Quando nel 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, esiliati dal regime fascista nell’isola di Ventotene, stilavano clandestinamente il progetto visionario Per un’Europa libera e unita avevano l’obiettivo di indicare una “terapia” – per usare la trilogia medica che Johan Galtung applica ai conflitti – per liberare l’Europa, e progressivamente il pianeta, dalle guerre, a partire da questa precisa diagnosi: “anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione delle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo, sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico”. Parole che risuonano anche oggi, trasportate dai venti di guerra che, sempre più impetuosamente, soffiano perfino nelle Istituzioni europee. Eppure il progetto di Spinelli e Rossi degli Stati Uniti d’Europa avrebbe dovuto spazzare via per sempre la guerra da nostro continente.
Se il Manifesto di Ventotene non fosse stato sufficientemente chiaro rispetto alle sue motivazioni e finalità, l’anno successivo Altiero Spinelli le specificherà maggiormente in un altro testo clandestino su gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche. “Quale sia il male profondo che mina la società europea” – scriveva Spinelli nel 1942 – “è evidentissimo ormai per tutti: è la guerra totale moderna, preparata e condotta mediante l’impiego di tutte le energie sociali esistenti nei singoli paesi. Quando divampa, distrugge uomini e ricchezze; quando cova sotto le ceneri, opprime come un incubo logorante qualsiasi altra attività”. Il problema di Spinelli non era solo quello della sconfitta del nazismo nel suo presente, ma avvertiva con lungimiranza sulla storia successiva: “il pericolo permanente di conflitti armati tra popoli civili deve essere estirpato radicalmente se non si vuole che distrugga tutto ciò a cui si tiene di più”.
L’Unione europea, invece di svolgere il ruolo politico di autorevole negoziatore Terzo (“il Terzo assente”, potremmo definirla con Norberto Bobbio) rispetto all’escalation e internalizzazione del conflitto armato che ha visto il 24 febbraio 2022 l’invasione dell’esercito russo nel territorio ucraino, attivandosi per mediare il conflitto e affrontare complessivamente i temi della sicurezza europea dall’Atlantico agli Urali attraverso una Conferenza europea di pace, è entrata direttamente in guerra con la fornitura di armamenti ad uno dei belligeranti. Da allora, le Istituzioni della UE – a traino dei governi extra europei di USA e Gran Bretagna – si stanno avvitando in un crescendo di interventismo armato che, puntando all’impossibile “vittoria” militare, rischia di generare invece la possibile terza guerra mondiale e nucleare, nella quale non ci saranno vincitori ma solo vinti.
Dopo due anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti sul campo, il Parlamento Europeo con 451 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astensioni, si è dato come “obiettivo principale che l’Ucraina vinca la guerra contro la Russia (…) attraverso la fornitura continua, sostenuta e in costante aumento di tutti i tipi di armi convenzionali”. E’ il passaggio ad una vera e propria economia europea di guerra, come già anticipato da Ursula Von der Leyen alla Conferenza di Monaco sulla “sicurezza”, insieme a Jeans Stoltenberg, segretario generale della NATO, in una conferenza stampa congiunta. A testimonianza dell’appiattimento europeo sull’Alleanza atlantica.
E se il messaggio non fosse ancora evidente, ci ha pensato Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ad anticipare l’esito dell’ultima convocazione dell’organismo che presiede, con una lettera recapitata a molti quotidiani europei. Per rendere definitivo il passaggio dall’Europa di pace ad una di guerra è necessario, ha esplicitato Michel, mettere in campo una torsione culturale e valoriale: “che il nostro pensiero compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica. (…) Il nostro obiettivo dovrebbe essere di raddoppiare entro il 2030 i nostri acquisti dall’industria [bellica] europea”. Che, tradotto, significa tagliare drasticamente gli investimenti per la “sicurezza” sociale dei cittadini europei – il “grado di civiltà” di Spinelli – trasferirli all’industria di guerra e contemporaneamente convincere tutti che la “sicurezza” non la forniscano più sanità, welfare, scuola e università, ma cannoni, carriarmati, navi da guerra e testate nucleari.
Si tratta del ribaltamento del progetto di pace di Altiero Spinelli, fondato sulla ragione illuminista, e del ritorno all’obsoleta formula magica, con la quale si conclude il documento di Michel – “Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra” – fondata su spinte irrazionali, che governano le Istituzioni europee abusando della credulità popolare, ad oggettivo beneficio dell’esplosione dei profitti del complesso militare-industriale. I governi nel loro insieme non hanno mai speso così tanto per “preparare la guerra” e infatti, inevitabilmente, la guerra dilaga ovunque, perfino di nuovo in Europa. Il tradimento di Ventotene.