La guerra logora chi non la fa
di Claudio Tosi
Verrebbe da commentare così, parafrasando la massima di Andreotti sul potere, la sequenza di articoli che in questi giorni di ferragosto riempiono i giornali ricordandoci quanto, prima ancora che verso il nemico, la guerra agisca in maniera violenta e impositiva sui propri stessi popoli. Le prime vittime della guerra, lo vediamo con chiarezza ora che ne abbiamo una praticamente dentro casa, sono le giovani generazioni per la salvaguardia delle quali ci diciamo che è impossibile non farla, i giovani uomini che costringiamo con leggi marziali a “stare dalla parte della guerra”, coercendone la volontà con dosi massicce di retorica nazionalista, in cui la Patria, ci abbia o meno nutrito, sostenuto e cresciuto, diventa un bene assoluto e l’avversario, sia esso consanguineo, fratello o vicino, un nemico anch’esso assoluto, non importa quanto esso stesso riluttante e costretto.
La guerra, figlia bastarda di politiche di aggressione e di giochi di potere di governanti e oligarchi impegnati a rafforzare i propri interessi personali, sviluppa tossine che inquinano l’intera struttura pur anche democratica delle comunità che ne vengono coinvolte. La Patria maligna e matrigna diviene sacra e con essa è sacro il dovere di amarla e difenderla e diventa obbligo l’arruolarsi e combattere.
Quello cui stiamo assistendo nel conflitto di aggressione scatenato dalle politiche Putiniane nei confronti dell’Ucraina è agghiacciante fin dal suo inizio, con la folle scelta di invadere militarmente le terre e di sconvolgere le vite e i sogni di milioni di famiglie che hanno avuto vite stroncate, famiglie spezzate, beni perduti, avvenire travolto e negato dalla violenza e dall’arbitrio dell’invasione.
Fin dall’inizio, di fronte a questo mantello di ineluttabilità che la guerra, con i suoi automatismi ideologici, scatena, i pacifisti di tutto il mondo hanno pronunciato parole nette per condannare l’invasione putiniana e perché si aprissero immediatamente le vie della diplomazia e del cessate il fuoco. Ma hanno anche, immediatamente, sostenuto e difeso quanti, da entrambi i fronti hanno voluto far sentire la propria voce contro la guerra e a favore della scelta dell’Obiezione all’imbracciare armi e a farsi strumenti di morte in nome di logiche estranee all’umanità e al rispetto della vita.
Di quanto accade in Russia abbiamo una visione parziale, ma sappiamo che da molto tempo e con ferocia il regime putiniano tiene sotto torchio la popolazione, uccidendo e incriminando le opposizioni; dileggiando e spegnendo la stampa libera fino ad avvelenare chi ne scrive, da Anna Politkovskaja al recente caso di Elena Kostyuchenko; affidandosi a forze mercenarie per guidare l’invasione con uomini votati alla guerra con ancor più cinismo di chi l’ha dichiarata. Da quando, in maniera opaca e probabilmente strumentale, proprio le forze mercenarie della cosiddetta Brigata Wagner hanno cambiato il loro ruolo e sono meno attive, si sono scoperte e rese note le condizioni di costrizione, imposizione e ricatto con cui la stessa gioventù russa è costretta a prendere parte a questa guerra, che non ha nulla di sacro e nulla di eroico.
E così abbiamo potuto vedere di quali crimini si macchi e su quali inganni si regga questo famoso amor patrio, questa allucinazione che ci fa dire dell’altro “è il nemico” senza porci la domanda di Piero[1] o ancor prima quella del Giusti[2] su quale sia il dolore, la costrizione e l’inganno che porti esseri umani a diventare oppressori.
E ci porta a riflettere su quanta umanità repressa e negata permetta a un dittatore di “mettere in campo le truppe” e su quanta negazione della dignità e del rispetto ci facciamo carico se alle truppe “nemiche” vogliamo contrapporre le nostre.
In questi mesi di sincera attivazione per l’accoglienza dei profughi ucraini e di profonda partecipazione per le sofferenze che stanno passando le popolazioni di quei territori invasi, abbiamo però registrato con crescente preoccupazione e imbarazzo l’adesione sempre più violenta e coercitiva del governo ucraino e del suo presidente allo schema guerresco, con l’odiosa assimilazione di un popolo alla follia dei suoi governanti e l’estremizzazione delle forme di condanna che non si ferma agli atti inaccettabili dell’aggressione, ma arriva a fare terra bruciata intorno alla cultura, alla lingua alla stessa esistenza del popolo di cui è a capo il despota invasore. Il rogo dei libri, la messa al bando di una lingua, l’annientamento dei legami pur esistenti tra i due popoli non sono solo segni di una affermazione identitaria, ma di una demonizzazione dell’altro di chi non vuole più cercare, come ci invita a fare il Marco Polo di Calvino, “ciò che in mezzo all’inferno non è inferno” ma è deciso a spazzare via l’altro attivando in sé tanta e più disumanità per arrivare allo scopo.
È contro questa escalation della disumanità, che è indispensabile a giustificare e pretendere quella delle armi, che con coraggio, persistenza e tenacia hanno fatto sentire la loro voce l’obiettore di coscienza ucraino Yurii Sheliazhenko, Olga Karatch e tutti i pacifisti, dissidenti e disertori russi, ucraini, bielorussi e internazionali che a loro guardano e mandano sostegno e aiuti.
In questi giorni in cui si aspettano le motivazioni dell’accusa a Yurii il presidente Zelensky ha ordinato il licenziamento di tutti i funzionari addetti ai distretti militari, come ci riporta Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento su Il Manifesto, a riprova che quanto i pacifisti dichiarano apertamente, molti, pur nell’ombra desiderano: non partecipare alla guerra. È con loro e per loro che la Campagna di Obiezione alla Guerra si è mossa e il Movimento Nonviolento ha messo a disposizione il proprio avvocato, Nicola Canestrini, per difenderli e ha diffuso il messaggio di rispettare le leggi, esistenti in Ucraina, che permettono, nonostante la repressione dell’azione pacifica di Yuri, l’Obiezione di coscienza, o di attivare i canali di riconoscimento dell’asilo politico che la Lituania sta negando alla pacifista bielorussa Olga Karatch, che ha una sentenza di condanna a morte per la sua opposizione a Lukashenko.
Non neghiamoci l’evidenza, queste notizie hanno avuto risalto perché avvenute nella stasi di agosto, quando il cicaleccio della politica si fa meno forte e i giornali con una coscienza riescono a far emergere tematiche altrimenti troppo di nicchia. Ma questa nicchia si chiama umanità (e un’Umanità che contiene l’intero pianeta) e non possiamo rischiare di ritornare alle vite quotidiane avendola lasciata inascoltata.
D’altra parte si illude chi pensa che ci sia una barriera tra le costrizioni a cui costringe la guerra e le scelte educate che si fanno in tempo di pace. Già vediamo anche da noi alzarsi e farsi sempre meno timide le voci di chi la Patria la difende davvero e che si è stancato di mettersi a rischio per finocchi e immigrati ai quali manda a dire con chiarezza che devono dimostrare gratitudine se li si è lasciati esprimere, ma che è meglio che non si sentano troppo al sicuro per il futuro.
Il gioco dei “noi” e degli “altri” è declinabile in tutte le situazioni e se non poggia i suoi principi sul riconoscimento, il rispetto e la difesa dell’umanità, sarà sempre possibile una semplificazione che crei quella frattura per cui i maiali di Orwell possano alzarsi in piedi e stabilire, ancora una volta, chi deve vivere e chi può essere, cortesemente o meno, invitato a morire.
[1] Riferimento alla famosa canzone antimilitarista di Fabrizio De André La guerra di Piero: E mentre marciavi con l’anima in spalle/ Vedesti un uomo in fondo alla valle/ Che aveva il tuo stesso identico umore/ Ma la divisa di un altro colore
[2] Giuseppe Giusti in Sant’Ambrogio si chiede se l’occupante austriaco non sia costretto al suo ruolo: “Costor, dicea tra me, Re pauroso /Degl’italici moti e degli slavi, /Strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo /Schiavi gli spinge per tenerci schiavi;