Mi piace sapere che tra pochi mesi, nel centro di Milano, aprirà il primo museo dei quaderni dei bambini. È promosso dall’“Archivio dei quaderni di scuola” (anche su Facebook), grazie all’impegno della coppia Anna Teresa Ronchi e Thomas Pololi che, in più di 15 anni, ha raccolto circa 1500 quaderni italiani e circa 1000 quaderni di altri 35 paesi, datati dalla fine del ‘700 ai primi anni 2000.
Tra gli intenti dichiarati, quello di “diffondere la cultura del bambinismo”, come c’è quella del femminismo, ovvero – credo di capire, e condivido – dare valore all’esperienza dei bambini e al loro sguardo sul mondo.
Un primo esperimento è il libro “L’anno prossimo faremo le vacanze sulla Luna”, curato da Pololi, che raccoglie una selezione di temi di Natale. Il titolo è ispirato al componimento di un bambino che nel 1969 era comprensibilmente eccitato per il primo allunaggio avvenuto pochi mesi prima.
Alla stampa Ronchi e Pololi hanno raccontato di avere iniziato la raccolta quasi per gioco tornando a sfogliare i loro quaderni e condividendo con gli amici la letture dei temi più divertenti o sorprendenti della loro infanzia. Il passaparola ha fatto il resto.
La raccolta sarà presto disponibile, digitalizzata o da sfogliare. Permette una lettura a più livelli. La grafica delle copertine merita un discorso a sé ma poi ci sono gli scritti dei bambini, il loro sguardo sul mondo, e la possibilità di scoprire attraverso i quaderni come è cambiato il modo di far scuola. Sarà molto bello dedicarsi a una lettura che vada oltre la tenerezza per l’errore grammaticale o le ingenuità date dall’inesperienza e prenda sul serio le osservazioni critiche dei bambini, i loro desideri, i pensieri e i sentimenti che esprimono. La chiarezza del loro sguardo è uno stimolo agli adulti per dare spazio a parti di sé spesso tacitate o tenute per sé, quasi che fosse sciocco o ingenuo – ad esempio – semplicemente desiderare la fine delle guerre.
Tra i percorsi tematici previsti dai curatori del Museo ce ne sarà certamente uno sulla guerra (e sulla pace), e ci auguriamo di poterne parlare con loro in futuro. Dai primi materiali resi noti alcune frasi sul tema scritte dai bambini italiani le conosciamo già. Potremmo avvicinarle a quelle di altri bambini in altri luoghi e in ogni tempo.
Nel 1944 una ragazzina milanese di seconda media, svolgendo il titolo “Cosa succede nelle belle giornate?”, scrive: “Se voglio uscire, prima piove e non posso, poi vi sono gli allarmi e non posso ancora. Ma insomma, cosa devo fare tutto il giorno? A questo ci pensa Suor Irma che ci carica ben bene di compiti”.
A febbraio 1945 una compagna racconta: “Dal giorno in cui la guerra ha distrutto o danneggiato il 60% delle case di Milano, oltraggiando anche i monumenti più cari al nostro cuore; dal giorno in cui le bombe hanno demolito quartieri di Milano, riducendo a mucchi di macerie ricchi palazzi pieni di storia e umili case piene di vita, da quel giorno la nostalgia della nostra Milano si è fatta più acuta e dolorosa”.
Tra i temi di Natale c’è quello di una bambina di Pisa che sul quaderno di quinta elementare, nel 1942, si rammarica perché le vetrine sono spoglie, non ci sono più le bambole o i panettoni, i cibi più appetitosi e gli abiti più belli. “Purtroppo la nostra Patria come le altre Nazioni, risente le mancanze imposte dai tempi che corrono, la guerra ha creato tanti sacrifici al popolo italiano”.
Nel 1944 una ragazzina milanese di terza media, sfollata a Seveso, scrive: “la festa cristiana della purezza e della bontà, che è annunzio di redenzione e di pace tra gli uomini, cade anche quest’anno in un clima di guerra, la più dura e spietata delle guerre”.
È noto quanto i bambini fossero sottoposti alla retorica fascista nei media di allora ed esposti alle posizioni che in famiglia si respiravano verso la guerra e il fascismo. Un ipotetico studio potrà tenere conto di questo e probabilmente riconoscerà il desiderio di pace che i bambini esprimono insieme al desiderio di giocare, incontrarsi, scoprire il mondo, stare insieme.
In un tempo che faceva presagire un clima più disteso – siamo nel 1987 – a Palermo un bambino di quarta elementare scriveva: “Secondo me nel mondo non c’è posto per Gesù perché avvengono troppe violenza e guerra ma prima del Natale Reagan e Gorbaciov hanno firmato un trattato che elimina i missili e ora il mondo ha meno paura; grazie ai poveri però che donano un posto a Gesù c’è ancora speranza”. “Il mondo ha meno paura”, scriveva allora questo ragazzino, e torna ad averne moltissima ora che assistiamo al trend opposto.
Della guerra che ci fanno conoscere di più, quella in atto in Ucraina, ci parlano gli educatori, i genitori, gli psicologi del luogo e dei Paesi di accoglienza (tra cui il nostro) rilevando quanto siano profondi i traumi vissuti dai più piccoli.
La semplice verità è che i bambini, oggi come allora, in Ucraina come in Siria o in Afghanistan o in Yemen… soffrono per la guerra e non la vogliono. Gli adulti che così spesso indulgono sulle sofferenze dell’infanzia di una parte sola, per corroborare le proprie posizioni a senso unico, e che dicono di fronteggiarsi nel nome dei figli per proteggerne le vite e il futuro, potrebbero semplicemente tenerne conto.