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Azione nonviolenta – Ottobre 2007

DiFabio

Feb 2, 2007

Azione nonviolenta  ottobre 2007

– XXII Congresso del Movimento Nonviolento “La nonviolenza è politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti”
– Amiche e amici della nonviolenza si riuniscono a Verona per dare idee e gambe ed un progetto comune, Elena Buccoliero intervista Daniele Lugli
– Ideare il manifesto del Congresso con un lavoro didattico progettuale, di Tamara Boscia e Loretta Viscuso
– Disegnare la nonviolenza con immagini, forme, colori, gli studenti dell’Istituto d’Arte di Trento
– Sul rapporto tra etica e politica. Il pensiero di Krippendorff, politologo della nonviolenza, di Valentina Pazè
– Con i quaccheri in Irlanda cresce il processo di pace, di Franco Perna
– L’Inps non ama gli obiettori, ma perde la causa davanti ai giudici, di Alerino Peila e Manlio Mazza

Le rubriche:

– Cinema. Il coraggio della verità in una storia d’amore, a cura di Enrico Pompeo
– Educazione. Educhiamo-ci alla pace: un processo formativo costante, a cura di Pasquale Pugliese
– Economia. I detergenti equosolidali estratti dal cocco del babacù, a cura di Paolo Macina
– Giovani. Cucinare con il sole, lavarsi con il ghiaccio, a cura di Elisabetta Albesano
– Per esempio. Le tredici nonne salvatrici del pianeta, a cura di Maria G. Di Rienzo
– Movimento. Testimoni della nonviolenza al nuovo centro di Mestre, a cura di Raffaella Mendolia
– Libri. Catastrofi climatiche e disastri sociali, a cura di Sergio Albesano

Amiche e amici della nonviolenza si riuniscono a Verona per dare idee e gambe ad un progetto comune: la nonviolenza è politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti.

A pochi giorni dal Congresso di Verona, mettendo da parte per un attimo le preoccupazioni organizzative e contingenti, abbiamo chiesto a Daniele Lugli, Segretario nazionale del nostro Movimento, di presentarci contenuti e aspettative di questo nuovo appuntamento.

Daniele, come immagini questo congresso?
Un congresso che sia veramente tale, e cioè sia, come suggerisce l’etimologia, congredi/gradi, l’incontro anche stretto, la discussione impegnata, ma il camminare e l’avanzare assieme, il salire un gradino verso il varco della nonviolenza.
Il titolo inusitatamente lungo mi suggerisce di scomporlo. Comincio dalla nonviolenza, una freccia di direzione da dare alla propria vita e da portare nella vita pubblica, in particolare. Mi sembra importante una collettiva riflessione sull’attualità della nostra Carta costitutiva. In essa sono evidenziati obiettivi e metodo verso una società nonviolenta.
Non vi è dubbio dunque che per noi la nonviolenza è politica. Così formulato è stato il tema dell’ultimo congresso e di una riflessione che a questo congresso ci porta. Avviene nel momento in cui una crisi della politica è generalmente riconosciuta, se ne indica la fine e persone che vi hanno profuso impegno le danno l’addio. È una crisi non solo italiana. La difficoltà che la democrazia e i suoi istituti incontrano è generalizzata nel nostro continente e fuori. Una ventata autoritaria sembra percorrere anche le democrazie di più lunga tradizione.
Lo strumento principale previsto dalla Costituzione per il concorso dei cittadini a determinare con metodo democratico la politica nazionale, e cioè il partito, è da tempo in una crisi senza sbocchi visibili. Né sembra che le proposte in campo siano in grado di rivitalizzarlo.
C’è una specificità italiana di questa crisi così largamente diffusa?
È una società che appare in fuga dalla politica, nelle gran parti delle regioni del nord, come se questa fosse un puro ostacolo al combinare affari, e nelle ragioni del sud in gran parte in mano alla criminalità organizzata. Resta un “ridotto”, più o meno ubicato nel centro, dell’esperienza repubblicana.
La nonviolenza, allora…?
È proprio qui che si rende particolarmente necessaria l’aggiunta del pensiero e della pratica nonviolenta, sintetizzabile in una partecipazione consapevole alla vita pubblica con strumenti nuovi di democrazia partecipativa e l’adozione di un metodo rigorosamente nonviolento nell’azione individuale e collettiva. Che entrambe le esigenze siano diffusamente avvertite è un dato di esperienza. Mancano però continuità e coerenza.
I partiti che hanno mostrato più attenzione a questi temi, anche da ultimo Verdi e Rifondazione intervenuti anche al nostro congresso di Gubbio, non sembrano però averne fatto un uso conseguente nella pratica politica, a partire dalla formazione delle liste elettorali e fino ad oggi.
LA NONVIOLENZA È POLITICA PER IL DISARMO

Parlare di disarmo sembra un’ovvietà, per un movimento che si chiama nonviolento. Nel frattempo però sembra riprendere un clima di Guerra Fredda…
La sottolineatura viene proprio da questa ripresa del clima che ha caratterizzato il secondo dopoguerra. Sciolto il Patto di Varsavia, il mantenimento e l’estensione della Nato non poteva che produrre questo risultato. A chi va in giro con un grosso martello, è stato detto, la maggior parte delle cose che incontra appaiono come chiodi.
C’è anche un altro elemento che ha a che fare con il diffuso, e fondato, senso di insicurezza, per cui occorre spiegare come togliere uno strumento di offesa non sia anche contemporaneamente togliere uno strumento di difesa.
Le armi sono tante. Arma in latino è sempre plurale, e noi sappiamo come, pur essendo rilevante l’A-B-C (atomiche, batteriologiche e chimiche), non sia sottovalutabile l’impatto delle cosiddette armi leggere. È un argomento che spazia dalla ripresa del fuoco atomico al commercio e diffusione di ogni tipo di arma. E del resto il campo distruttivo è quello che costantemente e in modo crescente impegna scienza e tecnologia.
C’è il grande tema culturale, sociale ed economico della riconversione dell’industria bellica in costante espansione. Bisogna far comprendere come tutte le armi siano per così dire sempre a doppio a taglio, rivolte verso chi è colpito e verso chi le usa, e come sia indispensabile trovare altro per difendersi da minacce vere e presunte che provengono dall’esterno e dall’interno delle nostre società. Affermare una diversa possibilità di convivenza.
LA NONVIOLENZA È POLITICA PER IL DISARMO, RIPUDIA LA GUERRA…

Il titolo del congresso sottolinea il ripudio della guerra, così come è scritto nell’articolo 11 della Costituzione.
È un tema al quale abbiamo dedicato un apposito seminario. Si può certo dire che la guerra è una continuazione della politica e ne manifesta la medesima inettitudine a risolvere i problemi che pretende di affrontare. La sua conclamata inefficacia è quasi un luogo comune eppure sembra inevitabile, nella ripetuta pantomima tra i combattenti su chi l’abbia provocata. Anche continuando a ignorare i più sanguinosi conflitti africani, è questo certamente il caso dell’Iraq e dell’Afghanistan.
È stato detto giustamente che di fronte ai flagelli che affliggono l’umanità – miseria, fame, stermini di massa, malattia… – le guerre possono apparire eventi minori, ma sono assieme gli eventi che maggiormente veicolano quei flagelli e aprono al peggio. Ecco perché l’attenzione non deve calare. Questo abbiamo voluto sottolineare fin dalla Marcia per la nonviolenza, contro la guerra e gli eserciti, che abbiamo promosso da Perugia ad Assisi nel 2000. In questo senso qualche perplessità desta l’abbandono della intitolazione alla pace della Marcia Perugia-Assisi, che si vorrebbe in continuità con l’iniziativa nonviolenta e capitiniana del 1961.
Ora è una marcia “per i diritti umani”…
Non che questo tema non meriti la massima attenzione. Richiede però approfondimento e riflessione nelle società che ritengono di averli in buona misura già realizzati. Il modo migliore di diffonderli consiste nel farli vivere e approfondire, nel riconoscere la loro presenza anche in culture differenti, sapere che mai la loro diffusione potrà avvenire sulla punta delle baionette, come si sarebbe detto un tempo. Senza questa attenzione – dalla quale si è ben lontani, basti pensare al trattamento generalmente riservato agli immigrati nei paesi più ricchi e fortunati che li ricevono – la questione dei diritti umani diviene addirittura pretesto di guerra.
Un filosofo del diritto ha proposto di non usare più la parola “guerra”, ma “carneficina di massa”, più difficilmente conciliabile con aggettivi quali santa, umanitaria, giusta…
Un grande contributo può dare l’Unione Europea, oggi in grande difficoltà, con politiche decise contro la guerra. Del suo possibile ruolo di potenza di pace abbiamo parlato a Gubbio dopo la camminata da Assisi.

LA NONVIOLENZA È POLITICA PER IL DISARMO, RIPUDIA LA GUERRA E GLI ESERCITI…

Che ne è degli eserciti?
La loro evidente trasformazione in eserciti di mestiere sostenuti da compagnie private mercenarie rende necessaria una maggior conoscenza. La sospensione della leva obbligatoria non è stata accompagnata da una riflessione adeguata. L’impegno crescente in missioni di pace variamente giustificate comporta un aumento delle spese nel bilancio della Difesa. È una tendenza criticata da una componente molto limitata dello schieramento politico e dell’opinione pubblica. Complessivamente l’istituzione esercito è la più apprezzata, non solo in Italia ma in tutta Europa, rispetto a tutte le altre istituzioni, mentre gli ultimi posti in classifica sono occupati da partiti, sindacati, Parlamento. È questa una realtà con la quale occorre fare i conti. Così non si può ignorare che dopo l’esercito vengono nella considerazione generale le Forze dell’Ordine, a riprova della sensazione generalizzata di insicurezza a cui accennavo prima. L’impopolarità degli strumenti tradizionali di democrazia completa il quadro.
La questione dell’esercito e del suo ruolo, del suo impatto sulla politica in generale, richiede di essere affrontata in una interlocuzione anche con quanti, dall’interno delle Forze Armate, si pongono in modo critico il problema dell’attuale loro ruolo. Le sporadiche occasioni in cui ciò è avvenuto hanno mostrato la fecondità di tale rapporto. Vi è un disagio nell’esercizio del mestiere delle armi che il miglior addestramento non riesce a superare. La comprovata incapacità della guerra a risolvere i problemi che vorrebbe affrontare ha certamente il suo peso e, per quanto sofisticati si facciano i sistemi d’arma impiegati, l’esperienza di guerra è profondamente traumatica non solo per le popolazioni civili colpite, ma per i guerrieri addestrati. Un segno può essere il fatto che l’anno scorso si è toccato il picco, negli ultimi ventisei anni, di suicidi tra i soldati statunitensi, e un terzo di quanti si sono tolti la vita l’hanno fatto mentre erano in servizio in Iraq o in Afghanistan.
Maggior conoscenza e vicinanza possono agevolare una presa di coscienza all’interno dell’esercito con conseguenze importanti, tanto più se si considera la partecipazione ad alleanze militari e la prospettiva di un esercito europeo.
I LAVORI CONGRESSUALI
Come si articola il dibattito su questi temi all’interno del Congresso?
Una discussione generale può essere avviata già con le suggestioni che il lungo titolo propone, ma come sempre il lavoro fondamentale si svolgerà in commissioni di approfondimento delle nostre proposte, certamente non esaustive e per fortuna non solo nostre.
I Corpi Civili di Pace costituiscono un terreno di forte impegno per strutturare esperienze differenti che mirano a questa prospettiva. È una prospettiva in cui vi sono molti elementi di integrazione a livello europeo ma che richiede un grande impegno anche a livello nazionale. Sottolineiamo la necessità di una preparazione adeguata, di chiari obiettivi e strumenti, e l’utilità di conoscere in modo approfondito logiche e modalità dell’intervento militare, laddove si operi in condizioni di compresenza.
A livello nazionale e internazionale il Servizio Civile Volontario procede in una logica affine ai Corpi Civili di Pace, almeno stando ai documenti istitutivi.
Questo è vero forse nelle esperienze migliori, come erede del servizio civile iniziato dagli obiettori. Non va sottovalutato il rischio di una deriva del servizio analoga a quella che ha caratterizzato, nel tempo e per gran parte, proprio il cosiddetto servizio civile degli obiettori. È un servizio civile tagliato su misura delle grandi associazioni e in secondo luogo degli enti pubblici, non è un caso che movimenti come il nostro abbiano gravi difficoltà nell’utilizzarlo. Ma al di là di questo si avverte, sotto le solenni proclamazioni della normativa, un’incertezza del ruolo sia rispetto alla difesa popolare nonviolenta, che lo vedrebbe come luogo privilegiato di esperienza, sia rispetto alla proposta che costituisce per i giovani.
È uno strumento che serve davvero ai giovani e al welfare? Se è così, perché non generalizzarlo almeno per tutti i volontari? – anche senza arrivare all’obbligatorietà prevista in “Abolire la miseria”, lo studio che Ernesto Rossi pubblicò nell’immediato dopoguerra.
Il Servizio Civile Volontario diventa di fatto anche uno strumento di educazione alla nonviolenza, visto che su questo punta buona parte della formazione per i giovani. Un altro tema che verrà affrontato in commissione.
Certamente, anche se i semi di nonviolenza vanno piantati anche in anni precedenti alla maggiore età dei ragazzi, e di un’opera educativa c’è bisogno giacché nonviolenza è acquisizione di un’apertura, di un metodo, non mera conoscenza di tecniche. La difficoltà di un’azione incisiva, nella quale l’impegno non è solamente nostro, è attestata dalla scarsa attuazione del Decennio per l’educazione alla pace e alla nonviolenza. In essa è stato profuso molto impegno e altro ne occorre.
Educare alla nonviolenza vuol dire anche indirizzare verso una società in cui l’economia riconosca i vincoli ecologici e sappia produrre e diversamente usare l’energia.
Di questo si tratterà nella commissione su economia, ecologia ed energia.
Riportiamo l’attenzione su tre E fondamentali senza le quali le E più ripetute (economicità, efficienza, efficacia) non hanno alcun fondamento. Servono al più a ottimizzare i disastri sociali. Naturalmente ciascuno dei tre termini evocati presenta aspetti complessi, ed anche più complesso è il loro rapporto. Si è diffusa la consapevolezza dell’insopportabilità ecologica dei consumi energetici e del modello di sviluppo fondato sull’economia capitalistica. Pesa però in modo schiacciante il fallimento di modelli che richiamandosi al socialismo si sono pretesi alternativi, e si sono mostrati solamente una via particolarmente sanguinosa al capitalismo. C’è il problema complesso di una trasformazione e della capacità di vederne necessità e desiderabilità.
Quali risposte possono venire dai movimenti di fronte alla crisi della politica?
Ci sono esperienze e frequenti tentativi su temi sopra evocati, dal trattamento delle scorie radioattive, ai rifiuti, alla disponibilità dell’acqua, alla realizzazione di infrastrutture, come su temi più direttamente connessi al militare: allargamento di basi, presenza di bombe atomiche. Indicano una sensibilità presente, di stimolo alle forze politiche tradizionali e di pratica diretta. A parte il necessario rifiuto di ogni forma di violenza, che dovrebbe essere ovvio dopo ripetute esperienze per qualsiasi essere ragionevole, occorre un’estrema attenzione nell’impiego dei mezzi di coinvolgimento della popolazione e nella formulazione e praticabilità delle proposte alternative. Forme di disobbedienza incivile possono attrarre l’attenzione dei mass media, non avvicinare la soluzione dei problemi. È alla luce dell’accresciuta o meno consapevolezza delle persone coinvolte, e della qualità del programma costruttivo che ne è scaturito, che cercheremo di analizzare le diverse esperienze.
Su questo un laboratorio specifico è quello che riguarda il contrasto della mafia.
Si tratta di un fenomeno particolarmente radicato nel nostro Paese, a partire dal Regno delle Due Sicilie, con diverse denominazioni, connotazioni e specializzazioni, e assieme diffuso in tutto il Paese e nel mondo come componente importante della criminalità internazionale. Per l’intensità che nella nostra società presenta e per la sua diffusione globale è dunque un tema decisivo, nel quale sperimentare la capacità della nonviolenza. Si è visto come la resistenza al pizzo, all’usura, l’uso dei beni confiscati alle mafie siano elementi fondamentali.
Aggiungerei il valore della legalità, talora sottovalutato anche in ambienti attenti ai temi della nonviolenza. La tolleranza verso l’inosservanza delle norme è una caratteristica diffusa nel nostro Paese, si tratti di limiti alla velocità o all’edificazione, di obblighi fiscali o di norme sul lavoro. Sappiamo che alla legge si può disobbedire: a malincuore, apertamente, e per ottenere una legge migliore. Altra disobbedienza non c’è concessa.

LE COMMISSIONI DI LAVORO
Gran parte del lavoro del Congresso è affidato alle commissioni, aperte alla partecipazione non solo degli iscritti ma degli amici della nonviolenza che vorranno dare il loro contributo.
È necessario che il lavoro si concluda con proposte il più possibile operative per indirizzare l’attività del Movimento. Si tratta cioè di portare all’approvazione dell’assemblea progetti nei quali siano chiaramente individuati i contesti, le finalità, le risorse, le collaborazioni necessarie.
A questo scopo i coordinatori delle commissioni proporranno al gruppo un insieme di stimoli per orientare la discussione e assicurarne la concretezza.

Ideare il manifesto del Congresso con un lavoro didattico progettuale
Il punto di vista delle insegnanti

Tamara Boscia
Loretta Viscuso

E’ sempre entusiasmante unire il lavoro di progettazione alla possibilità di fermare l’attenzione degli studenti, attraverso un pensiero progettuale, su tematiche sensibili e importanti come quelle della nonviolenza, della pace, dell’ecologia.
Ecco allora che, invece di progettare l’ennesima decorazione per un padiglione fieristico inesistente, dare ai ragazzi la possibilità di entrare nella contemporaneità e poter incidere in questa attraverso un lavoro di ricerca che coinvolge non solo sfere di pensiero, ma anche la loro personale creatività , ha per noi un grande significato. Riteniamo che questi progetti si possano considerare come delle semine: non pensiamo che i frutti di questi mesi di lavoro siano solo i bozzetti che saranno esposti durante il congresso. Vediamo questi bozzetti come delle porte, verso una consapevolezza un po’ più profonda della realtà che in modo inaspettato, prima o poi si farà avanti.
Non è stato un progetto facile, in quanto la tematica della pace ha spesso utilizzato immagini abbastanza scontate e gli studenti desideravano sperimentare qualcosa di nuovo: nonostante questo, la motivazione è sempre stata alta, con risultati finali, a nostro avviso, molto interessanti.
La qualità del risultato finale è senz’altro dovuta alla quantità di stimoli e di riflessioni che gli studenti hanno avuto modo di elaborare prima e durante la progettazione dell’immagine del manifesto .
Il fatto di avere potuto avere molteplici punti di vista sulla tematica della nonviolenza, ha fatto sì che quando è iniziato il lavoro di progettazione vero e proprio, ognuno di loro avesse già dei rimandi ad emozioni e contenuti che dovevano solo trovare la forma per potersi manifestare.
In questo caso ‘progettare’ ha portato da una parte ad una continua riflessione, e dall’altra ad una ricerca su come ’vestire’ la propria idea di nonviolenza: ognuno di loro ha trovato forme, colori e composizioni personali.
Ciò che a nostro avviso ha coinvolto maggiormente gli studenti è stato l’incontro con Giuliano Pontara e con Ghesce Sonam, non tanto per i contenuti proposti, quanto per la loro scelta di vita improntata alla nonviolenza.
Lo stesso interesse dimostrato per personalità come Gandhi, M.L. King e il Dalai Lama è stato nutrito dall’ammirazione rispetto a scelte coraggiose che essi hanno assunto nella propria esistenza. E’ emerso inizialmente come da parte degli studenti il valore della nonviolenza venisse considerato con ammirazione, ma ritenuto una scelta difficile, o comunque possibile individualmente ma utopica collettivamente, socialmente. Su questo terreno di discussione ognuno si è espresso e confrontato, approfondendo al contempo la propria conoscenza di sè e del mondo.
Metodologicamente siamo partiti sempre dagli studenti, dalla loro conoscenza, dai loro sentimenti, dal loro pensiero. Tutto ciò che hanno appreso, sia di se stessi che del mondo, lo hanno costruito lavorando in autonomia e quasi sempre in piccoli gruppi, mentre l’insegnante ha assunto il ruolo di guida.
E’ stato anche molto interessante l’utilizzo della lingua inglese come strumento per accedere alla documentazione reperibile su internet e soprattutto come possibilità di comunicare le proprie esperienze ad altri studenti- nella Repubblica Ceca- impegnati anch’essi sullo stesso tema.
Un altro elemento che è stato a nostro avviso importante è il fattore ‘tempo’: poter dedicare tempo all’elaborazione di una idea progettuale è senz’altro utilissimo, perché permette di sedimentare i contenuti e raffinare un po’ alla volta ciò che si sta facendo .
Un punto di forza del progetto è stata la collaborazione tra le due insegnanti: ciò ha permesso ai ragazzi di esaminare materiali originali e di mettersi in un contesto internazionale da subito.
Il fattore che sicuramente ha attivato al meglio tutte le competenze degli studenti, è quello di aver lavorato per qualcosa di concreto, che sarebbe divenuto visibile e che sarebbe stato utilizzato: il manifesto ufficiale del XXII Congresso nazionale del Movimento Nonviolento.BOX 1
Dati progetto scolastico
Classe coinvolta: 5° E dell’Istituto Statale d’arte ‘Alessandro Vittoria’ di Trento, composta da sette ragazzi e cinque ragazze.
Il progetto è stato svolto in modo interdisciplinare e ha coinvolto l’insegnante di Lingua Inglese e l’insegnante di Progettazione pittorica.
Tempi di svolgimento : da inizio gennaio a metà aprile 2007,per 8 ore la settimana : 6 ore di progettazione e 2 ore di Inglese.
In entrambe le materie le lezioni si sono svolte utilizzando come lingua veicolare l’inglese.BOX 2
Fasi del progetto scolastico
Inizialmente sono state date informazioni tecniche su come comporre l’immagine di un manifesto e su come si sarebbe svolto l’iter progettuale.
Gli studenti hanno visto il film ‘Gandhi’ di Richard Attenborough.
Sono stati organizzati tre incontri che hanno coinvolto, oltre agli studenti della 5E, anche gli studenti di tutte le classi quarte e quinte dell’Istituto. Ogni incontro è stato seguito da un dibattito. Scaletta incontri :
il Prof. Giuliano Pontara ha parlato del senso della nonviolenza nella storia , nella sua vita, e del suo ultimo libro L’antibarbarie (Edizioni Gruppo Abele).
Il monaco tibetano Ghesce Sonam, fuggito dal Tibet, ha parlato dell’esperienza di nonviolenza come pratica personale e spirituale.
Massimiliano Pilati, esponente del Movimento Nonviolento di Trento, ha parlato della nonviolenza come esperienza di vita, e sulla specifica committenza del manifesto .Contemporaneamente i ragazzi esaminavano con l’insegnante di inglese, testi originali riguardanti la nonviolenza di Gandhi, Martin Luther King e del Dalai Lama, e attivavano uno scambio con una classe in Cecoslovacchia sul tema della nonviolenza, utilizzando Internet come piattaforma di scambio di messaggi, riflessioni e foto.
E’stato inoltre creato un sito Internet nel quale è stato tracciato questo percorso di conoscenza dei conflitti nel mondo, di esplorazione del concetto di nonviolenza  ed analisi guidata dei documenti in lingua inglese:  http://www2.webng.com/tamarabo/index.html
Le lezioni di progettazione (insegnante Loretta Viscuso) si sono intrecciate con quelle di inglese (insegnante Tamara Boscia) e con gli incontri. Questa modalità di sviluppo del lavoro ha permesso ad ogni studente di svolgere la propria ricerca progettuale con un coinvolgimento ‘variegato‘, contemporaneo su più piani: lingua, immagini, esperienze personali, confronti con i relatori, ricerca di documentazioni storiche e artistiche legate alla nonviolenza. Ogni studente ha poi elaborato in modo personale le informazioni avute con le esigenze comunicative proprie del manifesto e con la propria creatività.

Disegnare la nonviolenza con immagini, forme, colori

Il punto di vista degli studenti

L’idea che mi sono fatta del Movimento Nonviolento è che abbia un costante bisogno di crescere ed ottenere un appoggio sempre maggiore. Per creare il mio manifesto ho ragionato sui simboli che meglio rappresentano la nonviolenza in contrapposizione con quelli della violenza. Dopo diverse prove, ho deciso di utilizzare dei fiori (nonviolenza) e delle armi (violenza). Il mio progetto si compone di due parti totalmente differenti. Nella parte inferiore non esistono colori, solo il bianco e il nero (simbolo della desolazione, della morte, della violenza). I soggetti sono tre fili spinati, con incastonate delle armi; essi passano attraverso il logo del Movimento Nonviolento e mutano. Si arriva così alla parte superiore, caratterizzata da colori sgargianti e vitali, che donano la sensazione che arrivare alla pace sia possibile. Si evidenzia così il passaggio da violenza e nonviolenza attraverso l’aiuto del Movimento Nonviolento. Personalmente ho trovato questa esperienza molto interessante, perché ho potuto apprendere una diversa visione della vita, che si basa sulla collaborazione, sul rispetto reciproco, e sul vivere la vita in modo equilibrato partendo dalle piccole cose quotidiane.
Jessika Forti

Per prepararci a questo progetto abbiamo assistito a due incontri organizzati con delle persone attive nella pratica della nonviolenza. Questi momenti mi hanno permesso di pormi davanti ad una realtà che conoscevo solo teoricamente, l’approfondimento dei principi di questo ideale di vita ha suscitato in me una notevole ammirazione per le persone che riescono a seguire una vita all’insegna della nonviolenza. In particolar modo l’incontro con il Geshe Sonam mi ha affascinata per la sua filosofia di vita, per la sua storia. L’ascolto di queste persone ha infuso in me la speranza che, a piccoli passi, con piccoli gesti e atteggiamenti nonviolenti applicati nella quotidianità, si possa un giorno arrivare ad un mondo senza guerre. Per realizzare il progetto del manifesto ho incontrato notevoli difficoltà legate al fatto di dover trovare un’ immagine originale, immediata che rispecchiasse i principi del movimento e che inoltre catturasse l’attenzione delle persone.
Ho cercato di trasmettere con la mia composizione l’idea del ripudio della guerra utilizzando il logo del movimento nonviolento: da questo escono delle linee morbide che da nere diventano azzurre e poi bianche, e che formano una gru di carta ad origami, simbolo fin dopo la seconda guerra mondiale della speranza e della lotta contro gli armamenti.
Lara Mottes

Questo progetto è stato per noi molto utile, per conoscere sotto tutti gli aspetti il tema della nonviolenza; oltre alla semplice realizzazione di un progetto abbiamo approfondito le nostre conoscenze. Abbiamo conosciuto più in particolare la vita e il pensiero dei più grandi pacifisti come Gandhi, Martin Luther King e il Dalai Lama. Il mio progetto non si lega però ad immagini figurative, ma si ispira piuttosto al simbolo dell’associazione. Il mio manifesto è caratterizzato da una grande semplicità, ciò lo rende di facile lettura. Sul poster non appare nulla che non sia prettamente essenziale alla sua funzione: il titolo, le informazioni, e il simbolo. Ho realizzato questo progetto con l’aiuto del computer e credo che questo sia molto importante perché ho potuto approfondire le mie capacità in questo ambito. Anche i colori sono essenziali infatti ho utilizzato solo il bianco, il nero e il rosso e questo gli da un effetto ancora più pulito…
Francesco Bonvecchio

Il percorso seguito attraverso incontri con esperti, un monaco buddista ed operatori del Movimento Nonviolento, la visone di filmati, la lettura di articoli di giornale e l’osservazione di immagini scaricate da Internet su questo tema, ha senz’altro contribuito nel promuovere un dibattito ma soprattutto una profonda riflessione sulla pace e sulla necessità del disarmo. Tale riflessione in particolare ha portato alla realizzazione del progetto che ci è stato commissionato.
In un primo momento ho cercato di mettere a fuoco il tema per farmi alcune idee e procedere poi alla realizzazione di vari schizzi con l’impiego di tecniche diverse.
Pensando alla destinazione del messaggio ad un vasto pubblico, ho prodotto una serie di schizzi facendo riferimento alla Pop-Art. Tra tutti ho scelto poi quello che, in modo incisivo, meglio degli altri avrebbe potuto esprimere il tema della nonviolenza e l’ho realizzato con colori acrilici vivaci. riportandolo sul foglio a dimensioni ingrandite.
Luca Tomasini

Il progetto della nonviolenza è, sia in ambito filosofico, sia in ambito pratico, un tema molto complesso. Per iniziare il progetto ho dovuto entrare in contatto con questo mondo, che non avevo mai esplorato prima, per riuscire nel difficile intento di trovare una raffigurazione nuova e chiara nell’esporre il messaggio nonviolento. La nonviolenza è una tematica molto attuale e in ambito artistico e grafico è difficile non accostarsi a un qualcosa di già visto, già proposto da altri.
Ecco che nel progettare ho cercato di farmi influenzare il meno possibile, per restare sulla mia linea creativa. Il risultato finale, a mio parere, ha tutte le caratteristiche sopra indicate: è nuovo e di impatto e rappresenta appunto quello che a parer mio è la nonviolenza: un processo lungo e difficile che sta cercando di eliminare la violenza, con calma e costanza di impegno. Ecco perché ho creato una immagine che si compone di due parti principali: un poster della guerra , in cui si vedono una serie di mitra che si ripetono uguali a se stessi, e una parte bianca che partendo dall’alto cola e copre i mitra; ma il processo non è concluso, non è completo. Ecco, che, come nella realtà, la nonviolenza non ha ancora raggiunto il suo scopo ma sta lavorando per il suo raggiungimento……
Alex Fattore

Il mio progetto è basato sulla figura di Gandhi. Inizialmente la mia attenzione non si è rivolta alla figura di questo grande personaggio, concentrandola più sulle immagini che la nonviolenza richiama nella mia mente. Successivamente ho pensato che l’utilizzo di Gandhi come soggetto del progetto è più efficace e di facile comprensione per l’osservatore. Basti pensare alla sua lotta per l’indipendenza dell’India, ottenuta tramite una resistenza nonviolenta agli attacchi dell’impero britannico. Gandhi era disposto a subire percosse di ogni tipo senza reagire. Ma la cosa più importante è che ha saputo trasmettere le sue idee a tutto il popolo indiano, riunendo popolazioni di etnie diverse (come indù e musulmani) per ottenere un obiettivo comune. Ho deciso quindi di utilizzare nel mio progetto la figura di Gandhi dal momento che deve apparire come figura-guida per chi decidesse di seguire la strada della nonviolenza. Per fare questo ho ricopiato una foto che lo ritraeva in primo piano. Per colorarla ho usato forti contrasti (blu con il bianco in prevalenza). Quindi ho utilizzato delle “nuvolette fumettistiche” in maniera che titolo del manifesto e informazioni riguardo al congresso risultassero pronunciate direttamente fa Gandhi, in modo da dare affidabilità alle parole, ai concetti che il manifesto esprime.
Mattia Tezzon

Secondo me è stato molto complesso riuscire a realizzare un’immagine chiara e immediatamente riconducibile al Movimento Nonviolento, ed è proprio per questo motivo che ho deciso di utilizzare una delle figure più forti e rappresentative che si conosca: Gandhi. Inizialmente ho studiato la sua vita e le battaglie da lui combattute contro i governi oppressori, poi ricercando immagini e elaborando le mie idee, ho realizzato la composizione totale del mio progetto.
Sono stata molto felice di lavorare in questo progetto, perché ho potuto confrontarmi personalmente con un tema alquanto difficile e complesso, in quanto concretizzare i principi astratti della nonviolenza è stato abbastanza problematico….
Sara Perotti

Il progetto svolto sul tema della nonviolenza in occasione del congresso annuale del Movimento Nonviolento è stato svolto in un periodo che è durato dal mese di gennaio 2007 al mese di aprile 2007. E’ stato un lavoro che personalmente mi ha coinvolto molto per vari motivi, soprattutto perchè il tema non ispirava ad una soluzione grafica commerciale, ma anzi lasciava una potente libertà espressiva. Questa impressione a mio parere è stata assorbita e sfruttata da tutta la classe.
Infatti la parola “nonviolenza” è una parola satura di significato, concetti e ispirazioni che ho cercato di assimilare al fine di creare un progetto finale che risultasse d’impatto sia dal punto di vista concettuale che grafico e cromatico. Per questo ho deciso di rappresentare l’immagine di Gandhi, come figura carismatica e concettualmente carica di significato, di facile decifrazione per il tema su cui abbiamo lavorato. Ho adottato una tavola cromatica che oltre ad ispirare pace, ad essere armonica ed equilibrata con la composizione del manifesto, avrebbe catturato l’attenzione dei cittadini e degli interessati per le strade di una ipotetica città.
Non posso trascurare però che per quanto possa essere espressiva la realtà artistica, essendo un manifesto, ho dovuto rispettare alcuni criteri compositivi. Tra questi il più importante è stata la scelta della collocazione delle scritte, che ho cercato di far risaltare ponendole in alto (alla destra e alla sinistra del soggetto) con il titolo dell’ evento al centro dell’immagine.
Spero di aver trasmesso con la mia soluzione grafica la stessa passione che gli uomini del passato e del presente adottano per combattere le ingiustizie e le violenze della quotidianità.
Umberto Matino

Manifesto grafico per il Congresso del Movimento Nonviolento

Al Dirigente Scolastico dell’Istituto d’Arte “Alessandro Vittoria” di Trento

Il Movimento Nonviolento desidera ringraziare l’Istituto “Alessandro Vittoria” di Trento per l’ottimo lavoro svolto nel corso dell’anno scolastico, finalizzato all’ideazione di un manifesto grafico per promuovere il XXII Congresso del Movimento Nonviolento “La nonviolenza è politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti”. In particolare ringraziamo la classe V° E e i suoi insegnanti, prima tra questi la prof.ssa Loretta Viscuso per l’attenzione e la passione con cui ha accompagnato l’intero percorso.
Non è stato compito facile quello della Commissione che si è ritrovata a Verona, presso la Casa della Nonviolenza, il giorno 26 maggio u.s., per compiere la scelta definitiva sulla base degli orientamenti già espressi dal Comitato di Coordinamento dell’associazione. I lavori dei ragazzi, certamente ispirati dagli incontri sulla nonviolenza svolti presso la Vostra scuola, rappresentano una sintesi originale e di grande effetto rispetto alle immagini correnti della nonviolenza e, anche quando ne ripropongono simboli consolidati e volti noti (i colori dell’arcobaleno, l’effige di Gandhi), cercano linguaggi e modalità nuove che ridiano forza ai simboli e espressività ai volti. Tutti i lavori valutati hanno ottenuto apprezzamenti sinceri, e sono stati valutati con una votazione che ha definito una graduatoria che vede molti “pari merito”. Fra i lavori che hanno ottenuto più gradimento sono stati individuati i primi tre, e poi una “menzione speciale”.
Tutti i lavori realizzati saranno esposti a Verona nei giorni del Congresso Nazionale, dall’1 al 4 novembre 2007, e potranno essere utilizzati come immagini della rivista “Azione nonviolenta”. Ci auguriamo inoltre che i giovani disegnatori siano presenti al Congresso nella giornata inaugurale del Congresso per un momento di premiazione e di ringraziamento da parte dell’Associazione.
I bozzetti premiati sono i seguenti:

I° PREMIO – LAVORO DELLO STUDENTE Alex Fattore
Il bozzetto è stato scelto per l’efficacia della comunicazione e l’essenzialità del messaggio sulla forza della nonviolenza come possibilità di trasformazione della realtà. In esso, infatti, le parole della nonviolenza e del disarmo colorano uno sfondo armato e lo cancellano, come colore che copre, o meglio lo sciolgono, come cera sottoposta ad un calore potente.
Nell’insieme il bozzetto lascia prefigurare il manifesto finale con un impatto leggibile e sobrio. L’impostazione grafica, asciutta ed equilibrata, bene si accorda con lo stile complessivo del Movimento. Inoltre la presenza stilizzata delle armi riprende esplicitamente il tema del disarmo, posto al centro della tematica congressuale. Sarà questo il manifesto ufficiale di convocazione del Congresso.
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II° PREMIO – LAVORO DELLA STUDENTESSA Jessika Forti
Il filo spinato, le cui spine sono armi, si avviluppa e si distende poi in steli fioriti. Questo il tema del secondo bozzetto, molto apprezzato per la nitidezza del segno e la ricchezza dei colori. Di questo lavoro è piaciuta l’atmosfera bucolica e romantica e la presenza forte dell’immagine che esplicita la nonviolenza come una forza di trasformazione, capace di affermare il disarmo (le armi imprigionate nel filo spinato) e valorizzare gli elementi naturali come salvaguardia dell’ambiente (fiori e foglie).

III° PREMIO – LAVORO DELLA STUDENTESSA Deborah Garbani
Questo lavoro è stato scelto per l’armonia cromatica e per lo sviluppo della simbologia dell’arcobaleno e delle colombe come elemento contornante. La parola “nonviolenza” emerge in questo lavoro sia come sostanza che come forma, in una sintesi efficace nel messaggio visivo e letterale. La scelta del colore di sfondo ci è parsa in perfetta sintonia con lo spirito del manifesto.

MENZIONE SPECIALE – LAVORO DELLA STUDENTESSA Lara Nottes
La pace nasce dal fucile spezzato sotto forma di origami-colomba della pace. In questo lavoro, molto equilibrato dal punto di vista cromatico, è stata apprezzata la scelta originale dell’origami per rinnovare il simbolo della colomba della pace. E’ stata molto apprezzata la sintesi tra fucile spezzato (logo antimilitarista di matrice europea) e l’origami (logo pacifista giapponese), quasi a creare un ponte tra la nonviolenza occidentale (Aldo Capitini) e la nonviolenza orientale (M.K. Gandhi).

Ringraziando per la vostra collaborazione porgiamo distinti saluti.
La commissione esaminatrice

Sul rapporto tra etica e politica.
Il pensiero di Krippendorff, politologo della nonviolenza

Valentina Pazé

1. In tempi di realpolitik, in cui la sinistra al governo aumenta le spese militari senza suscitare scandalo nella propria base elettorale, sintonizzarsi sui tempi lunghi della storia può riservare scoperte sorprendenti: come quella di un ministro della guerra che scioglie quasi completamente l’esercito al proprio servizio, destinando le truppe residue a compiti prevalenti di polizia. Il suo nome è Johan Wolfang Goethe, presidente della commissione di guerra del ducato di Weimer tra il 1776 al 1786.
A raccontarci la storia del Goethe “politico” ed altri casi esemplari di “politica etica”, spaziando dall’Atene di Socrate alla Vienna di Mozart, dalla Cina di Lao-tzu e Confucio all’India di Ashoka e Gandhi, è il politologo tedesco Ekkehart Krippendorff, in un volume intitolato L’arte di non essere governati. Uscito qualche anno fa in traduzione italiana, senza suscitare tutto l’interesse che avrebbe meritato, questo libro rappresenta una vera miniera per chi voglia riflettere sul rapporto tra etica e politica, sull’efficacia della nonviolenza, sul futuro della sinistra. Mi limiterò qui a proporre alcune considerazioni intorno a due temi solo apparentemente scollegati, su cui Krippendorff è tornato anche più di recente: il nesso tra astrazione e dominio e la critica della politica estera. La speranza è che il piccolo “assaggio” qui proposto invogli a ulteriori letture e approfondimenti di un autore che, anche solo per il rigore morale e la vastità di cultura che trapelano dai suoi scritti, merita di essere conosciuto e studiato.
2. L’indagine intorno al nesso esistente tra “astrazione” e “dominio” occupa un intero capitolo – il sesto – de L’arte di non essere governati. Ma il tema riaffiora spesso, qua e là, nel corso dell’opera di Krippendorff. In sintesi, l’idea è la seguente: la politica di potenza, per realizzarsi, ha bisogno di fornire una raffigurazione del mondo astratta e semplificata; ha bisogno di agitare concetti e parole privi di corrispondenza con la realtà empirica, miranti anzi a velare e nascondere ciò che in essa concretamente esiste e si muove; ha bisogno di ridurre la qualità in quantità, le persone in numeri, i luoghi in figure geometriche su una cartina geografica. «Dobbiamo pensare insieme astrazione e dominio, riconoscerne la reciproca appartenenza: il dominio di esseri umani su altri esseri umani […] va di pari passo con la fuoriuscita dell’umanità dalla condizione di natura e con la sottomissione della natura a leggi astratte».
Così formulata, la tesi presenta una certa dose di ambiguità, prestandosi a letture irrazionalistiche. Perché mai «la fuoriuscita dell’umanità dalla condizione di natura» e lo sviluppo delle scienze dovrebbero implicare intenti di sopraffazione? Come non accorgersi che l’esercizio del pensiero richiede necessariamente il ricorso a categorie astratte, e che di astrazioni è infarcito il linguaggio, sistema di segni cui solo in minima parte corrispondono referenti empirici singolari e concreti?
In realtà niente sarebbe più fuorviante che ascrivere Krippendorff alla numerosa famiglia degli irrazionalisti e degli anti-intellettualisti. Volendo a tutti i costi procedere a classificazioni, dovremmo dire che il nostro autore è, piuttosto, un erede legittimo della tradizione illuminista, cui si richiama apertamente nei suoi lavori. Al di là dell’ambiguità di talune formulazioni, non è difficile cogliere il senso complessivo dell’insistita polemica di Krippendorff nei confronti dell’“astrazione”. Ciò che viene criticato non è il pensiero astratto in quanto tale, ma l’atteggiamento nei confronti del mondo che quasi invariabilmente assumono coloro che ricoprono posizioni di potere, dall’alto delle quali le persone in carne e ossa, con i loro bisogni, le loro speranze, la loro umanità concreta, spariscono, tramutate in pedine di un gioco che le trascende. L’ambito privilegiato in cui il nesso tra dominio e astrazione si manifesta è la politica estera. Le cartine del mondo che, da Tucidide a oggi, orientano l’agire dei grandi strateghi della politica, e dei loro consiglieri, vengono disegnate «dalla prospettiva a volo d’uccello del dominio»: una prospettiva aerea, simile a quelle dei piloti bombardieri delle guerre moderne, in grado di incenerire villaggi senza apparenti sensi di colpa, privi come sono della percezione sensibile delle conseguenze dei loro atti.
Da sempre, del resto, per mobilitare i popoli nei confronti del “nemico”, è stato necessario prima crearlo – il nemico – utilizzando un arsenale di «tecniche del distanziamento» miranti a celare la fondamentale somiglianza esistente tra gli esseri umani. «Nulla è cambiato. Se non forse i modi, le cerimonie, le danze. Il gesto delle mani che coprono il capo è rimasto però lo stesso». Questa semplice verità, cui ha dato voce il premio Nobel Wislawa Szymborska in una poesia intitolata Torture, è proprio ciò che la politica del dominio si sforza in tutti i modi di occultare, attraverso discorsi incentrati su entità astratte come Stato, nazione, equilibrio tra le potenze. Discorsi che hanno reso possibile, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, che un tedesco odiasse “i francesi” senza averne mai visto uno in faccia, e viceversa.
Il punto di vista distaccato del dominio viene contrapposto da Krippendorff all’educazione estetica e politica offerta dall’arte. Educazione politica in quanto estetica, se con questo termine si intende – secondo l’etimologia – una forma di conoscenza “sensibile”, attingibile attraverso i sensi. L’arte è agli antipodi della politica di potenza proprio perché è agli antipodi del “riduttivismo” che la contraddistingue. Essa si caratterizza per «la pluridimensionalità del suo linguaggio e della sua verità: sono molti i lati, sono molti gli aspetti, molti gli strati della realtà a cui essa vuole e deve dare espressione e rappresentazione, in modo che possano essere percepiti». L’arte si distingue inoltre per la sua vocazione alla pubblicità, di contro alla tendenza della politica di dominio a dissimulare sotto una coltre di bugie o mezze verità i propri obiettivi inconfessabili. Non è allora un caso che, di fronte alla carneficina della prima guerra mondiale, siano stati gli artisti – in particolare i pittori – a vedere più lontano, denunciando la sconvolgente “verità” della guerra moderna: una verità incisa sui volti e sui corpi dilaniati dei soldati nelle trincee, che fatica a farsi strada nei testi degli scienziati sociali del tempo, molti dei quali sedotti dalle sirene belliciste. «Forse tutto ciò va ricondotto al fatto che l’arte figurativa deve infine fare sempre ritorno all’essere umano concreto, che ha il suo segreto punto di riferimento nel singolo essere umano vivente e sofferente […], mentre sociologia, politologia, economia, ecc. si accontentano di astrazioni, di generali conformità a leggi storiche dietro a cui gli esseri umani non hanno bisogno di fare la loro comparsa».
Arte contro scienza; concretezza contro astrazione; sensi contro ragione. Ancora una volta, qualche dubbio è lecito avanzarlo. Non sempre i sensi dicono la verità; non ogni sollecitazione dei sensi ha l’effetto di potenziare le capacità critiche (ma di ciò Krippendorff è ben consapevole, quando distingue la “vera” arte dal semplice intrattenimento). Non solo. Per certi versi si potrebbe sostenere che è proprio l’indisponibilità ad “astrarsi” dalla propria particolare situazione (di privilegio o, al contrario, di abissale disperazione) a inibire la capacità di immedesimarsi nelle sofferenze altrui…
Quello che Krippendorff vuole dirci, tuttavia, non è che la ragione non serve, ma che – da sola – non basta: «Ogni genere di psicologia educativa e politica sa che l’‘apprendimento’ ovvero l’‘impegno politico’ non può essere motivato e non può indurci all’azione esclusivamente attraverso argomentazioni buone e convincenti, bensì anche mediante ricorso a quello che qui definiamo ‘sentimento’». Mille discorsi possono essere imbastiti per motivare l’illegittimità, l’immoralità o l’inutilità delle guerre. Più di mille discorsi serve probabilmente la testimonianza di un Gino Strada a ricordarci che cosa significa una gamba amputata, un corpo straziato, una vita colpita nei suoi affetti più cari.
3. La critica frontale sviluppata da Krippendorf nei confronti della politica estera in quanto tale, e non di una particolare politica estera, ha molto a che vedere con le considerazioni finora svolte. La politica estera, la cui nascita coincide con quella dello Stato moderno, si contraddistingue proprio per il fatto di comportare una visione del mondo “dall’alto”, di obbedire a una logica che sacrifica la vita delle persone alla ragion di Stato. Se il criterio per stabilire la conformità della politica all’etica è, per Krippendorff, l’imperativo kantiano a trattare ogni individuo come un fine, mai solo come un mezzo, la politica estera è l’ambito in cui tale imperativo viene regolarmente violato, in nome di obiettivi di tutt’altro genere, come l’acquisizione di potere e prestigio a livello internazionale.
Di fronte a tutto ciò, il giudizio di Krippendorff è drastico: «L’ampiezza e l’intensità del rifiuto da parte di una società di sottostare al suo possibile ruolo di potenza costituisce il metro di misura della sua maturità politica». Con la fine della guerra fredda le condizioni per una simile maturazione sembravano poste, per lo meno in Europa. Venuta meno qualsiasi realistica minaccia all’integrità territoriale degli Stati europei, il passo logicamente conseguente avrebbe dovuto essere lo smantellamento degli eserciti. È invece ripresa la corsa agli armamenti con la riconversione degli eserciti a nuovi obiettivi: non più la difesa del territorio nazionale (unica giustificazione per la loro esistenza, in base a molte Costituzioni del dopoguerra), ma la partecipazioni alle guerre del Terzo Mondo, guerre che non avrebbero la distruttività che conosciamo se non fosse lo stesso Occidente, pacificato al suo interno, a lucrare sul commercio delle armi.
Se nessuno sembra oggi in grado di recepire la lezione del ministro della guerra Johan Wolfang Goethe, qualche spiraglio per immaginare un “nuovo modo possibile”, pur tuttavia, esiste. Nella Postfazione all’edizione italiana di Critica della politica estera, scritta nel 2003, Krippendorff invita a relativizzare il significato epocale del fatidico “11 settembre” e a prendere in considerazione la forza simbolica potenzialmente superiore della data del 15 febbraio 2003, quando trenta milioni di persone scesero in piazza contemporaneamente in tutto il mondo per protestare contro la guerra in Iraq. Quel giorno divenne visibile, per la prima volta, l’esistenza di una «società mondiale dal basso», alternativa alla comunità degli Stati impegnati nel gioco mortale della “grande politica”. Un evento di tale portata, privo di precedenti nella storia mondiale, potrà ben essere considerato – kantianamente – il signum prognosticum di un possibile progresso morale dell’umanità.
E. Krippendorff, Die Kunst, nicht regiert zu werden. Ethische Politik von Sokrates bis Mozart, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1999; tr. it. L’arte di non essere governati. Politica etica da Socrate a Mozart, Fazi Editore, Roma 2003. La vicenda di Goethe è raccontata nel capitolo 21, intitolato Confucio a Weimar.
E. Krippendorff, L’arte di non essere governati cit., p. 63.
Kant in particolare è indicato in Kritik der Aussenpolitik, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2000 (tr. it. Critica della politica estera, Prefazione di G. G. Migone, Fazi Editore, Roma 2004) come «uno dei padrini spirituali più importanti del presente lavoro» (p. 175).
E. Krippendorff, L’arte di non essere governati cit., p. 66
W. Szymborska, Torture, in Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1997, p. 62.
E. Krippendorff, L’arte di non essere governati cit., p. 155.
Ivi, p. 145.
Ivi, pp. 261-262.
In India l’annuncio da parte del governo della costruzione della prima bomba atomica nazionale, nel 1998, suscitò uno stato di euforia collettiva. Uno dei membri del governo si espresse nell’occasione in questi termini: «Si dice sempre che noi siamo poveri, che non contiamo proprio nulla. Adesso [contiamo] anche noi». Krippendorff commenta qualificando la decisione di costruire la bomba come «pura politica estera». Cfr. Critica della politica estera cit., pp. 43-45.
E. Krippendorff, L’arte di non essere governati cit., p. 72.
Cfr. G. Burrows, The no-nonsense guide to the arms trade, New Internationalist 2002; tr. it. Il commercio delle armi, Carocci, Roma 2003, da cui risulta che i principali produttori di armi sono i paesi del G8, con l’aggiunta dell’Ucraina. Si noti che i primi quattro produttori mondiali (Stati Uniti, Russia, Francia e Regno Unito) sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, istituzione preposta alla risoluzione pacifica delle controversie internazionali.

Con i quaccheri in Irlanda
cresce il processo di pace

Franco Perna
Ogni tre, quattro anni, circa 350 quaccheri (chiamati “Amici”), provenienti da tutti i continenti, si riuniscono in rappresentanza della comunità mondiale quacchera (quasi 400.000 aderenti). Questa volta è toccato agli Amici irlandesi (1.500) mobilitarsi per accoglierli.
Essendo i quaccheri in Irlanda profondamente e storicamente coinvolti nella vita del paese, è parso opportuno non limitarsi alla semplice organizzazione logistica. Essi, infatti, hanno messo in programma incontri aggiuntivi, come viaggi-studi per trattare argomenti specifici. In tale quadro di iniziative ho potuto partecipare, durante la settimana che ha preceduto il grande raduno a Dublino, al seminario “Pace e riconciliazione in Irlanda del Nord”.
E’ stato interessante scoprire come i due settori, cattolico e protestante, si stiano organizzando – collaborando tra loro – per far fronte efficacemente ai problemi socio-economici che hanno per così lungo tempo alimentato il conflitto.
Eravamo una ventina di persone, alloggiate nel nuovissimo Centro quacchero di Moyallon a ovest di Belfast. Qui abbiamo ascoltato testimonianze di esperti tutt’ora impegnati nel difficile lavoro di “peace-building” – un campo che è stato sempre molto a cuore al movimento quacchero.
Le sedute di questo tipo al Centro venivano alternate con visite presso altri centri di attività, per esempio la Comunità internazionale di Corrymeela, Ballycastle, fondata nel 1965 da un gruppo di volontari per facilitare i contatti tra le due etnie e promuovere la pace nel mondo. Attualmente sono ancora i volontari a mandare avanti il lavoro (www.corrymeela.org).
Altre visite significative (in collaborazione col gruppo di servizio volontario quacchero – www.ulterquakerservice.com):
“Quaker Cottage”, West Belfast, che accoglie centinaia di donne e bambini di famiglie in gravi difficoltà economiche e non solo, basta ricordare che circa 100.000 mila bambini vivono in condizioni di povertà quasi assoluta. Qui le donne ricevono una formazione che dura vari mesi per aiutarle a re-inserirsi nella società.
“Quaker Prison Visitors centre”, dove familiari e amici di detenuti ricevono assistenza di vario tipo, anche a livello burocratico, per facilitare le visite ai loro cari.
“Quaker House” che per decenni ha svolto lavori di natura politica per promuovere contatti e negoziati tra leaders politici di campi opposti “quiet diplomacy”.
Durante il nostro soggiorno siamo stati, inoltre, ricevuti da quattro parlamentari allo Stormont (Assemblea nord-irlandese) che ci hanno illustrato vari programmi di collaborazione per affrontare i grandi problemi economici del paese. Il futuro e il benessere comune, secondo loro, non può continuare a dipendere dall’aiuto, sia pure massiccio (quasi 10 miliardi di euro all’anno) del governo di Londra, ma piuttosto dallo sviluppo commerciale e dagli investimenti stranieri, soprattutto in riferimento alla Repubblica irlandese, che attualmente ha raggiunto un livello economico di vita molto alto.
Altro incontro significativo è stato quello con le autorità locali di Newry, ridente città a stragrande maggioranza cattolica, ma lontana dal confine con l’Irlanda del Sud, dove la disoccupazione è attualmente soltanto un brutto ricordo. Vicino a Newry abbiamo potuto ugualmente visitare il villaggio modello costruito da alcuni quaccheri nell’800 intorno alla loro fabbrica tessile di Bessbrook. Ovunque andavamo si respirava un nuovo vento di pace, grazie anche alla stretta collaborazione tra quaccheri e altri gruppi di “buona volontà” per la ricostruzione pacifica del loro paese.
Trascorsa la settimana al Nord, ci siamo recati al Sud per raggiungere il resto dei partecipanti alla Triennale de Comitato Mondiale degli Amici (FWCC) a Dublino. Qui le discussioni erano centrate su argomenti più prettamente d’interesse interno al movimento quacchero e le sue diversità pratico-teologiche, dovute soprattutto a sviluppi socio-culturali diversi.
Un’intera giornata del raduno è stata dedicata a visite storiche e particolarmente importanti per il quaccherismo irlandese che ebbe inizio nel 1654. Nel 2005, all’occasione del 350esimo anniversario della presenza quacchera in Irlanda, il servizio postale irlandese volle ricordare il contributo degli Amici alla vita economica dell’Irlanda, con l’emissione di un francobollo speciale, ritraendo Gorge Fox, uno dei fondatori del quaccherismo.
In conclusione, desidero esprimere, anche dalla pagine di Azione nonviolenta, la mia gratitudine agli Amici irlandesi per la loro dedizione e il loro profondo impegno alla causa della pace, nonché per aver saputo organizzare con tanta premura, anche nei particolari, incontri e avvenimenti che resteranno vivi nella mia memoria per lungo tempo.Se qualcuno fosse interessato a saperne di più del movimento quacchero nel mondo, potrà contattarmi con una mail: pernafran@tiscali.it , o visitare il sito www.quaker.org/italia)

L’I.N.P.S. non ama gli obiettori, ma perde la causa di fonte ai giudici

Alerino Peila ha vinto la sua battaglia con l’INPS, che ora deve riconoscergli ai fini pensionistici i mesi trascorsi in carcere militare come obiettore nel 1971. Pubblichiamo la testimonianza di Alerino Peila e il commento dell’avvocato Manlio Mazza, entrambi obiettori di coscienza.

La ragazza, che scelse di camminare accanto a me, ricordava con tenerezza il pomo d’Adamo che saliva e scendeva nella mia gola mentre deglutivo, ascoltando la richiesta del procuratore militare e la sentenza di condanna pronunciata dal giudice: quattro mesi.
Era il 21 maggio 1971, il mio primo processo, generato dal rifiuto di indossare la divisa nella caserma di Como, il 12 marzo.  Forse pensavo a come sarebbe stato il carcere, se avessi resistito; o come mi sarei comportato in futuro, quando avrei dovuto scegliere tra lasciar perdere o rispondere ancora no.  Alcuni dubbi e una sola certezza: non avevo ragione, perché non c’era contenzioso tra me e i giudici, che, nel nome del popolo italiano, mi condannavano, e nessun tribunale avrebbe potuto riconoscermela.  Quello che il mio rifiuto evidenziava era una richiesta ben precisa: volevo che lo stato riconoscesse la libertà, per tutti, non solo per me, di dire di no a qualsiasi legge che studi, pianifichi, organizzi e ordini l’uccisione di un essere umano, e tutelasse quella libertà come un diritto di tutti i cittadini.  Per questo ero anche disposto, come molti altri, ad affrontare processi e detenzioni.  Fui condannato a quattro mesi, trascorsi in carcere militare a Peschiera, dove incontrai altri obiettori, che mi aiutarono ad approfondire il significato della mia scelta.
Uscii dal carcere l’11 luglio. Fui richiamato ad ottobre, ma non mi presentai.  Dopo alcuni mesi di latitanza, decisi, con altri tre obiettori, di partecipare ad una manifestazione antimilitarista a Torino, al termine della quale avremmo bruciato le cartoline precetto.  Fui però arrestato prima che la manifestazione iniziasse.  Il giorno dopo fui trasferito nel carcere militare, dove trovai molti altri obiettori.  Il 31 maggio 1972 ebbi una nuova condanna, cinque mesi e dieci giorni, trascorsi ancora a Peschiera.
Il 23 dicembre 1972 fu promulgata la legge che istituiva il servizio civile e che sospendeva qualsiasi azione penale.  Le domande degli obiettori per svolgere un servizio civile alternativo a quello militare furono accolte, ma il ministero non provvide ad istituire il servizio alternativo.  Nel 1974 il coordinamento obiettori individuò gli enti interessati e istituì dei corsi preparatori, dando finalmente inizio al servizio civile.
Nel 2005 chiesi all’INPS il riconoscimento dei contributi per l’intero periodo al servizio dello stato, comprendendo anche i nove mesi e dieci giorni di carcerazione, già riconosciuti in diminuzione del servizio civile.  L’Istituto mi comunicò che non poteva riconoscere i mesi di carcerazione, poiché non erano stati seguiti da sentenza di assoluzione, amnistia o indulto.  Chiesi un riesame della mia domanda al direttore dell’INPS della mia zona di residenza, ricevendo un nuovo rifiuto, e al Comitato Provinciale INPS, che non rispose.
In accordo con gli avvocati Manlio Mazza, ex obiettore, e Guglielmo Durazzo, il 19/06/2006 presentai ricorso al Giudice del lavoro, presso il Tribunale di Torino.  In corso di causa, furono prodotte la sentenza di riabilitazione a mio favore, emessa dalla Corte d’Appello di Torino il 31 marzo 1978, grazie al patrocinio di Manlio Mazza, e la dichiarazione del Pretore di Padova, che prendeva atto che l’INPS aveva riconosciuto i contributi per Alberto Trevisan, obiettore che aveva subito condanne per 18 mesi di carcere.
La causa è giunta a termine il 14 marzo 2007, con la sentenza esecutiva del Giudice della Sezione Lavoro del Tribunale di Torino, con la quale è riconosciuto il mio diritto  e l’INPS è condannato ad accreditare i contributi finora negati, oltre al pagamento delle spese legali.
Vorrei che questo piccolo passo verso una società migliore fosse dedicato a tutte le donne e le ragazze – madri, zie, sorelle, fidanzate, amiche – che hanno compreso, col cuore, l’importanza della libertà di obiezione di coscienza e hanno appoggiato in tutti i modi possibili, a volte con qualche rischio, gli obiettori.  Senza di loro, questa strada sarebbe stata più difficile.

Alerino Peila
Una battaglia civile che riconosce parità e dignità a tutti gli obiettori

Ho avuto l’onore di conoscere Alerino (e sua moglie Pia, donna bellissima, intelligente,determinata, che anni dopo sarebbe stata la mia testimone di nozze) ad Ivrea, quando i primi obiettori di coscienza ufficialmente riconosciuti dalla legge riuscirono a concretizzare il loro sogno (e quello di molti prima di loro) di non essere costretti a svolgere addestramento alla violenza, ma anzi di poter testimoniare nel concreto il loro desiderio di poter svolgere un servizio che fosse a beneficio della collettività. In quel primo gruppo eravamo in venti, e dopo un periodo di autoformazione (durato una cinquantina di giorni) ci avviammo presso gli Enti di destinazione (che avevamo previamente scelto in accordo col  Ministero) ove avremmo svolto il servizio.
Io ed Alerino avevamo optato per il gruppo Abele di Torino, ove avremmo tentato di contribuire al “recupero” di tossicodipendenti (almeno, questa era la nostra giovanile determinazione e speranza!).
Successivamente, quando Alerino terminò il suo periodo di servizio civile (gli erano stati dedotti i nove mesi e dieci giorni di carcere), riuscii ad ottenere il trasferimento ufficiale e formale presso il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) ove il mio lavoro sarebbe consistito nell’organizzazione di manifestazioni antimilitariste locali; nella collaborazione alla redazione di Satyagraha;, nella divulgazione di idee e materiale sulla nonviolenza e sull’obiezione di coscienza e sulle concrete possibilità di poter svolgere il servizio civile, aiutando gli obiettori nella presentazione corretta delle domande. Nel periodo comune, con Alerino condivisi il cibo (vegetariano) ed il lavoro, e diventammo amici; da lui ho imparato cosa significassero, nel concreto e non solo virtualmente, i concetti di pazienza, tolleranza, disponibilità, e la determinazione nel difendere le proprie convinzioni.
Terminato il servizio civile, ho iniziato a svolgere la professione di avvocato.
Agli albori della mia attività professionale mi fu richiesto da Alerino di ottenere la formale cancellazione (riabilitazione) delle condanne penali subite per ragioni di obiezione, quando l’obiezione di coscienza era ancora un reato (a seconda dei casi, al tempo era qualificato come disobbedienza, mancanza alla chiamata, ecc…). Ottenemmo un clamoroso successo (ma che fatica!) ed oggi Alerino è uno dei pochissimi obiettori riabilitati.
Dal 1972 in poi (in esito alle lotte e sofferenze di innumerevoli cittadini) si è faticosamente ottenuto il riconoscimento dallo Stato circa la (quantomeno) pari dignità della scelta di servire la Patria (cioè, nella mia/nostra interpretazione: di  collettività umana senza distinzione di razza, ceti sociali, religione, sesso, stato economico, confini nazionali, ecc…) con un servizio civile. Si è ottenuta la parificazione della sua durata, e  di tutti i diritti connessi.
A tutto ciò si è frapposta l’ottusa, quanto non legittima, burocrazia Inps.
Infatti, malgrado la chiarezza delle norme, l’Istituto aveva respinto la richiesta di Alerino di considerare ai fini pensionistici il periodo da questi trascorso in carcere (in termini tecnici: contributi figurativi). L’Inps ci ha così costretti alla vertenza giudiziaria.
E, malgrado in precedenza avesse (quanto meno una volta: Inps di Padova, ricorso di A. Trevisan) già riconosciuto la fondatezza della richiesta, l’Inps (torinese) ha falsamente dichiarato al Tribunale di Torino che non esistevano precedenti riconoscimenti, chiedendo il rigetto del ricorso di Alerino.
Abbiamo in causa dimostrato l’esistenza delle leggi a favore delle nostre tesi, e smascherato la menzogna. Così l’abbiamo spuntata anche per quest’ultima rivendicazione di dignità ed eguaglianza, prima ancora che economica.
Il dispositivo della sentenza (r.g. n. 1584/07 del 10/5/07) è qui accanto, conciso, ma significativo.
Oggi, costretto alla chiusura dello studio da grave malattia, ho l’onore e vanto (come già detto) di aver trascorso la mia vita professionale alla luce delle difese (dall’inizio alla fine) degli obiettori e dei nonviolenti, e del loro inestimabile modo di pensare ed operare.
Grazie a voi tutti; grazie, Alerino.

Avv. Manlio Mazza

Dispositivo di sentenza
P.Q.M.
Il Giudice del Tribunale ordinario di Torino – Sezione Lavoro, visto l’art. 442 c.p.c., accerta e dichiara il diritto del ricorrente a vedersi accreditare dall’I.n.p.s. i contributi figurativi relativi al periodo di mesi 9 e gg. 10 corrispondente alla detenzione subita per i reati militari determinati da obiezione di coscienza, risultante dal foglio matricolare prodotto e valutata ai fini della riduzione del servizio civile;
-condanna l’I.n.p.s. ad accreditare i suddetti contributi in favore del ricorrente;
-condanna l’I.n.p.s. al pagamento delle spese di causa, che vengono determinate in € 1931,00+IVA e CPA.
Torino, 14 marzo 2007

CINEMA
A cura di Enrico Pompeo
Il coraggio della verità in una storia d’amore

Titolo: La cospirazione (The Constant Gardener)
Regia: Fernando Meirelles
Sceneggiatura: Jeffrey Caine
Fotografia: César Charlone
Interpreti: Ralph Fiennes, Rachel Weisz, Bill Nighy, Danny Huston, Daniele
Harford, Pete Postlethwaite, John Keogh, Hubert Koundé, Richard McCabe,
Gerard McSorley, Sidede Onyulo, Archie Panjabi, Eva Plackner, Anneke Kim
Sarnau, Donald Sumpter, Jason Thornton
Nazionalità: USA – Gran Bretagna, 2005
Durata: 2h. 09’THE CONSTANT GARDNER
Qualunque relazione, ogni rapporto ha le proprie zone d’ombra, i suoi lati oscuri, alcune verità nascoste. Ma è possibile nascondere alla persona che si sceglie come compagno di vita ciò che siamo, quello in cui crediamo e il nostro sogno più profondo, perché vogliamo proteggerlo dalle possibili conseguenze che il percorso del nostro temperamento ci porterà ad affrontare? Non è semplice rispondere. Questa pellicola ci prova, raccontando la storia di un delicato, tenero ma forte sentimento di amore che unisce due caratteri opposti: quello di un diplomatico immerso in un’esistenza ritmata dai respiri e dai colori delle sue adorate piante, che cura con parsimonia e attenzione persino in una serra creata appositamente per permettere loro l’habitat più confortevole, persino in un clima umido e malsano come quello africano, dove i suoi impegni di lavoro lo guidano; e un’anima ricca di passione, coraggio, desiderio di risposta e urla ai soprusi che le case farmaceutiche comminano sopra una popolazione inerme, nell’assoluta compiacenza ed indifferenza di tutte le strutture e gli enti preposti al controllo e alla salvaguardia delle minime regole di convivenza civile.
Questa situazione di connubio tra un carattere segnato da una forza dirompente scaturita da una rabbia etica, genuina, autentica e un’ indole che rifugge qualsiasi complicazione, in nome di un quieto vivere, di una dinamica in cui gli esseri umani hanno una loro vita, nella quale è inopportuno inserirsi, per non creare sentieri tortuosi e poco lineari; riesce a mantenersi salda, nonostante ognuno dei due senta che l’altro sta sempre più sprofondando nel gorgo delle proprie esistenze separate, fino a quando tutto precipita, nel momento in cui una tragedia dirompente investe la loro realtà con la ferocia di una lama di un coltello sopra un filo di seta.
E allora l’uomo mite, avverso alle decisioni drastiche, inizia a scavare dentro il mondo che lo circonda e ciò che trova è più scuro del buio della notte: diplomatici corrotti, farmaci sperimentati su bambini usati come cavie, virus diffusi al solo scopo di crearsi mercati per futuri vaccini, il denaro che gronda sangue innocente, ma invisibile nei forzieri dei potenti.
Questo baratro angosciante, privo di qualunque ancora di speranza, che spaventerebbe il più forte dei leoni della savana, non intimorisce più il nostro cuore tenero, fortificato dall’esempio di una moglie che riesce ad abbracciarlo, custodirlo, anche se lontana, forse svanita, ed intanto affrontare il mondo malato che emana bagliori e fiamme di ingiustizia fuori dalla finestra.
E’ una ricerca che si conduce su due binari opposti: uno morto, l’altro vivo.
Il primo è quello della scoperta che il colonialismo è ancora un mostro vivo e potente; ha solo cambiato volto: ora si nasconde dietro programmi di salute pubblica, ma oltre la maschera c’è sempre il ghigno beffardo e amaro dei potenti interessi economici delle multinazionali delle medicine, impegnati a crescere il proprio profitto a scapito dei reietti del mondo.
L’altro è quello del ritrovamento dentro se stesso della capacità di reazione e di indignazione alle storture, raggiunto attraverso il profumo del fiore più bello che il giardiniere abbia mai incontrato, quello del cuore pulito di sua moglie.
L’unico del quale non era riuscito a prendersi cura, fino a quando non lo ha visto sfiorire.
E questi riescono ad essere film importanti, perché non hanno bisogno di urlare per farsi sentire, non indulgono in effetti speciali per catturare l’attenzione, ma funzionano proprio perché trovano la capacità di disegnare quel punto improprio dove due rette parallele si possono incontrare. Quel luogo situato in uno spazio ai confini dell’infinito: è là che due caratteri divergenti trovano quel segno che li unisce, al di là di ciò che accade nella realtà annuvolata dalle consuetudini e dai ruoli che ci si trova ad indossare.
Per scoprire che quando si trova, dopo un lungo cercare, un petalo di rugiada, lì si scopre anche di essere capaci di saper lottare.

EDUCAZIONE
A cura di Pasquale Pugliese

Educhiamo-ci alla pace: un processo formativo costante

Il “Gruppo educhiamoci alla pace” (Gep) è un’associazione nata nel 1992 a Bari, ma con significativi collegamenti anche con altre realtà diffuse in Italia (Piacenza, Torino, Roma, Palmi, Sulmona, Cesena), che ha la consapevolezza di un cambiamento della società in modo nonviolento. E come diceva L Tolstoj “l’educazione degli altri non può che passare attraverso l’educazione di noi stessi”.
E’ infatti in quell’educhiamo-ci la peculiarità della nostra proposta: autoeducarsi vuol dire affinare quella capacità individuale che trasforma ogni situazione di vita ed ogni occasione di incontro. Si tratta di diventare protagonisti attivi e consapevoli di un processo formativo costante.
In tale alveo si inserisce l’azione formativa del Gep che vuole continuare a proporre un cammino di educazione alla pace e alla nonviolenza che assume molteplici sfaccettature di educazione all’ascolto,ai diritti umani,alla interculturalità, al futuro,alla salvaguardia dell’ambiente,alla gestione
pacifica dei conflitti,alla legalità,allo sviluppo sostenibile dei popoli. E si allarga, perciò, da una sfera prettamente individuale per raggiungere, attraverso dei percorsi formativi specifici, delle finalità sociali.
Si auspica, così, di passare dalla cultura dell’impotenza, della recriminazione e della pura protesta a quella della progettualità creativa, ritenendo fondamentale per questo motivo esplorare nuovi paradigmi educativi,avendo come conniventi emozioni,vita palpitante. Cercando di non
scindere mai i fini dai mezzi da adottare, che è una delle specificità facenti parte del Dna della pace e della nonviolenza.
Altro punto nodale di questa proposta è utilizzare una metodologia interattiva e coinvolgente, capace di valorizzare le differenze e le intelligenze multiple. E per fare ciò, i vari componenti del gruppo hanno deciso ,in questi anni, di attrezzarsi adeguatamente con corsi e percorsi
formativi su P.N.L. (Programmazione neurolinguistica con indirizzo umanistico), teatro, metodo Gordon/modello “insegnanti efficaci”, struttura maieutica, movimento creativo, psicosintesi, biodanza, comunicazione ecologica, scuole steineriane.
Il Gep, pertanto, si rivolge a coloro che si sentono impegnati in una relazione educativa rivolta :
ai genitori che attraverso la riflessione personale, la conoscenza dei diversi stili educativi e il confronto con altre esperienze, vogliono ritrovare nel loro difficile “mestiere di genitore” il piacere di essere educatori adeguati ed efficaci, per rispondere meglio alle sfide dei figli del nostro tempo.
ai docenti che sentono la necessità di superare la logica di un aggiornamento solo frontale, informativo e freddo, per passare ad una formazione più globale, personale oltre che professionale, mediante la valorizzazione delle proprie esperienze,l’apertura all’ascolto e la fiducia nelle proprie ed altrui capacità. E veicolare valori solidi e vitali come la pace, la giustizia e la solidarietà. Non trascurando emozioni, corpo, mente.
agli operatori sociali, ai volontari, agli animatori di gruppo, agli educatori che avvertono l’esigenza di una maggiore consapevolezza del proprio modo di gestire le dinamiche relazionali e che desiderano arricchire il loro bagaglio pedagogico, introducendo temi, strategie e tecniche mutuate dalla pratica della nonviolenza.
a tutti coloro che cercano occasioni di crescita personale, che vogliono operare per la costruzione di una società più giusta, nonviolenta, bella. E che desiderano formarsi e crescere senza annoiarsi, e perché no vogliono imparare anche divertendosi.
Tra le numerose, intense esperienze compiute con le scuole, le associazioni, i centri educativi, le famiglie nell’ambito della L.285/97, le parrocchie, l’Università di Bari e Foggia, voglio citare un appuntamento formativo conviviale estivo di più giorni che ci caratterizza oramai da 11 anni denominato ”Allegra…mente” che hanno avuto come compagni di viaggio la musica, la poesia, la lentezza, i burattini, il metodo autobiografico, i desideri, la sobrietà, la bellezza, il tempo, il gioco, i ritmi della terra e del cuore, tutti visti in un’ottica che tuteli il diritto al benessere personale e collettivo. Una sorta di mosaico, non ancora completato, i cui tasselli individuali sono lì a comporre un quadro unitario di pienezza, di gioia e di pace. E pur con i limiti e le fragilità umane del gruppo ciò non ci sembra poco!
Eugenio Scardaccione

ECONOMIA
A cura di Paolo Macina
I detergenti equosolidali estratti dal cocco del babcù

Gigi Eusebi arriva improvvisamente a casa mia lunedì 27 agosto, quando su Rai3 viene proposta la trasmissione “Evoluti per caso” con Patrizio Roversi e Suzy Blady. Da vent’anni impegnato nell’ambito della solidarietà internazionale, ideatore e co-fondatore della Coop Mag 4, volontario in Amazzonia con gli indios brasiliani, ex-responsabile progetti America Latina della Coop CTM, per 4 anni responsabile dell’economia solidale nel Ministero dello Sviluppo Agrario del governo Lula: Gigi è proprio un compagno d’eccezione per commentare insieme la puntata dedicata a Perù e Argentina, sulle orme dell’esploratore Darwin.
Durante la puntata Suzy Blady raggiunge un villaggio dove Gigi sta seguendo un progetto finanziato dalla provincia di Novara, finalizzato a mettere in contatto i produttori peruviani di lana grezza di alpaca e lama, con gli artigiani novaresi che li trasformeranno poi in capi pregiati. “Quello è Lorenzo di Trento!” esulta mentre la presentatrice impara a filare la lana con l’aiuto di una ragazza del luogo. Il viaggio risale allo scorso aprile: “a giorni dovrebbero arrivare le prime balle di cotone, a dicembre la lana. A fine anno dovremmo commercializzare le prime magliette”, spiega Gigi. “Lo spessore della filatura arriva fino a 23 micron, un risultato molto buono, ma il lavoro più duro è sicuramente con gli artigiani novaresi, che devono ancora crescere nella cultura solidale, visto che non sempre é facile per loro capire che comunità di piccoli produttori del sud del mondo non possono garantire contemporaneamente cotone o lana a basso costo, della migliore qualità, senza difetti e con consegne rapide senza intoppi”.
Pacha Mama, la madre terra, racconta la produttrice andina, è quella che ci nutre e che dobbiamo amare, difendendola. Ed è proprio questo lo slogan da cui trae spunto l’ennesima iniziativa solidale di Gigi Eusebi, impegnato in questi mesi a diffondere una linea di detergenti equosolidali, il cui principio attivo è estratto dal cocco di una pianta, il babacù, di cui non si butta via niente.
Finita la trasmissione, Gigi infila un dvd nel videoregistratore e inizia a commentare: “Il cocco di babacù è un frutto che dà lavoro a 300.000 donne brasiliane, che per lavorarlo si rovinano anche la salute a causa dei turni massacranti di lavoro e della posizione che devono mantenere per lavorarlo. L’Ong Assema, con sede nello stato del Maranhao, ne riunisce alcune migliaia di 63 villaggi diversi; insieme hanno deciso, dopo aver occupato la terra dei latifondisti, di lavorarci sopra. Un po’ come aveva insegnato a fare Chico Mendes con le piantagioni di caucciù”.
La cooperativa che si occupa di commercializzare il prodotto garantisce un potere contrattuale più incisivo nel rapporto con gli acquirenti, che in alcuni casi sono gli ex-latifondisti che hanno cambiato lavoro, ma non il loro fine: quello di fare sempre più soldi sulle spalle della povera gente. Non sono infatti bastati 15 anni di lotte per eliminare le disuguaglianze fra la popolazione di questo sterminato territorio di 10 milioni di ettari, dove l’estrazione e la lavorazione del cocco è per molte famiglie l’unica fonte di sostentamento. Ancora oggi è pendente un piano di riforma agraria che potrebbe mettere in discussione tutti i diritti conquistati finora dalle combattive “agro-estrattiviste”.
La pianta del babacù serve quindi per produrre detergenti (venduti ora presso le botteghe del mondo) per piatti, pavimenti e bucato, ed un sapone per il corpo, biologico e non testato sugli animali. Ma il suo utilizzo non si esaurisce qui: con i residui della lavorazione si produce un alimento per gli animali ed un combustibile per uso domestico; le foglie della palma sono usate per il tetto delle case e per la fabbricazione di ceste e stuoie; le fibre vengono trasformate dall’industria locale in cellulosa; il mesocarpo del cocco viene infine trasformato in farina. Diceva mio nonno: in tempo di guerra non si butta via niente! E la situazione delle donne dello stato del Maranhao è paragonabile ad una guerra quotidiana per la sopravvivenza.
Nell’ambito del suo lavoro al ministero brasiliano, nel solo settore del commercio equo e solidale, Gigi in tre anni ha realizzato 59 operazioni di esportazione per un importo di circa 2 milioni e mezzo di dollari, coinvolgendo 8.000 famiglie di contadini ed artigiani. Questa nuova avventura però lo galvanizza al punto da fargli affermare che è una delle più belle della sua carriera lavorativa, per ampiezza del progetto, impatto sulla popolazione, risultati ottenuti. E spera che la vendita dei prodotti raggiunga in Italia buoni risultati. Forse perché è l’ultima, siamo anche noi dell’idea che sia una delle più belle, in attesa della prossima iniziativa partorita da questo tenace operatore di pace.
Per maggiori informazioni: www.lympha.eu, www.assema.org.br

GIOVANI
A cura di Elisabetta Albesano
Cucinare con il sole
Lavarsi con il ghiaccio

Dal 29 luglio al 5 agosto si è tenuto a Chiusa Pesio il campo per i ragazzi sul tema: “Papà, mi comperi le Nike?”. Quello che segue è il resoconto di uno dei partecipanti.
Una vacanza ecologica ed equo solidale: non c’è frase migliore per descrivere il nostro soggiorno a Chiusa Pesio. Lo scopo del campo era infatti quello di affrontare insieme le problematiche legate al consumismo e alle multinazionali e non c’è modo migliore che viverle sulla propria pelle, utilizzando solo cinquanta litri d’acqua al giorno per sedici persone, economizzando energia elettrica, fabbricando oggetti e riscoprendo il valore del lavoro manuale.
La giornata tipo era strutturata così: sveglia alle 8, colazione alle 8 e mezzo e, dopo aver sparecchiato, lavori vari di manutenzione fino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio l’attività principale è stata la discussione, il brainstorming e i giochi di ruolo per trovare uno stile di vita rispettoso dei diritti umani e dell’ambiente. Ognuno poteva in questo momento esprimere la propria opinione e valutare, commentare e criticare quelle altrui. Tutto è stato esaminato senza pregiudizi, vagliato dal gruppo e poi immortalato su un cartellone. Non appena finito di disquisire, un bel bagno ristoratore nel ruscello era quello che ci voleva ed era inoltre utilissimo per lavarsi risparmiando la preziosa acqua. Unico problema, la temperatura: entrare in acqua era paragonabile a chiudersi in un frigorifero…
La sera si apriva con la cena, che come il pranzo era preceduta da un momento di spiritualità: era il momento in cui ciascuno poteva esporre una frase, un brano, una poesia, una canzone che volesse condividere con gli altri, spiegandone il significato profondo che ha secondo lui.
Dopo cena ciascuno poteva disporre del tempo come più gli aggradava, giocando a carte, a scacchi, a dama o discutendo allegramente con gli altri.
Dopo aver esaminato il soggiorno da un punto di vita più generale, parlerò ora di come ho trovato personalmente il campo.
A mio parere, è stato stupendo. Non avrei mai creduto possibile sopravvivere una settimana senza acqua calda, senza carne e utilizzando l’elettricità solo alla sera per l’illuminazione.
Come al solito, il modo migliore per fare qualcosa è quello più semplice. Alla faccia di tutti gli increduli, con una parabola metallica e la luce solare abbiamo cucinato buonissimi pasti senza usare neanche uno spruzzo di gas.
Ma ciò che più mi ha stupito è stato l’incontrare finalmente persone con ideali, che conoscono il valore del tempo condiviso con gli altri, che si interessano a come funziona il mondo, che proseguono nel loro cammino anche se non sono comprese dalla maggioranza.
Meno male che esistono ancora persone così. Se non ci fossero più ideali, non saremmo più degni di chiamarci uomini.
Gabriele Martino

PER ESEMPIO
A cura di Maria G. Di Rienzo
Le tredici nonne salvatrici del pianeta

Vengono dall’Africa, dall’Asia e dalle Americhe. Le lingue che parlano, le loro culture e tradizioni non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra. La maggior parte di loro ha passato gli ottant’anni. Chi sono? Sono il Consiglio Internazionale delle Tredici Nonne Indigene e lavorano per uno scopo… da niente: rimettere il pianeta Terra in equilibrio. Ogni sei mesi, le Tredici si riuniscono a “casa” dell’una o dell’altra e organizzano in loco cerimonie pubbliche e momenti di riflessione su guerra, inquinamento, disagio sociale. Usano al proposito ciò che hanno appreso dai rispettivi insegnamenti tradizionali i quali, dicono, parlavano dei modi di costruire la pace e di mantenere l’equilibrio ambientale ben prima dei moderni movimenti ecologisti.
“Lavoriamo e preghiamo per la pace, che non è solo l’assenza di guerre, ma la pace nelle nostre case e nelle nostre scuole. Dobbiamo fare in modo che la pace cresca in mezzo ai nostri bambini.”, dice Beatrice Long Visitor Holy Dance, la Nonna Oglala-Lakota.
Da quando s’incontrarono per la prima volta nel 2004, i loro sforzi hanno fatto sì che il Dalai Lama si muovesse per incontrarle ed onorarne il lavoro, ed hanno ottenuto l’appoggio logistico di un’organizzazione ambientalista assai combattiva, i “Bionieri” (Bioneers).
Nina Simons, che fa parte di questi ultimi, spiega la connessione che il gruppo ha trovato con le Nonne: “La sfida che affrontiamo in comune sta nell’imparare ad avere una relazione con la natura che renda quest’ultima e noi stessi più sani e più forti, non più disastrati e spossessati. Le Nonne sono d’accordo con noi sul fatto che non avremo mai una vera salute ambientale sino a quando ci saranno così tante persone che vivono nella povertà più abbietta. Non possiamo aspettarci che qualcuno si curi dell’ambiente se è disperato perché non sa come dar da mangiare ai suoi figli.”
La crescita della tecnologia ci ha portato doni, sostengono le 13 Nonne, ma allo stesso tempo ha contribuito a separarci dalle radici della natura, dalla madre Terra, e l’uno dall’altro. “Quel che facciamo è riportare alla tecnologia la memoria di chi sono gli esseri umani e di che cos’è questo pianeta. Affermando la nostra relazione con la medicina tradizionale e le comunità indigene in tutto il mondo, ci siamo trovate a condividere una visione comune, ed a formare una nuova alleanza globale. Veniamo per nutrire, istruire, guarire. Ci riuniamo per proteggere le terre su cui i nostri popoli vivono, e da cui le nostre culture dipendono, per salvaguardare un’eredità collettiva e per difendere la Terra stessa. Ci siamo unite in un vincolo di preghiera e di azione, per tutti i figli della madre Terra, per le prossime sette generazioni che devono venire, per tutte le nostre relazioni.”
Esiste un documentario sulle Nonne (http://www.forthenext7generations.com/) che segue il loro percorso dal primo incontro al raduno di Dharamsala, India, nel 2006. Le videocamere accompagnano le Nonne a Pojoaque, nel Nuovo Messico, dove vive la Nonna Maya Flordemayo; nella foresta pluviale amazzonica dove risiedono le nonne Clara Shinobu Iura e Maria Alice Campos Freire; nel villaggio in cima alle montagne di Huautla de Jimenez, Messico, casa della Nonna Julieta Casimiro e così via. Sono incredibili l’entusiasmo, la speranza e l’ispirazione che esse sono in grado di suscitare nelle persone che partecipano ai loro rituali ed alle loro conferenze. Ovunque queste donne vadano, aprono i cuori di chi le incontra. Guardando dal loro punto di vista, non si vede solo quanta tristezza, agonia e distruzione gli esseri umani siano in grado di infliggere a se stessi ed al pianeta, ma quanta bellezza ed armonia possiamo creare se vogliamo farlo.
“Noi teniamo alta la lampada di modo che voi possiate vedere e non inciampare lungo la via.”, dicono le Nonne, “Perché noi sappiamo che come esseri umani possiamo guarire noi stessi. E che questa guarigione può toccare allo stesso tempo i nostri antenati e i nostri nipoti futuri, le prossime sette generazioni. Quando guariamo noi stessi, guariamo nostra madre, la Terra.”
Consiglio Internazionale delle Tredici Nonne Indigene: http://www.grandmotherscouncil.com/
I “Bionieri”: http://www.bioneers.org/

MOVIMENTO
A cura della Redazione
Testimoni della nonviolenza al nuovo “centro” di Mestre

Ad ottobre si costituisce la sezione veneziana-mestrina del Movimento Nonviolento, animata da Raffaella Mendolia.
Per l’occasione martedì 2 ottobre (compleanno di Gandhi) prende avvio questa serie di incontri di altissima qualità, a cui siete tutti invitati. Dopo il primo incontro che si terrà al Centro civico di via Sernaglia, i successivi si sposteranno nel nuovo Centro Culturale “Città Aperta” che stiamo aprendo lì vicino, in via Col Moschin traversa di via Sernaglia verso via Piave, nuova sede del Movimento Nonviolento.

CICLO DI INCONTRI
TESTIMONI DELLA NONVIOLENZA
presso il Centro Civico di via Sernaglia Mestre ore 17.30
Martedì 2 ottobre 2007
GANDHI: LA FORZA DELLA NONVIOLENZA
Attualità di Gandhi
Fulvio Cesare Manara
docente Università di Bergamo

Martedì 16 ottobre 2007
TOLSTOJ: LA NONVIOLENZA TRA GUERRA E PACE
Lev Tolstoj tra cristianesimo e vegetarianesimo
Matteo Soccio
coordinatore della Casa per la Pace di Vicenza
Martedì 6 novembre 2007
M.L. KING: “I HAVE A DREAM..”
Una risposta nonviolenta alla discriminazione razziale
Daniele Lugli
Segretario del Movimento Nonviolento
Martedì 20 novembre 2007
CAPITINI: TEORIA E PRATICA DELLA NONVIOLENZA
Dalla prima Marcia Perugia-Assisi al “potere di tutti”
Mao Valpiana,
Direttore di Azione nonviolenta
con la partecipazione di Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia

Martedì 4 dicembre 2007
LA PIRA: UN SINDACO FUORI DAL COMUNE
Da Firenze capitale della pace ad ambasciatore in Vietnam
Giannozzo Pucci
Direttore di “Ecologist Italia”
con la partecipazione di Fabrizio Fabbrini, primo obiettore di coscienza cattolico

Martedì 18 dicembre 2007
DON MILANI: L’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’
Un messaggio educativo e nonviolento fuori dagli schemi
Francuccio Gesualdi
Direttore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo

Al termine di ogni incontro segue buffet conviviale con cibi biologici e vegetariani.
Raffaella Mendolia
Movimento Nonviolento
Centro Culturale “Città aperta”
Via Col Moschin, 18-20
30171 Mestre (Venezia)
Tel. 041 985882
movimentononviolentovenezia@gmail.com

LIBRI
A cura di Sergio Albesano

Catastrofi climatiche e disastri sociali

P. ACOT, Catastrofi climatiche e disastri sociali, Donzelli, Roma 2007, pagg. 168, € 15,50.
L’autore si occupa di storia della scienza, ma è più noto per i suoi studi sul clima nel passato. Questo libro, il cui titolo non promette nulla di buono, è stato pubblicato l’anno scorso in Francia e ora viene proposto in italiano. L’idea base è che l’effetto serra, combinato con le attività umane, produrrà sempre più frequentemente eventi estremi, quali alluvioni, tempeste, siccità e sbalzi di temperatura. Si tratta di previsioni già note. Interessante è però la parte relativa alle possibili vie di uscita proposte dall’autore, che è diventato un profeta dell’ambiente. In particolareci interessa il capitolo intitolato “Il ventaglio delle illusioni”, in cui, pur dichiarandosi favorevole alle energie rinnovabili come quelle del vento e del sole, Acot spiega che “solo per la Francia ci vorrebbero più di centocinquantamila pale eoliche per uscire dal nucleare”. La Francia, lo ricordiamo, è un paese anomalo, perché trae l’80% della sua energia elettrica dall’atomo. Ma anche in Italia il problema si ripresenta, poiché da noi produciamo l’elettricità non con l’atomo ma con i combustibili fossili: metano, olio combustibile e carbone. Tra le soluzioni “miracolose” ma non immediatamente attuabili Acot inserisce l’energia solare e i biocarburanti. Alla fine precisa che tutte le fonti rinnovabili per essere sviluppate devono essere debitamente finanziate, ma che l’azione più rapida e concreta è il risparmio, inteso come primo passo verso uno stile di vita più sobrio, scelta indispensabile per poter condividere la ricchezza e l’energia mondiale in maniera equa fra tutti gli abitanti della Terra. Insomma, invece del motto di Vasco Rossi “vado al massimo”, qui lo slogan è “ vado al minimo”, che, guarda caso, è anche il nome di un progetto che riunisce un centinaio di Comuni dell’area torinese con l’obiettivo di consumare meno energia, usare meno acqua e produrre meno rifiuti.
Ma il problema dell’energia è una questione che l’Italia deve affrontare a livello di governo centrale. Ultimamente l’Associazione Galileo 2001, che riunisce vari scienziati, ha scritto a Romano Prodi proponendo il ritorno al nucleare. E subito dopo gli ha scritto un gruppo di cinquecentocinquanta scienziati non meno autorevoli proponendogli, accanto alle fonti rinnovabili, il risparmio, il “vado al minimo”. Secondo la Commissione europea l’Italia può tagliare in modo indolore, anzi migliorando la qualità della vita, il 15% dei consumi di energia nei prossimi cinque anni. Si potrebbe iniziare da lì.

RICEVIAMO
Associazion Cultural Colonos “In file 2007,esplorazion sul Doi mil”, edito Poligrafiche San Marco, Cormons (Go) 2007, pp 28
Comunità Papa Giovanni XXIII, “Sandra Sabattini”, edito Sempre Comunicazione, Legnago (Vr) 2006, pp 55
Stefano Semplici, “Pace, sicurezza, diritti umani”, Edizioni Messaggero Padova, Noventa Padovana (Pd) 2005, pp 223
Johan Galtung, “Pace con mezzi pacifici”, esperia edizioni, Carugate (Mi) 2000, pp 498
Pat Patfoort, “Difendersi senza aggredire”, edizioni EGA, Torino 2006, pp 411
Nedo Brancani e Lorenzo Porta, “Il pregiudizio antisemitico.Una ricerca-intervento nella scuola”, edito da FrancoAngeli, Milano 1999, pp 270
Domenico Simeone, “Verso la scuola di Barbiana”, Il segno dei Gabrielli editore, Verona 1996, pp 233
Carlo Gubitosa, “Carovane”, edito EMI, Città di Castello (Pg) 2006, pp 155
“Il libro d’oro della responsabilità sociale 2006”, Società Editoriale Vita, Milano, pp 159
Giuseppe Gagliano, “Studi politico-strategici”, Volume 1, Edizioni New Press, Como 2006, pp 78
Enrico Luzzi, “Uomo, dove vai?”, edizione propria, Sondrio, pp 331
“L’Ippogrifo La Terra vista dalla Luna”, num. Inverno 2006-2007, Libreria al segno Editrice, Pordenone, pp 103
Elisa Cozzarini, “Viaggio nell’Italia dell’immigrazione”, Società Editoriale Vita, Milano, pp 159
Sergio Pasetto, “Gloriosa Verona, Antologia storica”, pubblicato in occasione della mostra alla Cattedrale nel mese di Novembre, Verona 2006, pp
Riccardo Dello Sbarba, “Sudtirol Italia, Il calicanto di Magnano e altre storie”, Casa editrice Il Margine, Trento 2006, pp 255
Jean Goss, “Fede e nonviolenza”, L’EPOS società editrice, Palermo 2006, pp 170
AA.VV “La filosofia della Nonviolenza, maestri e percorsi nel pensiero moderno e contemporaneo”, Cittadella Editrice, Assisi, pp 218
Michele Boato, “quasi fosgene, appunti in versi”, libri di Gaia, pp 47
Provincia di Roma, “Premio “Tom Benetollo” ”, edito da IRIDE, Roma 2006, pp 61
“Ma che mondo è questo?” a cura di Roberto De Romanis, edito da manifestolibri, Roma 2006, pp 183
Communitas, rivista mensile, n. febbraio 2007, pp 254
Eugenio Meandri, “L’alba della democrazia”, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2007, pp 153
Daniele Novara e Luigi Regoliosi, “I bulli non sanno litigare”, editore Carocci Faber, Roma 2007, pp 175
Comune di Verona, “Cultura e Città 2002-2007”, edito dal Comune di Verona, Verona 2007, pp 406
World Health Organization, “Dermal Absorption”, edito da World Health Organization, pp 197
Danilo Dolci “Una rivoluzione nonviolenta”, I libri di Altreconomia, Recco (GE), 1999, pp.158
Francesco Gesualdi “Il mercante d’acqua”, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 164
Paolo Bergamaschi “Aerea di crisi”, La meridiana, Molfetta (BA), 2007, pp.181
Nandino Capovilla –Betta Tusset “Bocche cucite”, Milano, 2007, pp. 116
Orsingher Nadia “Libri illustrati e romanzi per un percorso sulla nonviolenza”-Tesi di Master in Letteratura e editoria per ragazzi
Joao Batista “I disegni di Joao batista pittore del nord-est brasiliano” a cura di Sandro Spinelli

Di Fabio