di Martina Pignatti Morano, Presidente Un ponte per…
Quanta cecità da parte dei nazionalisti, è ben facile dirlo oggi. Eppure tra 100 anni forse qualcuno guarderà a noi e si chiederà perchè l’Italia si ostinasse, in quel lontano 2015, a spendere 14 miliardi di euro (solo acquisto, più 50 miliardi di mantenimento fino al 2050) per dotarsi di armi puramente offensive come i cacciabombardieri F35, invece di pensare alla difesa della sicurezza umana dei suoi cittadini.
Per fortuna in questo 2015 c’è chi elabora con serietà proposte alternative e lavora dal basso, con poco clamore, producendo risultati che dovrebbero interessare a tutti gli Italiani angosciati dalla questione sicurezza. Nella settimana appena conclusa, infatti, due sono state le ottime notizie per il movimento pacifista italiano. La Campagna “Un’altra difesa è possibile” ha depositato presso la Camera dei Deputati le 50.000 firme necessarie per chiedere l’istituzione di un Dipartimento dello Stato per la Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, tramite proposta di legge di iniziativa popolare. Inoltre, negli stessi giorni è stato pubblicato il Decreto che, accogliendo un emendamento dell’On. Marcon alla Finanziaria, istituisce in via sperimentale un progetto di Corpi Civili di Pace all’interno del Servizio Civile Nazionale.
Da sei mesi tutte le reti di associazioni e sindacati italiani che lavorano per la pace, il disarmo e il servizio civile organizzavano banchetti ed eventi in tutta Italia per lanciare una proposta costruttiva: un nuovo dipartimento dello Stato che si occupi finalmente della nostra sicurezza umana con modalità non armate, e bassissimi costi rispetto al bilancio del Ministero della Difesa. Il nuovo organo, co-finanziato dai cittadini attraverso un’opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi, dovrebbe gestire i Corpi Civili di Pace e un Istituto di Ricerca sulla Pace e sul Disarmo, e agirebbe in collaborazione con i Dipartimenti della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, e del Servizio Civile. Un “Consiglio Nazionale della difesa civile, non armata e nonviolenta” verrebbe istituito fra i suddetti Dipartimenti con compiti paritetici di indirizzo della politica di pace italiana.
Vi sembra una proposta inutile? Allora fermatevi a riflettere: come vi sentireste se nel Sistema Sanitario Nazionale vi fossero solo medici chirurghi, pronti a tagliare e amputare per ogni tipo di malanno? E’ più o meno quanto abbiamo fatto nella campo della sicurezza delegando la gestione dei conflitti sociali, ambientali e internazionali a personale militare o forze di polizia armate. Molto si potrebbe fare con altri mezzi, con altreexpertise. Ma in Italia non esiste un’infrastruttura nazionale per la costruzione della pace con mezzi pacifici, con operatori civili capaci di analizzare i conflitti, prevenirli, sviluppare strategie di peacebuilding per riconciliare, mediare, rafforzare i difensori dei diritti umani, sostenere la partecipazione delle donne ai processi di pace, spingere gli attori a spostare il conflitto sul terreno politico anziché sullo scontro armato, e molto altro.
Non era facile parlare di tutto queste nelle nostre piazze mentre i media ci presentano i combattenti di Daesh(ISIS) come fossero dietro la porta di casa nostra. Molta gente, invece di preoccuparsi del dissesto idrogeologico – che minaccia concretamente 6 milioni di Italiani – teme l’eventualità di un attentato terroristico e si chiede cosa possano fare Corpi Civili di Pace di fronte a questa minaccia. Anche noi di Un ponte per… siamo oggi estremamente preoccupati per le conquiste di Daesh, ma lo siamo per la sicurezza dei nostri amici iracheni e siriani. Nonostante i bombardamenti della coalizione internazionale anche Ramadi è caduta questa settimana, ed è sempre più chiaro che le armi italiane inviate agli eserciti locali non fermeranno gli estremisti. Servono diplomazia, intelligence, ed appunto Corpi Civili di Pace che promuovano la conciliazione tra comunità irachene, lavorando con i giovani sfollati iracheni per disinnescare le vendette, sostenendo le minoranze, come nel nostro piccolo già facciamo.
Se la comunità internazionale elaborasse queste strategie e finanziasse questi interventi, consultando la società civile locale in zone di conflitto anziché i soliti attori statali e gruppi armati, il corso degli eventi e delle guerre potrebbe cambiare radicalmente, ne siamo convinti. D’altronde l’associazionismo, le comunità locali, le chiese e i movimenti sociali italiani si muovono da decenni per costruire ponti di pace e solidarietà con popolazioni in zone di conflitto, con scarsissimi mezzi. Non se ne accorge la Farnesina, ma molti attivisti per i diritti umani e operatori di pace locali in Palestina, Sud Sudan, Sri Lanka, nei Balcani e in molte zone calde del pianeta si sentono protetti e rafforzati dalla presenza sul campo di volontari e professionisti italiani, anche se spesso agiscono per conto di organizzazioni internazionali (Nonviolent Peaceforce, Peace Brigades International, ma anche gli UN Volunteers).
Ora potremo chiedere sostegno a questi progetti tramite un bando sperimentale di Servizio Civile, e potremo chiamarli Corpi Civili di Pace, come da decreto fresco di firma dei Ministri Poletti e Gentiloni. Speriamo che questa piccola sperimentazione triennale, rivolta solo a giovani volontari e interamente gestita dalle associazioni, sia propedeutica a un’opzione organica promossa dallo Stato, come chiesto dalla Campagna“Un’altra difesa è possibile”. Certamente c’è il timore che uno strumento nonviolento, messo in mano alle istituzioni, ne venga “corrotto”, ma la nostra sfida tende alla costruzione di istituti che siano allo stesso tempo pubblici e non-governativi, che non divengano strumenti degli interessi di governo. E’ formalmente possibile, e lo chiedono oggi 50.000 cittadini, tra cui oltre 20 sindaci e molti consigli comunali e regionali che hanno approvato mozioni di sostegno alla campagna per la difesa civile non armata e nonviolenta. Grazie a tutti loro, il ripudio della guerra oggi assume nuova concretezza.
Articolo tratto da Un ponte per…