Sul sito della Stampa ascolto un podcast sconsolato. Indica un articolo, “Recovery, salvate gli asili”, di Chiara Saraceno dello stesso giorno: 4 Aprile 2023. Della difficile situazione, su la Repubblica, sempre la Saraceno il 3 marzo scrive, a proposito dei nidi, “Tariffe eccessive e le mamme restano a casa”.
Sulla Stampa trovo, senza pretesa di completezza, altri articoli della Saraceno dai titoli eloquenti, andando un po’ indietro nel tempo: “Se i bimbi restano senza gli asili nido” (14 Gennaio 2023), “Falsa partenza per le famiglie” (14 Novembre 2022), “Stati generali della natalità, ma i bambini non ci sono” (14 Maggio 2022), “Nidi, se i fondi Pnrr non colmano le diseguaglianze” (9 Aprile 2022), “Trascurare gli asili nido è lo specchio della nostra cultura” (10 Marzo 2022), “Scuola e madri di nuovo tradite” (14 Marzo 2021), “Subito l’alleanza per i nuovi nidi” (10 Dicembre 2020), “Ma gli asili nido non sono dei reparti Covid” (8 Settembre 2020). E mi fermo qui, non senza segnalare una pagina Facebook che consente aggiornamenti sul tema.
Già un anno fa, in “Trascurare gli asili nido è lo specchio della nostra cultura” del 10 Marzo 2022, la Saraceno si dice allarmata. La scuola dei piccolissimi è all’ultimo posto nella priorità dei Comuni.
A fine febbraio scade il termine per ottenere i fondi del Pnrr per mense, palestre, nuove scuole, asili nido e scuole dell’infanzia. Le richieste superano in gran parte le disponibilità, salvo che per i nidi. Due miliardi e quattrocento milioni sono i fondi stanziati. Le richieste arrivano a malapena alla metà. Il termine è stato portato a fine marzo. Ci vuole un diverso impegno per raggiungere l’obiettivo minimo del 33% di copertura, indicato a livello europeo (ora è ulteriormente aumentato). Inoltre le richieste provengono da Comuni che hanno già una buona presenza di asili. Sono più consapevoli dell’importanza che questi rivestono nello sviluppo dei bambini. Non sono solo un supporto per conciliare casa e lavoro alle mamme. Dove massima è la povertà educativa a partire dalla prima infanzia – e dunque più necessaria la presenza di nidi e materne – non ci si pensa proprio. È una povertà educativa che perdura oltre l’infanzia e investe politici e amministratori.
Il 12 e 13 maggio dello scorso anno si tiene la seconda edizione degli “Stati generali della natalità” con una straordinaria partecipazione di tecnici e politici. La Saraceno osserva, sempre sulla Stampa il 14 maggio, “Stati generali della natalità, ma i bambini non ci sono”. La sociologa non rileva tanto il mescolare “natalità (numero di nati sulla popolazione, ovviamente dipendente dalla composizione per età di questa) con fecondità (numero di nati per donna in età feconda, o al termine della sua vita feconda)” quanto la “riduzione dei bambini alla loro pura quantità, che tace le disuguaglianze che i bambini incontrano alla nascita (e anche prima), che riducono le loro opportunità di crescita e di vita”. L’invecchiamento della popolazione è argomento trattato, meno l’esclusione di molte madri dal mercato del lavoro e la povertà minorile, con particolare riferimento ai figli degli immigrati. Insomma “la vera tragedia non è la bassa fecondità, ma l’esperienza di povertà cui sono esposti milioni di bambini nel nostro Paese”. Apprezza però che Patrizio Bianchi – concittadino e per un po’ Ministro – ricordi “l’incremento degli asili nido e del tempo pieno scolastico, a partire dalle aree più disagiate e con le iniziative di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica”.
Gli Stati generali si terranno anche quest’anno, questa volta nelle giornate dell’11 e 12 maggio. Si promette la concretezza, che sarebbe fin qui mancata. “Inverno demografico”, “culle vuote”: tante definizioni e poca concretezza fino ad ora intorno a un tema da cui passa il futuro del Paese. Il declino demografico avviatosi dal 2015 è stato accentuato dagli effetti dell’epidemia Covid-19. Il nuovo record di poche nascite (399.431 nascite nel 2021) e l’elevato numero di decessi (746 mila), mai sperimentati dal secondo dopoguerra, aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese. “Stati generali della natalità” è un evento organizzato per riflettere su un tema capace di unire tutto il Sistema Paese, provare a fare proposte per invertire il trend demografico. Immaginare una nuova narrazione della natalità”.
Chissà se questa volta ci saranno i bambini, nella concretezza dei loro bisogni, delle loro attese, delle loro possibilità di fioritura o se dovranno accontentarsi, e noi con loro, di una nuova narrazione.
Ho personali ragioni di affetto al tema. Sono nel 1970 assessore al Comune di Ferrara alla Pubblica Istruzione, venendo dall’esperienza di assessore a Codigoro, sempre alla P.I., con l’avvio, tra l’altro, della prima scuola materna pubblica nel paese. A Ferrara la parte che mi ha convinto di più è proprio quella che riguarda le scuole dell’infanzia. La Direttrice Passerini, se mi trova accigliato, mi porta in qualche scuola e mi rassereno.
Esce la Legge nazionale nel dicembre del ’71: piano quinquennale di realizzazione degli asili comunali con il concorso dello Stato. Porto nel Consiglio comunale, 21 marzo 1972, il Piano comunale degli asili nido. Completa il quadro la Legge regionale del ’73. Cambia il punto di vista sugli asili nido: da rimedio – male minore e necessario, per rimediare alle carenze della madre che lavora fuori casa – a servizio sociale/educativo. La previsione si mostra insufficiente rispetto alle richieste. La Regione stabilisce un obiettivo doppio rispetto a quello nazionale. L’Udi indica un fabbisogno quadruplo rispetto all’obiettivo nazionale. È la stima migliore. Vi sono allora tensione e impegno sulla centralità dei servizi per l’infanzia. Mi ricordano quelli che hanno portato alla realizzazione della prima scuola materna comunale nel ’47, la Casa del Bambino, di esplicita ispirazione montessoriana, sollecitata dall’Udi e realizzata in forte collaborazione con il Dono svizzero. Ne conoscerò meglio la storia, con il ruolo, di ispiratore e regista, del ventiquattrenne assessore Silvano Balboni.
Dico – è il linguaggio dell’epoca – che la legge non va semplicemente applicata, ma considerata un più avanzato terreno di dibattito e di lotta. Molta è l’attenzione al personale e non solo a quello educativo. Si mira all’integrazione dei ruoli, con particolare riguardo alle cuoche. Ricordo la selezione con Giovanni Panatta – docente di Scienze dell’alimentazione e caro amico – che cura i menu. Si cerca il miglior collegamento con le scuole materne, in un’idea di scuola dell’infanzia. Si pensa ad asili di quartiere e non aziendali, a disposizione dei piccolissimi, delle loro famiglie. Si apre la presenza maschile in un universo femminile. (Entrano pochi uomini, che cercano presto altra collocazione. Il “lavoro delle donne” è troppo duro!). Si prendono in gestione i due nidi esistenti dell’Onmi. Si decide di farne altri quattro, un quinto è promesso dalla Cassa di risparmio. Se ne programmano 25, per raggiungere gli obiettivi regionali. Uno ne vedo durante il mio ruolo di assessore, ma seguo la realizzazione anche di altri 11, tra il ’76 e l’80. Collaboratore di Alberto L’Abate, docente di sociologia dell’educazione, al Magistero di Ferrara, con la pedagogista Egle Becchi e il geografo Claudio Greppi, in seminari e ricerche, approfondisco la conoscenza dei servizi educativi e sociali sul territorio. Gli amici Pinter e Pancera, collaboratori della Becchi, si curano in particolare di asili nido. Sì, in quel momento a Ferrara i piccolissimi sono al loro posto: al centro dell’interesse. Sono ben grato a chi prima, allora e anche poi si è impegnato e si impegna per questo.