• 3 Luglio 2024 15:24

Salvare vite

DiDaniele Lugli

Mag 15, 2023

Il concetto moderno di “crimini di guerra” è ridicolo e stupido, perché la guerra consiste soprattutto di crimini, su tutti i fronti e dal primo all’ultimo giorno

Javier Marías

 

Leggo su “Scienza in rete” un articolo di Simonetta Pagliani, “La verità sulla guerra da un manuale di chirurgia”. È una lettura che consiglio per ricordare il volto reale della guerra, osceno e crudele, ben lontano dall’insopportabile retorica, sempre di moda, sulla bellezza di morire per la patria, dal dulce et decorum est pro patria mori di Orazio, che però ha scritto di meglio. Gino Strada ricorda, con le parole e l’azione, che “parlare dei morti e dei feriti è l’unico contenuto importante dei discorsi sulla guerra”. Certo più importante dello spostamento di confini. Nel tempo questo si mostra irrilevante. Pochi attimi bastano per dimenticare morti, feriti, mutilati, le immagini dei quali ci hanno, per un momento, commossi. La geopolitica che ne dice? È la domanda che viene proposta e alla quale vengono date sollecite, diverse, competenti risposte. È la valutazione della guerra che si conviene a “persone di mondo”, anche se non tutte hanno fatto il militare a Cuneo.

L’articolo non si cura della geopolitica. Propone invece la lettura di un manuale, in due densi volumi pieni di immagini, “War Surgery: Working with Limited Resources in Armed Conflict and Other Situations of Violence”, scaricabile da internet (Volume 1 e Volume 2). Vi hanno lavorato tre chirurghi di guerra – la svedese Åsa Molde, il greco-canadese Chris Giannou, il padovano Marco Baldan – per il Comitato internazionale della Croce Rossa. E la Croce Rossa nasce in una battaglia decisiva della seconda guerra di indipendenza del nostro Risorgimento. È il 1859: “Vittorio Emanuele e Napoleone III entrarono a Milano, accolti trionfalmente dalla popolazione (8 giugno). Venti giorni dopo gli Austriaci, sotto il diretto comando dell’imperatore Francesco Giuseppe, ripresero l’offensiva: ma furono battuti a San Martino dai Piemontesi e a Solferino dai Francesi”. Così ritrovo in un vecchio manuale di storia per gli esami di maturità, circolante ai miei tempi. Naturalmente non mancano, analisi anche approfondite delle forze in campo, delle tattiche e strategie applicate, delle armi, anche di nuova concezione, impiegate.

Lo scontro degli oltre trecentomila combattenti lascia sul campo 6 mila piemontesi, sui 35 mila impiegati, 12 mila francesi su 115 mila, oltre 19 mila austriaci su 160 mila. In proporzione le perdite maggiori sono di gran lunga piemontesi. Per gli ufficiali abbiamo dati precisi, Potremmo conoscerne nome e grado: 49 piemontesi morti e 167 feriti. Nella truppa i morti e feriti accertati sono 642 e 3.405, ma 1.288 sono addirittura scomparsi. Di questi mi piacerebbe saper di più, ma non ora. Tra gli ufficiali francesi 150 sono i morti e 570 i feriti. Non conosco dati più analitici relativi alla truppa. Meno si sa delle perdite austriache, oltre alla cattura di 6 mila prigionieri. Il ventinovenne imperatore Francesco Giuseppe è illeso.  È proprio la visione dei feriti, lasciati agonizzanti sul campo, a stimolare il trentenne Jean -Henri Dunant, imprenditore ginevrino al seguito dell’esercito francese, all’intervento di cura e assistenza, mobilitando le risorse della popolazione locale. L’esperienza compiuta e le considerazioni raccolte nello scritto Souvenirs de Solferino sono alla base di una conferenza internazionale in Svizzera per l’aiuto ai feriti di guerra, con un’organizzazione internazionale neutrale, nel 1863. Nel 1864 la prima Convenzione di Ginevra può considerarsi la base di un riconoscimento di tale organizzazione neutrale.

Non ho la competenza né l’animo per sfogliare, come l’articolo della Pagliani suggerisce, il ponderoso manuale. Capisco che chi viene ferito necessita di un intervento immediato e appropriato, al quale deve seguire un primo trattamento chirurgico di pulizia delle ferite e loro chiusura. Può esserci bisogno di chirurgia specialistica, di interventi ricostruttivi, di interventi ricostruttivi, di inserimento di protesi, di riabilitazione… Apprendo alcune cose orribili che succedono a chi viene colpito dal vento d’urto di un’esplosione ad alta energia. Ci puoi morire disintegrato, se molto vicino Se più lontano possono lacerarsi vasi ed alveoli dei polmoni. Va bene se a partire sono solo i timpani. Mitragliatrici, fucili, pistole di uso militare sono tutti ad alta energia. I loro effetti sono dirompenti. Secondo il parere di un esperto chirurgo americano dei feriti la metà muore subito, per gli altri può essere peggio: 50% di morti immediate, 30% di morti precoci, nelle prime ore dopo il trauma, 20% di morti tardive, da pochi giorni a settimane, per infezioni, insufficienza multiorgano, emboli ed edema cerebrale. Il primo soccorso effettuato entro l’ora d’oro, può limitare le morti precoci e la vigilanza post operatoria, le morti tardive. Le ferite alla testa rappresentano la metà delle morti in combattimento; l’emorragia incontrollata, l’altra metà. Penso ai combattenti, che si sparano addosso, ai civili coinvolti, penso a quei cittadini, specialmente negli Usa, che conducono con armi belliche la loro guerra privata, a kilometro zero, contro la comunità che li ospita.

Se è scongiurata l’emorragia c’è in agguato l’infezione. L’articolo ricorda che “nella situazione bellica, il terreno di coltura dei germi è ottimo e abbondante: in una lesione da arma da fuoco, è la miscela di muscolo morto, ematoma, frammenti ossei, pelle sporca e materiale estraneo (pezzi di stoffa o scarpa, fango, ghiaia, foglie, polvere, proiettile, ecc.)”. Seguono le istruzioni per il miglior trattamento e l’utilità di annusare le ferite in attesa di chiusura. Si sviluppa un “buon cattivo odore” che si distingue dal “cattivo-cattivo odore” di una ferita infetta. Auguro nasi di sommelier a medici e paramedici che si prodigano per porre qualche rimedio alla demenza che porta alla guerra e l’alimenta. Il manuale del nostro Baldan e dei colleghi tratta pure dell’anestesia e dell’analgesia, necessarie per risparmiare un po’ del dolore insopportabile e atroce che accompagna queste vicende. Forse non è del tutto inutile ricordare che la guerra è sempre il frutto di una scelta, quella di infliggere ed infliggersi, morte, mutilazione e sofferenza.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948