“Chiedi chi erano i Beatles” cantavano gli Stadio nel 1984. In quel caso la risposta era molto facile. I Fab Four erano il miglior gruppo musicale del ‘900. Qualche giorno fa ad un convegno a Trento mi è stata posta la domanda “Chiedi chi era Alex Langer”. E qui la risposta è più difficile. Perchè Alex non è definibile con una sola categoria: è stato insegnate, intellettuale, traduttore, politico, giornalista, saggista, verde, europeista, leader di movimento…e via elencando… lui si descrisse come un “portatore di speranza”. Per me è sempre stato semplicemente una bella persona, un amico della nonviolenza. Oggi lo ricordiamo come colui che ha cercato di applicare la nonviolenza negli ambiti forse più difficili per farlo: la politica e le istituzioni. E’ stato detto, giustamente, che Alex era il più impolitico dei politici, eppure è stato il rappresentante istituzionale (consigliere regionale ed eurodeputato) di un vasto movimento ecologista e pacifista, che insieme a tante sconfitte ha raggiunto anche straordinari risultati concreti. Ha saputo attraversare cariche prestigiose senza rimanere invischiato nelle sabbie mobili del potere; ha trattato alla pari con capi di stato senza mai tradire la sua vocazione francescana. Ha fatto politica non per se stesso ma “per fare pace tra gli uomini e con la natura”. E c’è riuscito perchè in lui c’era anche la dimensione profetica. Sapeva vedere al di là dell’orizzonte, e sapeva trasmettere la visione. Poi sapeva indicare la strada. Profeta e politico. Ma essere utopisti e realisti nello stesso tempo è un compito arduo.
Non si è mai definito “un pacifista”, ma piuttosto “un facitore di pace”, o meglio di “paci”, al plurale, poiché ogni conflitto è una storia a sé, richiede una soluzione particolare, specifica; non esiste una ricetta di pace che va sempre bene per tutto. La costruzione della pace è un cammino faticoso, spesso sconosciuto. E lui l’ha faticosamente ricercata in Sudtirolo come in Bosnia.
A vent’anni dalla disperata dipartita, sentiamo ancora intatta la nostalgia e anche il vuoto lasciato dalla sua assenza. Non c’è incontro, riunione, convegno, assemblea, congresso di movimento dove Alex non venga in qualche modo ricordato, citato, rimpianto. Ci manca. Ma lo sentiamo anche fortemente vicino, compresente. Alla domanda ricorrente “perché?” non ci può essere risposta, ma ognuno di noi un senso a quella morte lo vuole dare: forse a schiacciarlo è stato il troppo amore, la troppa compassione, il farsi carico senza limite dei pesi altrui. Come il suo amato San Cristoforo Alex aveva preso sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, ma ancor prima della fine della traversata si è accorto che aveva accettato il compito più gravoso della sua vita, e che doveva mettercela tutta, con un estremo sforzo, per arrivare di là. Non ce l’ha fatta, Alex, a concludere la traversata del fiume, stanco e oberato ha religiosamente accettato il suo calvario; ma la preziosa eredità di idee ed azioni che ha lasciato, oggi la ritroviamo sparsa ovunque, persino nell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”.
La figura di Langer oggi piace molto ai giovani. Lo sentono attuale, vero, coerente. Offre loro un’idea di politica così diversa e bella rispetto alla decadenza e alle miserie che hanno visto negli ultimi decenni. La forza di Alex sta nel fatto che viveva coerentemente con ciò che diceva.
Nel suo Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica, al punto 9 scrive (e sembra davvero scritto per noi oggi)
Una necessità si erge pertanto imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che – se tollerato – rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili. Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza.
Il convinto e convincente no alla violenza è per me una definizione essenziale della nonviolenza.
Langer descrive e interpreta la nonviolenza senza mai nominarla esplicitamente. Di sicuro è una scelta voluta e motivata. La ricerca di strumenti efficaci per la convivenza interetnica, ha portato alla nonviolenza, il cui cuore sta proprio nel rifiuto della violenza. No alla violenza, dice Langer. E non aggiunge altro. Non ha bisogno di specificare “senza se e senza ma”, o – come più probabilmente avrebbe fatto – “con tanti se e tanti ma”. Dice solo “no alla violenza”, e tutti capiscono cosa significhi. E’ un no chiaro e deciso. Ma deve essere anche “convinto e convincente”.
Convinto. Chi rifiuta la violenza deve aver fatto un percorso interiore, deve esserne intimamente convinto, persuaso direbbe Capitini, deve rifiutare innanzitutto la propria violenza, quella che viene da dentro di sè, prima di poter ripudiare quella esterna, quella degli altri.
Convincente. Il rifiuto della violenza non può essere uno slogan, una bandiera, un precetto. Diventa un messaggio convincente solo se chi lo riceve ne vede l’utilità, ne capisce l’importanza decisiva. Diventa convincente un messaggio di cui si vede l’efficacia, oltre alla bontà della testimonianza.
Se si è convinti si riesce ad essere convincenti. E si è convincenti solo se si è davvero convinti.
Alex era un convinto della nonviolenza, nella parola e nell’azione, e perciò ancor oggi la sua testimonianza è convincente.
Io sono di quelli che ha conosciuto di persona Alex Langer, quando venne a Ravenna per un’iniziativa pubblica, al tempo delle cosiddette Liste Verdi.
Mi riconosco completamente nelle riflessioni di questo articolo, e ricordo Alex con nostalgia.
Quello di spalle nella foto dovrei essere io 20 anni fa.