“Rigor cordis. Per una filosofia del cuore” di Giuseppe Pulina è un libro schierato dalla parte del cuore ma non contra rationem, e potrà sorprendervi per le tesi che argomenta. Ne parliamo con l’autore…
Ci hai confessato di tenere a questo tuo libro in modo particolare: potresti spiegarne i motivi ai lettori di Azione nonviolenta?
I libri dicono sempre qualcosa dell’autore che li mette al mondo. Lo fanno anche quando l’autore, molto guardingamente, tenta di occultare la propria presenza attraverso il velo della più intransigente impersonalità. Rigor cordis abbatte filtri e riserve di questo tipo perché è stato concepito come una sorta di eserciziario spirituale. Dice inevitabilmente più di quanto abbiano detto sino ad ora altri miei libri, ma, considerato il tema, non poteva essere diversamente. Come si può parlare di cuore, d’altronde, se non si tenta di stringerlo in qualche modo tra le mani? Questo è ciò che credo di avere fatto raccontando una serie di stati in cui il cuore è presente. Cuore come organo, ingranaggio della complessa fisiologia umana? Cuore come controparte della ragione, fonte di un’intelligenza del mondo per così dire cardiaca? In Rigor cordis il cuore è considerato come lo strumento di una possibile elevazione estetica.
Se dobbiamo dare retta ad Agamben la terminologia è il momento poetico del pensiero…qual è la definizione filosofica di cuore che si ricava dal libro?
Una definizione del cuore sul cui significato si sono cimentate generazioni di pensatori si trova in Pascal e ancor prima in Agostino. Per il primo, al cuore si richiamano quelle esperienze e quegli stati di cui la ragione non può dare spiegazione, in cui la ragione, per così dire, perde di vista la ragione che va cercando. Pascal non esclude però che il cuore possa soccorrere la ragione in quelle questioni in cui alla solidità del ragionamento è preferibile la finezza dell’intuizione. Il secondo vede nel cuore una sorta di sonda dell’Io; è al cuore che Agostino si raccomanda quando avverte il rischio di un possibile smarrimento. Il cuore è strumento di una interiorità che si fa autocoscienza dialogante. L’uomo di Agostino parla in profondità, si cerca nel profondo, perché è lì che crede di poter trovare Dio, come una luce che cova nell’abisso e che, una volta trovata, può rischiarare il percorso di chi, dopo aver toccato il fondo, vuole riemergere in superficie. In Rigor cordis il cuore di cui si parla tiene conto anche di queste forti suggestioni. Rivendica il diritto all’oscuroveggenza e si fa esplorazione nelle forme che gli sono più congeniali. È luogo di talenti dimenticati che nessuna ragione potrà mai farci considerare obsoleti e superati.
Riesci a fare qualche esempio di questi “talenti dimenticati”?
La memoria, il respiro, la musicalità del silenzio sono tre dei talenti del cuore presi in esame in Rigor cordis. Prendiamo, ad esempio, il ricordo. È attraverso questa parola che scopriamo che la memoria chiama il cuore in causa. Ricordo è parola che indirizza al cuore, che mira diritta al cuore, suggerendo una traiettoria differente da quella che potrebbe seguire la ragione. Il cuore ricorda, la ragione dimentica. È indotta a dimenticare perché rischia di venire schiacciata da ciò che non può contenere; e allora si fa de-mente, fuoriesce da sé, sprofonda nello sdoppiamento. Il cuore mostra, invece, una tenuta maggiore; è luogo della memoria, cavità contenitrice, organo assimilatore. Anche il cuore avrà, certo, una soglia da non superare, ma il suo livello di guardia è una rassicurazione contro le derive e le offese cui siamo esposti. È nel cuore che detonano i dolori, ed è qui che le ferite, cauterizzandosi, si fanno crepe. Del cuore ci fidiamo; al cuore ci affidiamo; è con il cuore che siamo venuti al mondo. È questo l’organo che per primo inizia a prendere forma e se crediamo di non sentirne il battito è perché questo si è fatto estremamente familiare. Le funzioni del cuore sono di una straordinaria complessità, e se questa stride con l’immagine della sua apparente semplicità strutturale (in Rigor cordis parlo addirittura di rudimentalità), significa che il cuore di cui stiamo parlando non è esattamente quello di Harvey.
In che rapporto la filosofia del cuore prospettata nel libro sta con la nonviolenza?
Ho detto che Rigor cordis è una sorta di eserciziario per l’uomo che vuole raccogliersi in ascolto del cuore. Ecco, l’uomo che ascolta, che medita, che accoglie il silenzio, questo è un uomo di pace. Come fa capire James Hillman, uno che sul cuore ha scommesso da tempo, l’uomo cardiaco dovrebbe ricercare la nuda bellezza che questo mondo può ancora offrirgli. Chi cerca la bellezza ha un atteggiamento positivo, benigno, aperto verso il mondo. Lo ascolta (o, come si dice in Rigor cordis, lo ausculta) perché è persuaso che il mondo e chi lo popola meriti tutta la sua attenzione. Non bisogna fingere per dirsene persuasi. Per questo motivo, uso il termine “persuaso”. Se fossimo davvero convinti del contrario, e cioè che niente possa più dare un senso alle cose, allora potremmo dire che la bellezza non sia più presente nemmeno nelle sue manifestazioni più residuali. Ciò che voglio dire e che trovo non così facile da comunicare è che dovremmo contenere in noi quanto più mondo possibile e vedere nella nonviolenza una forma, una via, una pratica per quella rigenerazione estetica, quella cura del bello naturale, di cui può farsi carico l’uomo cardiaco, non così diverso poi da quello di Schiller e Hillman. Credo che la nonviolenza possa e debba essere anche un approccio estetico alla conoscenza del mondo.