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Per una formazione alla nonviolenza delle forze dell’ordine

Diadmin

Mar 16, 2015

Ricordiamo che di questo importante tema se ne parla in maniera estesa nell’ultimo numero della nostra rivista cartacea Azione nonviolenta. Vi invitiamo ad abbonarvi per non perdervi neanche una riflessione su questo (e altri) tema.

Premessa Molti elementi strutturali, istituzionali, emozionali rischiano di distorcere l’avvio di un esame ponderato della questione di una formazione alla nonviolenza degli agenti delle forze dell’ordine: la molteplicità di diverse “forze dell’ordine”, ciascuna con le sue specificità e le sue peculiari forme di operatività; la complessità sia dei concetti di “ordine” e “sicurezza” sia dei livelli istituzionali di competenza, segnati da sovrapposizioni, duplicazioni, reciproche interferenze se non addirittura reciproci freni ed ostacoli; le numerose situazioni che quotidianamente vengono portate all’attenzione dell’opinione pubblica spesso in modo distorto e fortemente orientato, in ordine ai comportamenti anomali di agenti delle varie forze dell’ordine in Italia ed in altri paesi, sia in negativo che in positivo.

L’esame e il confronto di ogni questione rischiano così di essere caratterizzati da un lato da un criterio di tuttologia, che non affronta un singolo problema senza rinviare ad un altro per poi ancora ad altri fino a perdere ogni legame con la questione di partenza, ovvero dal criterio dell’immediatezza che distoglie da ogni analisi e riflessione per inseguire da “tifosi” lo schieramento pro o contro. Occorre invece recuperare ancora una volta, e soprattutto in ragione della rilevanza e della delicatezza della questione in esame il criterio galileiano delle sensate esperienze e certe dimostrazioni, vale a dire una continua verifica tra i comportamenti, le scelte di orientamento ed i valori di riferimento. Occorre in altre parole farsi carico di ogni complessità, di ogni articolazione e di ogni specificità della formazione degli agenti delle forze dell’ordine che rinvia immediatamente al loro rapporto con i cittadini e con le comunità, e dunque alla società democratica ed al suo sviluppo giuridico-legale.

  1. Ordine pubblico, sicurezza e forze dell’ordine

E’ uno dei temi più delicati e più problematici per gli amici della nonviolenza: si tratta, infatti, di coniugare in concreto il criterio di coerenza tra mezzi e fini, e di delineare un percorso che porti al superamento progressivo di tali strumenti “strutturalmente coercitivi e violenti” salvaguardando nel contempo una convivenza socialmente aperta e sicura per il cittadino e per una comunità.

Troviamo, a mio giudizio, un corretto approccio a tale questione negli insegnamenti dei maestri della nonviolenza, in particolare di Gandhi e di Capitini, ai quali continuare a fare riferimento pur nella loro necessaria ed opportuna adattabilità al presente come essi stessi esprimono e indicano all’agire. Scrive Gandhi nel 1940:

Io ho ammesso che anche in uno Stato nonviolento potrebbe essere necessaria una forza di polizia.

non ho il coraggio di affermare che potremo fare a meno di una forza di polizia come lo affermo riguardo all’esercito.

naturalmente posso immaginare e immagino uno Stato nel quale la polizia non sarà necessaria, ma se riusciremo a realizzarlo o meno soltanto il futuro potrà deciderlo.

la polizia che io concepisco tuttavia sarà di tipo totalmente diverso da quella oggi esistente. Le sue file saranno composte da formati alla nonviolenza: saranno servitori e non padroni del popolo. Il popolo darà loro tutto il suo aiuto, e grazie alla reciproca collaborazione essi saranno in grado di far fronte con facilità ai disordini.

la forza di polizia disporrà certo di alcune armi ma ne farà uso solo raramente, se non addirittura affatto”.

Non si legge qui con chiarezza e concretezza il modello della polizia di prossimità e territorialmente partecipata?

Scrive Capitini nel 1968 nel suo ultimo scritto:

Un problema che si presenta … è quello del “ordine pubblico” di cui tutti usufruiamo e che è mantenuto anche da leggi fornite di potere coercitivo, e con una visibile esplicazione di provvedimenti violenti, come la polizia, i tribunali, le carceri. Sarebbe un errore ridurre tutto a questo … l’ordine pubblico non può essere assolutizzato.

le concessioni ad un elementare ordine pubblico … sono le più comprensibili e le più ragionevoli e li si comprendono anche quelle eccezioni alla nonviolenza che c’è chi giudica inevitabili in questa realtà. Si può dir meglio così: il nonviolento può per suo conto rinunciare del tutto ad ogni aiuto dalla polizia, dai tribunali, dalle carceri; ma può anche considerare quegli strumenti … come gli ultimi a cui una società può rinunciare, nella considerazione dell’utile di tutti gli appartenenti, ed essere riconoscente per i vantaggi che momentaneamente gliene vengono. L’importante è che tutta la complessa opera “pubblica” della nonviolenza sia portata avanti perchè essa influirà sul campo del diritto, sul campo giudiziario e tenderà a ridurre al minimo il provvisorio intervento coercitivo”.

Con questi orientamenti occorrerà muoversi per affrontare adeguatamente i vari punti della questione in esame.

2 Polizia/e e nonviolenza

La parola ed il concetto di “polizia” hanno la stessa radice di “politica”: entrambe sono finalizzate a risolvere conflitti determinando nuovi equilibri di diritti e di interesse ovvero ripristinando equilibri violati di persone e di comunità. Compito primario delle forze dell’ordine è allora quello di prevenire l’esplosione dei conflitti e di ri(stabilire) rapporti di giustizia : coerentemente occorre dichiarare che le forze dell’ordine devono essere orientate a neutralizzare tutti i fattori di violenza all’interno di una comunità e di un territorio; certo anche con la coercizione, ma soprattutto con la prevenzione e la mediazione. Le forze dell’ordine, dunque, sono per loro costituzione “contro la violenza”; e, tuttavia, non possiamo non mettere a fuoco che ci sono e ci saranno situazioni in cui è difficile, se non impossibile, raggiungere tale scopo senza l’uso della “violenza di stato” fino alla legittimazione dell’uso di armi. E’ uno dei casi limite della nonviolenza, come abbiamo appreso dai brani riportati di Gandhi e di Capitini.

Gli organi preposti all’ordinamento delle diverse forze dell’ordine hanno, con molte contraddizioni, ma anche con significative aperture, definito finalità, comportamenti, e metodologie che vanno in tale direzione pur non affrontando esplicitamente e con consapevolezza la questione dell’addestramento alla nonviolenza per gli operatorio delle forze dell’ordine.

Occorre a tal proposito richiamare l’attenzione che l’eccezionalità necessaria del ricorso alla violenza, ed anche all’uso delle armi, non può portare ad oscurare la regola: l’eccezione non può e non deve sostituire la regola, che va proclamata ed affermata con più vigore, soprattutto quando viene derogata per confermare che compito delle forze dell’ordine è quello di prevenire, mediare e ristabilire le regole violate.

3 Polizia/e e cittadinanza

Occorre recuperare il lavoro svolto ed i risultati conseguiti anche sul piano istituzionale ed ordinamentale, oltre che su quello culturale e sociale.

I movimenti e le associazioni di ispirazione nonviolenta, e tutti gli amici della nonviolenza, devono valorizzare il proprio percorso di apertura nei confronti della polizia e delle forze dell’ ordine, a partire dal recupero dell’ indicazione di Di Vittorio che caratterizzò i poliziotti ed i carabinieri come “ lavoratori, figli di lavoratori ”, per arrivare alla determinazione di una convivenza sociale, civile e territoriale aperta, sostenuta ed assicurata dalle forze dell’ ordine, fino alle odierne posizioni di interferenza formativa nonviolenta per gli agenti, con il recupero effettivo della/e polizia/e di prossimità e con l’ indicazione che si può fare azione di polizia senza armi e con il concorso organizzato delle comunità locali.

Non sembri solo una indicazione generica. Esistono a livello locale iniziative istituzionali e di movimenti che vanno sperimentalmente in tale direzione : da Milano a Gubbio, a Livorno, a Viterbo, a Palermo, e che coinvolgono diversi ambiti di forze dell’ ordine, dai Vigili Urbani alle Polizie provinciali, dai Carabinieri alla Polizia di Stato alla Guardia di finanza.

Occorre d’ altro lato ed altresì richiamare le autorità responsabili ad una attuazione concreta di quanto a livello istituzionale e politico già è detto, scritto, e proclamato : lo stretto legame tra funzione di polizia e cittadinanza. Anche da questo versante valorizzando il percorso avviato verso una azione di polizia ancorata ai criteri della territorialità, della partecipazione, e dello stato di diritto. Come non cogliere il momento per ricordare le lotte per la smilitarizzazione, la sindacalizzazione unitaria nel mondo del lavoro , la democratizzazione delle forze dell’ ordine fino alla riforma e Franco Fedeli che ne fu coerente propugnatore e vigile controllore attraverso la direzione delle riviste Ordine Pubblico, Nuova Polizia e Riforma dello Stato, e Polizia e Democrazia, la cui successione già nelle testate configura il percorso richiamato.

Riprendere con forza e concreta coerenza i dettami rivolti agli agenti nei vari momenti istituzionali dai più autorevoli rappresentanti quali Ministro e Sottosegretari degli interni e vertici delle forze dell’ ordine.

“ Voi siete cittadini fra i cittadini ma con più doveri: il vostro compito è quello di essere vicino agli altri con l’ animo di chi, sentendosi cittadino, non vorrebbe mai da cittadino subire un trattamento lesivo delle proprie prerogative.

Se si considera che la società è segnata da tensioni sociali derivanti da profonfi squilibri è logico aspettarsi anche degenerazioni … l’ ordine pubblico mobilita i poliziotti nelle piazze, nelle strade, nelle manifestazioni per garantire il diritto di parola, di manifestare il proprio diritto … quindi anche il diritto di protesta che non va conculcato o contrastato, ma va controllato e assecondato … Dobbiamo porci in vera comprensione con coloro che sono in piazza o nei cortei e che vivono momenti di grave disagio, come disoccupati, senzatetto,cassaintegrati … sentiamo di dover essere vicini a tali cittadini in una vicinanza che deve dimostrare la piena aderenza ai valori della Costituzione della Repubblica.

Una raccomandazione : rifuggite sempre finchè possibile dall’ uso delle armi … l’ uso delle armi deve costituire l’ estrema ratio per salvare la vita propria e di altri … ma ricordiamo che si può fare azione di polizia anche senza uso di armi.”

Vale il compito di richiamare anche le ultime disposizioni legislative in materia che hanno portato alla polizia di prossimità, al coinvolgimento degli Enti Locali nella gestione dei problemi della sicurezza, ed alla enunciazione di una nuova filosofia dell’ ordine pubblico. Se ne ricavano pronunciamenti ed indirizzi chiarificatori e concretamente assumibili per la formazione degli agenti delle forze dell’ ordine.

“ La prossimità nasce per rispondere alla necessità di semplificare il passaggio tra le richieste della cittadinanza e le risposte delle amministrazioni…

modifica l’ approccio professionale degli operatori … per una più rassicurante vicinanza e momenti di compartecipazione.

per una pratica di polizia di prossimità deve esserci un cambio di prospettiva rispetto al tradizionale lavoro di polizia, a partire dai responsabili per arrivare agli agenti delle diverse forze dell’ ordine. Ecco il punto cruciale : la polizia di prossimità porta direttamente alla pratica dell’ ASCOLTO DEL CITTADINO per tutta la polizia territoriale, ed in particolare per la polizia municipale. ”

Credo tuttavia che saranno definitive limitate citazioni dal Codice Etico Europeo per la Polizia :

“Tra gli scopi principali della polizia in una società democratica … mantenere l’ ordine nella società proteggendo e rispettando i diritti fondamentali del cittadino e le libertà in rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo.

la polizia, e tutte le operazioni di polizia, devono rispettare il diritto alla vita. La polizia può fare uso della forza solo se strettamente necessaria … deve verificare sempre la legalità delle azioni che intende porre in atto … dovendosi rifiutare di eseguire quegli ordini che siano chiaramente illegali e di farne rapporto di denuncia.

la polizia nell’ esercizio delle sue funzioni deve essere sottoposta alla responsabilità delle autorità civili .-.. il personale di polizia deve essere sottoposto alla stessa legislazione dei cittadini comuni ”.

Lo stretto legame tra la funzione di polizia e la pratica della cittadinanza come emerge dai documentati richiami pone al centro della nostra riflessione il tema della formazione e dell’ addestramento a tale funzione per tali finalità e con tali metodologie di azione.

3 . Complessità e molteplicità

Per affrontare correttamente il tema della formazione degli agenti delle forze dell’ ordine occorre prima di tutto farsi carico della molteplicità degli interlocutori : ben cinque polizie statali, varie polizie locali, diverse responsabilità spesso sovrapposte se non contrapposte, regolamenti territoriali non coordinati. Aggiungerei che occorre anche farsi carico dei diversi percorsi di azione, distinguendo ad esempio tra le situazioni conflittuali di prossimità, di ambienti, e di situazioni riconducibili comunque in larga parte a tensioni intersoggettive e quelle specifiche a carattere sociale, in particolare le manifestazioni collettive o di massa.

Occorrerà ancora mantenere distinte ma fortemente unitarie la formazione generale e quella specifica di addestramento per assicurarne coordinamento e coerenza e nello stesso tempo farsi carico delle diverse are di intervento e di azione dei diversi reparti di attività delle forze dell’ ordine.

Assumiamo dunque come fondamentali riferimenti i criteri che abbiamo richiamato e documentato quali la territorialità, la partecipazione, la creatività e la responsabilità.

Possiamo quindi delineare una proposta di nuova formazione delle diverse forze dell’ ordine con una presenza in essa della conoscenza della nonviolenza e di un addestramento operativo all’ utilizzo delle risorse della nonviolenza, introducendo nella formazione e nell’ aggiornamento contenuti e metodologie didattiche utili a mettere in campo e rendere disponibili le risorse e le tecniche proprie dei valori, delle strategie, e delle tecniche della nonviolenza.

    1. Quale formazione ?

Le esperienze e le sperimentazioni svolte, gli studi consolidati e le ricerche in corso, nonché il quadro di riferimento sin qui delineato portano a dare concretezza alla proposta di formazione alla nonviolenza degli agenti delle diverse forze dell’ ordine ( meritano un richiamo specifico le proposte di legge avanzate alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica a ciò finalizzate ed avviate per iniziativa ed impegno di Peppe Sini e del Centro di ricerca per la pace e la nonviolenza di Viterbo del Movimento Nonviolento ).

Ancora un richiamo a riguardo dal Codice Etico europeo :

“ la polizia … in modo che i suoi membri godano il rispetto della popolazione in quanto professionisti incaricati di funzioni pubbliche nel rispetto dei diritti individuali e collettivi ed a ciò debitamente formati ed addestrati.

La formazione del personale di polizia deve basarsi sui valori fondamentali della democrazia, dello stato di diritto e sulla protezione dei diritti umani … la formazione della polizia deve essere aperta quanto più possibile alla società ed ai contributi che da essa possono arrivare”.

E Giampaolo Trevisi, direttore della Scuola di Polizia di Peschiera sul Garda :

“ Se un agente colpisce una persona inerme smette di rappresentare lo stato … è un fallimento della nostra formazione ”.

Conclusivamente, è bene chiarire che non si tratta di insegnare agli agenti il loro mestiere; si tratta invece di mettere a loro disposizione risorse teoriche e pratiche per una soluzione costruttiva e nonviolenta dei conflitti ai vari livelli nei quali si presentano.

Si tratta come abbiamo chiarito di portare una “aggiunta” di interferenza nonviolenta per passare da una cultura separata di potere ad una cultura di servizio alla comunità, di partecipazione ad una convivenza aperta e socialmente condivisa ; da una cultura di comando ad una cultura dell’ ascolto e della relazione finalizzata all’ affermazione dei valori condivisi della dignità sociale dei cittadini e dei diritti dell’ individuo.

E’ utile arrivare ad elaborare un approccio innovativo ai problemi della sicurezza personale, civile, e sociale, alla individuazione di nuovi strumenti operativi per una convivenza aperta e multipla, per sviluppare una formazione ed un aggiornamento che riunifichi, ad un livello sempre più avanzato, i diritti delle persone singole ed associate, la funzione delle forze dell’ ordine ed i diritti degli agenti.

Una formazione delle forze dell’ ordine definita da valori di riferimento, da metodologie di lavoro, da verifiche multiple, da superamento delle contrapposizioni gerarchia/partecipazione, dominante/sottoposto, ruolo/istituzione/persona.

    1. Schema metodologico di formazione alla nonviolenza

per gli agenti delle forze dell’ ordine

Non possiamo anticipare o prevedere con certezza e con precisione gli sviluppi di una proposta di formazione alla nonviolenza per l’ ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Possiamo tuttavia precisare che alle tante motivazioni già messe in luce se ne aggiungono alcune specifiche che derivano dall’ impostazione nonviolenta, e che richiamano direttamente ed unitariamente, al di là di ogni specifico impegno, le figure e l’ opera di grandi protagonisti dell’ educazione e della nonviolenza emancipatrice : Aldo Capitini, don Milani, Danilo Dolci, don Nesi, Lamberto Borghi, per richiamare e rimarcarne solo alcune.

Si tratta infatti di un rapporto relazionale di apprendimento segnato dall’ autonomia e dalla crescita emancipatrice delle persone e delle comunità; dalla creatività non riconducibile dunque solo ad un’ opera di indottrinamento, ma affidabile invece soprattutto alla consapevolezza maturata da ciascuno nel proprio contesto operativo personale e sociale, per verificare la molteplicità delle risposte possibili ad un problema come ad un conflitto ( V. Parisi capo della polizia : “ Non accettate di essere replicanti : imparate da soli. Cercate con la vostra coscienza, formata con linee di cultura più avanzate le potenzialità per scoprire nuovi modi di essere ”); dalla coscientizzazione che unisce la pratica della formazione con quella della conversione e della trasformazione.

Possiamo con tali criteri provare ad articolare una metodologia di formazione alla nonviolenza che presentiamo in modo aperto, che nella sua valenza generale potrà ben essere utilizzata in quella per gli agenti delle forze dell’ ordine, come in tante altre situazioni.

Le varie ed articolate presenze nazionali e territoriali della nonviolenza in Italia – ed in particolare il Movimento Nonviolento fin dalla sua fondazione ad opera di Capitini – hanno con continuità privilegiato per il proprio impegno ed il proprio lavoro il campo dell’ educazione e della formazione, ben consapevoli dei limiti di ogni intervento politico-istituzionale come di una crescita personale non arricchita dal rapporto Io-Tu-Tutti.

    1. Aspetti e momenti della formazione

Le molteplici esperienze svolte e gli apporti che ho ricavato dall’ esperienze altrui mi portano a delineare, in conclusione, un conseguente e coerente percorso formativo articolato in successione, avvertend o tuttavia subito che la nonviolenza e le sue applicazioni mal si adattano a schemi prefissati rigidi ed a modelli statici. Ho costruito la proposta assumendo i seguenti criteri di lavoro : unitarietà e non uniformità; affiancamento e non sostituzione; competenze specifiche e qualificate esperienze e non solo titoli accademici.

Si precisano così anche i momenti di successione della formazione.

Rappresentazione. E’ sempre necessario ed utile partire da una esposizione del “ come si rappresenta ” un fenomeno, un contesto, una situazione, un conflitto, un protagonista, un interlocutore, un terzo coinvolto. La rappresentazione non fa immediatamente riferimento alla conoscenza, alla consapevolezza, alla dimensione critico-descrittiva; si limita appunto a rappresentare, a dare “rappresentazioni”. Chi può negare, ad esempio, che vi possano essere, e spesso vi siano, in una manifestazione quanti vedono le forze dell’ ordine “ violente e serve del sistema ” e gli agenti “ servi del potere, pronti sempre a manganellare, come sempre a partire da Genova ” ? E quanti possono negare che tanti agenti vedono in ogni manifestante un antagonista, un pericolo sociale, un provocatore, un violento da fermare a tutti i costi, anche attaccandolo preventivamente ?

La rappresentazione consegna, dunque, un notevole materiale di base e di partenza per approdare al momento formativo della narrazione.

Narrazione. E’ il momento in cui ciascuno espone il proprio vissuto, le proprie esperienze, costruendo un racconto che confronta con gli altri racconti degli altri del gruppo per elaborare tendenzialmente una narrazione condivisa dei vari soggetti coinvolti in una situazione, in un conflitto, in un ruolo ed in una funzione.

E,tuttavia, una narrazione rischia di essere manchevole se non accompagnata da interpretazione.

Interpretazione e approfondimento. E’ la fase in cui la formazione attiva comincia il suo percorso vero e proprio chiamando i partecipanti a discutere e riflettere insieme sulla narrazione e sui materiali predisposti, e quindi sulla conoscenza di una persona o di una collettività, sulle implicazioni problematiche di un contesto, sulle possibili risorse e sulle molteplici soluzioni praticabili. L’ attività di interpretazione e di approfondimento consentirà di mettere in luce, di far emergere e di declinare i pregiudizi e gli stereotipi.

Pregiudizi e stereotipi, alla cui destrutturazione è finalizzato un nuovo tempo della formazione. Assunto per pregiudizio, come dice il termine stesso, un giudizio espresso prima di conoscere – e non c’è alcun bisogno esemplificativo – e per stereotipo un pregiudizio consolidato che cerca e trova conferma dall’ osservazione e da ogni esperienza lette con la lente appunto del pregiudizio, è necessario avviare un percorso per destrutturare tali stereotipi elaborando strumenti cognitivi adeguati, e nella consapevolezza che solo destrutturando i nostri pregiudizi possiamo affrontare dialetticamente i pregiudizi degli altri.

Centrale diviene quindi nel nostro processo formativo la comunicazione, alle cui dinamiche si legano strettamente quelle della parola. Anche per mettere le cose al posto giusto occorre dare alle parole il proprio giusto significato.

Si narra che fu avviata a Confucio una legazione per illustrargli la situazione di profonda crisi del Regno del Sud e chiedergli consigli per come operare. Confucio li fece parlare, ascoltò, interrogò,poi li lasciò e si ritirò in meditazione. Dopo giorni si presentò alla delegazione e dette questa indicazione : “ tornate al Regno del Sud e dite che occorre dare alle parole il loro giusto significato ‘‘.

Affrontare perciò adeguatamente i termini della comunicazione nella sua (in)efficacia, nel suo (im)proprio utilizzo intersoggettivo, nella sua (im)potenza liberatrice, significa sviluppare il processo formativo verso l’ ascolto ed il dialogo.

Ascolto e dialogo. L’ ascolto è la parte fondante del dialogo perchè relaziona due o più parti in un confronto finalizzato al rinvenimento di un valore comune, di una esperienza condivisa, di una situazione di empatia creativa, in una parola di una esperienza democratica e partecipata. La democrazia infatti è basata sull’assunto che nessuno è infallibile, è la disposizione al dialogo che si sviluppa e si rafforza attraverso la capacità di ascolto dell’altro. In un rarissimo opuscolo, intitolato L’abbicì della democrazia, Guido Calogero riprende la formula capitiniana “Ascoltare e parlare” e “Parlare e ascoltare”, ne fa l’essenza della democrazia come dialogo: « Questo è l’atteggiamento fondamentale dello spirito democratico: il tener conto degli altri. […] Ma come si tiene conto della volontà degli altri ? Anzitutto, ascoltandoli. Prima ancora che nella bocca, la democrazia sta nelle orecchie. La vera democrazia non è il paese degli oratori, è il paese degli ascoltatori».

7.Aperture conclusive.

Conseguito un livello di consapevolezza e di conseguente capacità deliberativa in riferimento al ruolo di ciascuno, alle funzioni istituzionali, alle situazioni di conflitto si tratta di affrontare il tema del consolidamento e dello sviluppo.

Consolidamento e sviluppo. Dobbiamo elaborare e praticare in questa fase del corso tecniche e comportamenti utili a rafforzare quanto appreso, a far divenire familiari atteggiamenti e competenze per il lavoro e per il proprio ambiente sociale, per arrivare a prefigurare un momento anche “ esterno ” al corso formativo di valutazione ed estensione.

Valutazione ed estensione. Verso la conclusione del percorso formativo occorrerà prevedere e definire alcune pratiche di verifica e di valutazione, in una prima fase degli operatori partecipi del corso e dei formatori. Successivamente, con un calendario preordinato ed utilizzando anche gli strumenti tecnologici più appropriati, occorrerà riscontrare valutazioni e verifiche con il coinvolgimento dei cittadini e delle tante realtà territoriali interessate : istituzioni, associazioni, movimenti, ecc.

Dobbiamo cioè far emergere dalla formazione, e dalle pratiche di lavoro successive, l’ esigenza di una sua estensione ad altri gruppi, ad altri territori, ad altri interlocutori, ponendoci nella prospettiva di individuare chi coinvolgere ( scuole, altre realtà formative, istituzioni, ecc. ), a chi rivolgersi per ampliare il campo e l’ opera di una tale formazione, e con quali aperture ed adattamenti.

Il sogno/progetto che vogliamo anticipare partendo da questa iniziativa rivolta in particolare agli agenti delle forze dell’ ordine e da quelle che portiamo avanti da anni soprattutto nelle scuole di ogni ordine, è quello di elaborare e mettere in pratica, passo dopo passo con il criterio nonviolento dell’ aggiunta, Patti Territoriali di Formazione e di Convivenza Aperta e Nonviolenta.

Rocco Pompeo

(immagine tratta da beppegrillo.it)

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