affermare, è che l’esposizione a prevaricazioni ripetute che mettono in dubbio il valore della persona fino al diritto di vivere possono spingere a farsi del male. Nel bullismo, che si dà proprio quando le prevaricazioni si ripetono nel tempo in modo unidirezionale, la caratteristica è quella di un’escalation che può spingere chi ne è bersaglio a un ritiro progressivo: dalla scuola, dal gruppo di amici, da un rapporto sereno con se stessi come può emergere nel cibo o nel sonno e, infine, nel ritiro dalla vita. L’uso dei cellulari e i social hanno potenziato tutto questo, hanno reso incessante e pervasivo l’attacco esponendo la vittima a un pubblico potenzialmente sterminato di follower quando le umiliazioni entrano in rete. Questo per Alessandro non è stato detto, si parla fin qui di messaggi individuali.

Ripenso a chi vorrebbe estirpare la devianza dal mondo giovanile e mi domando se in quell’ottica, nel caso di specie, il deviante sarebbe Alessandro che forse è arrivato a farsi del male (come altri ragazzi o ragazze vittime di bullismo o con problemi di autolesionismo, disturbi alimentari, dipendenza… pure citati nell’elenco delle devianze giovanili) o coloro che quei messaggi li hanno inviati. Se si ritiene debbano essere espulse le persone “deboli”, la notizia è che qualche volta ci pensano da sole. Non mi sembra un gran vantaggio, per nessuno di noi e prima di tutto per i familiari, gli amici, per chi li ha amati, e per il futuro cancellato, per tutto ciò che avrebbero potuto vivere e donare e non hanno fatto.

Non è scontata questa riflessione, lo dimostra la notizia relativa a “un ufficiale dei carabinieri che su Instagram condanna il parere di una psicologa secondo cui le parole sono armi e se la prende invece con l’educazione ricevuta dalla vittima: Se allevi conigli non puoi pretendere leoni”.

Presentata dal quotidiano come frase choc, a me sembra dia voce a una concezione neppure troppo minoritaria della quale chi si impegna nel contrasto alla violenza tra i giovani deve prendere atto, farla emergere e metterla in discussione con genitori e insegnanti, e con i ragazzi ugualmente, per dirci che cosa intendiamo quando parliamo di forza o di debolezza. Per dirci che la vita o la dignità della persona non sono meriti da acquisire sul campo – e da annullare a chi non ce la fa – ma una dote che ci caratterizza dalla nascita, sta nel nostro essere persone, che possono sbagliare o ferire ma non per questo dovrebbero essere soppresse, neppure simbolicamente come con un messaggio che recita: “Ti devi uccidere”.

All’opposto c’è quell’altra visione per cui, appunto, nella vita bisogna essere forti, reagire, andare oltre e al limite rendere la pariglia, male per male, pur di difendere il proprio onore. Chi non ce la fa soccombe per natura. (Mi viene in mente la tenerezza con cui Aldo Capitini dedicava un elenco sterminato di aggettivi per le persone fragili riaffermandone ogni volta la dignità).

Ci dice ancora il militare: se si parla di adolescenti la responsabilità non è di chi soccombe ma di chi lo ha allevato in quel modo, così gettando un peso inaccettabile su chi già vive il dolore più grande e nessuno ha il diritto di giudicare.

Vorrei non fosse utopia una società che sa prendersi cura dei ragazzi e delle ragazze e li educa a comporre i conflitti – inevitabili – non dimenticando mai di rispettare la dignità dell’altro. E vorrei che in un gruppo di sei persone, di cui due maggiorenni, ci fosse chi ferma la giostra e dice all’amico: stiamo esagerando, non è giusto, non va bene. Che tra quei sei, specialmente tra i minorenni se ancora una differenza ha senso, ci fosse qualcuno che parla con un genitore o un adulto del malessere indubbio che lo spinge a desiderare l’annientamento di un’altra persona. E vorrei che tra gli amici che stanno intorno a quei sei ci fosse, ancora, qualcuno che insinua un dubbio vero e porta a riflettere su quanto sia lesivo per un ragazzo di 13 anni ricevere continui attacchi fino a sentirsi alle corde. Tra le altre cose, l’idea che tutto questo si insegni o si prevenga con un’intensa attività sportiva, come pure in queste settimane è stato suggerito, e non approfondendo relazioni, praticando dialoghi difficili, accettando di avere a che fare con l’inquietudine… mi pare bizzarra, senza nulla togliere al valore dello sport.

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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