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Rete Disarmo: In Egitto pesanti violazioni dei diritti umani

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Feb 9, 2016

La Rete Italiana per il Disarmo nel manifestare il proprio cordoglio alla famiglia Regeni per la tragica morte di Giulio, si unisce all’appello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel chiedere che “attraverso la piena collaborazione delle autorità egiziane, sia fatta rapidamente piena luce sulla preoccupante dinamica degli avvenimenti, consentendo di assicurare alla giustizia i responsabili di un crimine così efferato, che non può rimanere impunito”.

Rete Disarmo apprezza i passi finora messi in atto dal Governo italiano che ha richiesto alle autorità egiziane il massimo impegno per l’accertamento della verità e dello svolgimento dei fatti, anche con l’avvio immediato di un’indagine congiunta con la partecipazione di esperti italiani (e le parole del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha ribadito che “non ci accontenteremo di verità presunte”).

Rete Disarmo denuncia però che, nonostante le pesanti violazioni dei diritti umani operati dalle autorità egiziane e lasospensione delle licenze di esportazione verso l’Egitto di armi e materiali utilizzabili a fini di repressione interna decretata nell’agosto del 2013 dal Consiglio dell’Unione europea, l’Italia ha continuato a inviare armi in Egitto.

“Nonostante questa decisione non sia mai stata revocata – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio sulle armi leggere (OPAL) di Brescia – l’Italia non solo nel 2014 ha fornito le forze di polizia egiziane di 30mila pistole, ma nel 2015 ha inviato in Egitto altri 1.236 fucili a canna liscia. Di fatto l’Italia è l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna all’Egitto” – conclude Beretta.

Rete Disarmo chiede perciò al Governo Renzi di ottemperare alla decisione del Consiglio dell’Unione europea e disospendere l’invio alle forze militari, agli apparati di sicurezza e alle forze dell’ordine dell’Egitto di ogni tipo di arma e di materiali che possano venire impiegati per la repressione interna.

Una repressione che anche Amnesty International denuncia con estrema chiarezza: da quando il generale Al Sisi è salito al potere, le organizzazioni per i diritti umani hanno registrato centinaia di casi di sparizioni e oltre 1700 condanne a morte, quasi tutte ancora non eseguite. La tortura è praticata abitualmente nelle stazioni di polizia e nelle carceri, compresi i centri segreti di detenzione. La libertà d’espressione e manifestazione pacifica è pesantemente limitata e i difensori dei diritti umani e i giornalisti subiscono persecuzioni e processi irregolari.

“In questo contesto – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo – appare ancor più grave il continuo invio dall’Italia di armi verso l’Egitto: significa, infatti, sostenere direttamente l’operato delle forze di polizia e di sicurezza e fornire strumenti per poter compiere le loro brutali azioni di repressione”. A seguito del colpo di Stato con cui l’allora ministro della Difesa, generale al-Sisi, depose il presidente eletto Morsi, il Consiglio dell’Unione europea nell’agosto del 2013, condannando con la massima fermezza tutti gli atti di violenza, decise di “sospendere le licenze di esportazione verso l’Egitto per qualsiasi attrezzatura che potrebbe essere usata a fini di repressione interna”.

“L’Italia – aggiunge Martina Pignatti Morano, presidente dell’associazione “Un ponte per…” –  ha scelto di attuare una riabilitazione politica del regime militare in cambio di un accordo sulla vendita e sul trasporto del gas naturale trovato dall’ENI al largo delle coste egiziane, e ora spera di utilizzare le forze armate egiziane per un intervento militare di terra in Libia. Diritti umani e libertà d’espressione non sono stati nemmeno messi sul piatto della bilancia, nonostante sia noto che il 14 agosto 2013 l’allora ministro della difesa Al Sisi si è reso responsabile del più grave massacro di manifestanti di cui si abbia memoria: almeno mille morti in un giorno solo secondo Human Rights Watch”.

Il corpo di Giulio oggi ci parla di giornalisti imbavagliati e torturati, di decine di migliaia di attivisti – musulmani e laici, senza distinzioni – arrestati sotto il regime di Al Sisi, di almeno un torturato su quattro che viene ucciso. In quelle carceri un attivista può decidere di diventare un jihadista, come accade per tanti militanti nelle carceri siriane di Assad o come avveniva nelle prigioni irachene di al-Maliki, apprendendo da quei regimi la folle logica del terrore.Chiudere quelle carceri e disarmare gli aguzzini diventa prioritario anche per la lotta contro Daesh.

(immagine tratta da controlacrisi.org

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