Di ritorno da una visita alla Casa-museo di Matteotti a Fratta, accolto dalla gentile e preparata direttrice Ludovica Mutterle, ho davanti a me due libri: “Lettere a Velia” e “Lettere a Giacomo”, curati – come sempre benissimo – da Stefano Caretti, con ottime introduzioni di Garin e Timpanaro. Ce n’è abbastanza per voler meglio conoscere Velia Titta che per me è, fin qui, “solo” la compagna di vita di Giacomo Matteotti.
Sfoglio e leggo il primo scambio. C’è una cartolina da Fratta del 21 agosto 1912: “Non creda a tutte le mie tristezze o ai miei vaneggiamenti. Mi vengono fatti quando scrivo, ma non sono della mia vita. Essa è lotta, speranza, è ardente; e vorrei fosse molteplice. Allora vorrei che una fosse tutta per Lei, vicino a Lei. E i miei timori sono solo perché quest’una è unica, e in Lei si perderebbe tutta. Ma non pensi male; presto ci rivedremo”. Si sono lasciati da poco, dopo una casuale conoscenza a Boscolungo, frazione di Abetone, durante le ferie estive. Siamo sui milletrè. Giacomo ci va anche a sciare d’inverno. C’è un’altra lettera da Fratta, non riportata, alla quale Velia risponde diffusamente da Milano il 9 settembre. Riproduco solo la prima frase e l’ultima “Caro Dottore, ho avuto stamane la sua lettera tornando dal Duomo. Come sono sempre tristi le sue espressioni e quanta pena mi danno; mi fa tanto male sentire che lei possa credere che io sforzi l’anima mia verso un sentimento così profondo come quello che è in me; e questo soltanto per accontentare lei; no, non mi riuscirebbe mai far questo per concessione; al solo pensiero mi sento ribellare tutta me stessa… Stia allegro, lo era tanto quando l’ho conosciuto, o mi sembrava; lo desidero sempre tanto felice; vorrei essere ancora sulla stradina dove ci fermammo il giorno di San Marcello, per stringere ancora una volta il suo capo nelle mie mani”.
La chiusa ci dice che il 14 agosto sono assieme. San Marcello – vescovo di Apamea e distruttore di templi pagani, linciato dai devoti della vecchia religione – si festeggia (pochi lo sanno, Velia evidentemente sì) il 14 agosto. Non è da confondere con il San Marcello, sempre di Apamea, ma abate di Costantinopoli (29 dicembre) né con San Marcello papa (16 gennaio) patrono del vicino comune di San Marcello, i cui abitanti si chiamano marcellini.
Si danno del Lei i due per un anno, prima di passare al tu. In quel periodo Giacomo è – come sempre e sempre sarà – impegnatissimo nell’azione politica e sociale. Ferma è la sua opposizione all’aggressione della Libia. Scrive e promuove iniziative contro la guerra. In particolare organizza un comizio di Argentina Altobelli nella grande corte della sua abitazione, aggirando così il divieto prefettizio. “Un’orgia di chiacchere antipatriottiche e volgari a Fratta”, titola per l’occasione il Corriere del Polesine.
Velia e Giacomo si sposano l’8 gennaio 1916 a Roma, dove ora Velia risiede. L’Italia è in guerra. Per scongiurarla Matteotti ha proposto, inascoltato, perfino l’insurrezione. Ancora la sera del 7 e la mattina dell’8 sembra che il matrimonio possa non esservi, per il rifiuto di Matteotti di aggiungere, all’unione civile, il rito religioso. Lo attesta uno scambio di lettere. Conclude Velia invitandolo in Campidoglio: “Vieni, saremo felici lo stesso, tu continuerai la tua vita, e io non posso in questo giorno mentire e dirti cosa non vera o nascondere il mio cuore. Sarò religiosa lo stesso, ci vorremo bene lo stesso, vivendo uniti in qualsiasi lotta. Sii tranquillo, nulla potrebbe mai separarmi da te”. Nel pomeriggio si sposano. La guerra li separa però. Matteotti è in congedo illimitato perché gravemente malato. Di tisi muoiono il fratello maggiore Matteo, a 33 anni, e il minore Silvio a 23.
In Consiglio provinciale a Rovigo, il 5 giugno.1916 gli viene tolta la parola per dichiarazioni disfattiste e viene denunciato. Nella lettera alla moglie, preoccupata, Matteotti minimizza: “Ho detto loro quel che avevo nell’animo, contro la barbarie e inciviltà della guerra; ne è nato uno scandalo – minacce di arresto. Poi tutto è finito nel nulla”. La condanna è mite: un mese di carcere con la condizionale.
L’esercito si ricorda però di Matteotti. La pratica relativa è aperta il giorno dopo il suo discorso sulla guerra. Va allontanato dal Polesine praticamente in stato di guerra, per cui è assolutamente pericoloso che questo pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali, continui a rimanervi.
Le prime destinazioni, Verona, Cologna Veneta, hanno le stesse controindicazioni per cui viene inviato il più lontano possibile, confinato in Sicilia, prima a Messina e poi a Campo Inglese sulle montagne. Velia si trasferisce a Messina. Continua lo scambio di lettere. A Roma, il 19 maggio 1918, nasce il primogenito Gian Carlo. La guerra nell’anno finisce, ma non per Giacomo, trattenuto fino al marzo del 1919. Viene poi eletto al Parlamento nel novembre dello stesso anno, circoscrizione di Ferrara e Rovigo.
Leggo un’altra lettera. Velia sa dell’aggressione a Ferrara, il 18 gennaio 1921, di Giacomo, accorso per l’arresto del Sindaco e del Segretario della Camera del Lavoro con il pretesto dei sanguinosi incidenti del Castello Estense, 20 dicembre 1920. Giacomo minimizza, “nessuna conseguenza personale per me… sono protetto da una doppia vigilanza della Questura e dei nostri”. Velia scrive il 23 gennaio 1921: “Spero di vederti presto; mi trovo forse in un periodo in cui le cose mi fanno maggiore impressione – il secondo figlio Matteo nasce il 17 febbraio – e più difficile è persuadermi che arrivato a questo punto non ti è ammessa nessuna viltà, anche se questo dovesse costare la vita”. Ha ragione: due mesi dopo ci sarà il violento sequestro di Castelguglielmo, il bando dal Polesine, le aggressioni a Padova il 16 agosto 1921 e, con coinvolgimento della famiglia, sia a Varazze, nell’estate del ’22, che a Siena, nel luglio del ’23. Poi a Cefalù, dove gli è anche impedito il comizio, nel marzo del 1924. Tre mesi dopo è assassinato a Roma.
Leggo l’ultima lettera di Velia da Milano, dove si è recata rammaricandosi che Giacomo non sia con lei a condividere “luoghi quieti di bellezza e di ristoro”. La famiglia è finalmente riunita a Roma. C’è pure l’ultima nata, 7 agosto 1922, Isabella. Velia è impaziente di tornare. La data è 15 maggio 1924, un giovedì. “Ho deciso di i partire sabato sera e arrivare domenica mattina a Roma avendomi detto tu che andresti a Napoli. Ti raccomando i bambini ancora per questi pochi giorni. Il pensiero che tu sei vicino a loro, che la sera forse te li prenderai sulle ginocchia e li terrai riuniti, mi ha fatto andare a visitare qualche cosa, come se tu mi avessi reso l’animo leggero. Dopo la tua partenza mi hanno manifestato la gioia per la tua elezione e anche l’orgoglio, certamente sinceri, perché io non domando ciò a nessuno. Scrivimi due righe, che state tutti bene, e che non vi duole che stia lontana questi giorni; bacia i piccoli e dammi notizie, un bacio a te proprio d’amore”.