Il fanciullo nella liberazione dell’uomo è il titolo della comunicazione che dovrei presentare al Seminario di educazione alla pace e alla nonviolenza, giovedì scorso, 13 ottobre, a Ravenna.
Introduce, sugli scopi dell’iniziativa Giancarla Tisselli, psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, Associazione Psicologia Urbana e Creativa, autrice tra l’altro di “Dalla rabbia alla gentilezza “. Intervengono, in collegamento, Luigi Zoja, Tu sei il male: la sostituzione dell’analisi politica e psicologica con l’atteggiamento persecutorio, in presenza Michele Piga, Associazione Psiche digitale, La violenza sul Web, proposte per uscirne e, ancora in collegamento, Lea Melandri, Il corpo a scuola. L’educazione portata alle radici dell’umano. L’esperienza del movimento non autoritario nella scuola.
A questo punto dell’incontro la traccia scritta mi pare inadeguata. La seguo poco e vado fuori tema forse. Sottraggo pure qualche minuto alla precisa esposizione di Elena Buccoliero, L’educazione emotiva e alla gestione dei conflitti come antidoto. La generosa accoglienza di un pubblico prevalentemente di insegnanti mi fa pensare di aver un po’ contribuito ad interessare al pensiero di Capitini e alla sua utilità in campo educativo.
Capitini propone un’aggiunta all’educazione tradizionale, a quella storicista, a quella attiva, rilevandone meriti e limiti. Le prime due danno una netta prevalenza all’educatore, “la parte del leone”, dice sempre Capitini. La terza vede protagonista il fanciullo, che si educa da sé con l’aiuto dell’educatore. Ma questi ha un compito più difficile e necessario: “Porre il presente come quello che può fare più e meglio che il passato”. Non pare che il tempo che viviamo abbia in sé queste caratteristiche. Il progresso tecnico scientifico cambia il mondo, attorno e dentro noi. Ci sentiamo e siamo trascinati da forze estranee al nostro controllo, personale e collettivo. Tuttavia “L’educazione è la concreta occasione a vivere il superamento del mondo e della sua ripetizione, incontrando il di più”.
L’educatore che piace a Capitini non è il sacerdote che trasmette il sapere ma il profeta che agisce nella comunità, in aperta polemica con la realtà circostante. È critico del presente, aperto al futuro, in nome di valori – magari pure proclamati – antitetici alla pratica corrente. L’aiuto viene dal fanciullo che, parola di Capitini, “è il figlio della festa, perché con la sua fiducia ci preannuncia una realtà liberata dai limiti del passato… la presenza dei bambini, il loro crescere, la loro apertura, la loro novità e la loro certezza ci fa segno di una realtà liberata… da un rischio, che corriamo, ci salva l’affetto aperto ai bambini, come inizio nuovo: è segno di senilità per le persone e per le civiltà tornare sempre alla propria fanciullezza, mentre è segno di apertura affezionarsi ai bambini ora viventi: avete questi, e perché stare a rievocare, affranti e stupefatti, la vostra infanzia?”. “Niente è più contemporaneo dei bambini”, dice Zavattini.
A me piace una definizione che Capitini propone per la nonviolenza: apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo degli esseri. Il mondo in cui viviamo non è così. L’educatore sente la necessita della trasformazione. Riconosce la violenza diretta, culturale, strutturale, che in varie forme caratterizza il nostro presente. Ce ne dimenticassimo, una guerra vicina pensa a ricordarcelo. Questa educazione profetica io la vedo all’opera. Cito un esempio di dieci anni fa. Un istituto comprensivo di Ferrara (elementari e medie) vince con il progetto pluriennale “Tanti Ponti” un premio di “Buone Pratiche di Educazione”. Sono allora Difensore civico dell’Emilia Romagna e pure del Comune di Ravenna. (È così che conosco una straordinaria amministratrice, impegnata nel sociale, Giovanna Piaia, che rivedo al seminario dove introduce sia me che Elena).
In quella scuola ferrarese i bambini con gli insegnanti e i mediatori culturali fanno un ottimo lavoro. Nella scuola c’è una forte presenza di immigrati. Molte le iniziative perché tutti si sentano a casa loro. Mettono in pratica i consigli preziosi del “Tentativo di decalogo per una convivenza interetnica” di Alex Langer. Conosco questo straordinario costruttore di ponti tra genti diverse, spesso ostili, quando non apertamente nemiche. Porta nella politica europea il meglio dell’ambientalismo e della nonviolenza. La sua morte volontaria lascia un vuoto non colmato. La scuola è forse l’istituzione che risponde meglio all’immigrazione. Questa trova impreparati – per non dire di leggi e pratiche disumane dominanti – gli Stati e l’Unione Europea.
L’Italia è un paese di emigranti, di molti emigranti. Anche il nostro Papa è figlio di emigrati in Argentina. Solo dal 1980 le persone immigrate sono di più delle emigrate. Capitini, pochi mesi prima di morire nel 1968 – ancora gli immigrati sono pochi, pochi – scrive di “moltitudini di donne, giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civiltà, che è l’apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perché essere così esclusivi (razzisti) verso altre genti? Ormai non è meglio insegnare, sì, l’affetto per la propria terra dove si nasce, ma anche tener pronte strutture e mezzi per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza è un’altra atmosfera per tutte le cose e un’altra attenzione per le persone e per ciò che possono diventare”. È questa attenzione a far sì che i bambini fioriscano, come è giusto e possibile. Negli adulti, me compreso, vedo invece spesso bambini andati a male. Incontro e dico varie cose ai bambini, agli insegnanti, ai mediatoti, ai genitori Sembrano apprezzare. Non dico dei bimbi andati a male.
Dunque è forte l’aiuto che i fanciulli possono darci e sarebbe anche migliore se non negassimo I diritti naturali di bimbi e bimbe. Li ha elencati Gianfranco Zavalloni, di Cesena, direttore didattico, amico dei bimbi e della natura. È morto, in piena attività, già dieci anni fa. Consiglio una visita a un sito a lui dedicato. Ho rivisitato quel testo e, pensando all’esperienza passata con mia figlia e a quella, allora molto presente, con mia nipote di tre anni, ne è uscito un testo pubblicato in un foglio di Lega Ambiente, gennaio 2001, poi su questo sito nella prima e seconda parte, e ora nel libriccino “Sassolini di Pollicino”.
In Giuseppe Stoppiglia, un sacerdote, un educatore, un amico ritrovato dopo molti anni (ora compresente, direbbe Capitini), trovo che “l’educazione richiede apertura all’inedito generazionale, approfondimento sull’intercultura tra incontro e scontro, tra dialogo e colonizzazione. Troppo spesso, invece, le scuole cancellano i desideri dei bambini. Il programma della scuola, quella teoria di saperi che i professori tentano di insegnare, rappresenta i desideri di un altro, non del bambino. Forse di un burocrate che poco capisce i desideri dei bambini. Bisogna che le scuole insegnino ai bambini a prendere coscienza dei propri sogni”. Il visionario Zavattini, nel febbraio del 1947, voleva istituire Il premio dei desideri dei bambini. Sono i desideri e i sogni dei bambini che – lo ricorda Lea Melandri da protagonista – “L’erba voglio” prende sul serio.
Ho citato educatori di qualità. Di altri che ho conosciuto potrei pure dire. Fortunatamente ce ne sono di vivi, anzi di vive. Il mio tentativo di immettere uomini, già nei primi anni Settanta, nelle scuole dell’infanzia non ha avuto grande successo. Il lavoro è troppo duro. Appena possibile i vincitori di concorso sono passati ad altro incarico. Così è alle maestre della rete delle scuole comunali che, tre o quattro anni fa, con Elena Buccoliero, tengo un corso di aggiornamento, articolato e apprezzato, basato
proprio sul decalogo di Langer. Adesso sono tante le scuole, figlie tutte della Casa dei bambini, voluta e promossa nel ’47 da Silvano Balboni, seguace di Capitini, morto l’anno dopo a 26 anni. La scuola tutta, come antidoto alla pressante richiesta sociale: più veloce, più in alto, più possente – secondo il motto olimpico citius altius, fortius – potrebbe adottarne l’inversione langeriana: lentius, profundius, suavius, più lento, più profondo, più dolce.
Molto si richiede all’educatore, ma che ne è del suo lavoro? Edoardo Galeano forse mi aiuta: “Sulle rive del mare si ritira un vasaio negli anni della vecchiaia. Gli si velano gli occhi, gli tremano le mani, è arrivata la sua ora. Allora si compie la cerimonia dell’iniziazione: il vasaio vecchio offre al vasaio giovane il suo pezzo migliore. Così vuole la tradizione: l’artista che se ne va consegna il suo capolavoro all’artista che viene iniziato. Il vasaio giovane non conserva quel vaso perfetto, ma lo butta per terra, lo rompe in mille pezzi, raccoglie i pezzetti e li incorpora alla sua argilla”. Solver et coaugula dice Langer.
La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata dice Capitini, ma dice pure Ai fanciulli prometterò di giocare con loro perché so inventare. Lo ripeto anch’io. È quello che faccio appena ne ho occasione.