• 25 Novembre 2024 1:53

Universale o residuale? Il Servizio civile ossia la “difesa non armata della Patria”

DiPasquale Pugliese

Feb 19, 2017

Il governo ha approvato il decreto attuativo del Servizio civile universale, avanzamento positivo sul piano dei principi. Del tutto insufficiente sul piano delle risorse, soprattutto se comparate alle spese per la difesa militare, rese note dal Primo rapporto italiano del Milex. Per un anno di “strumento di difesa non armata” si spende quanto quattro giorni di “difesa” iper-armata

A quarantacinque anni dalla Legge 772/72, che riconosceva la possibilità dell’obiezione di coscienza al servizio militare e la concessione della possibilità del “servizio civile sostitutivo”, ed a sedici dalla Legge 64/2001 che istituiva il Servizio civile nazionale finalizzato a “concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari”, il 10 febbraio scorso il governo ha approvato, in via definitiva, il decreto legislativo che disciplina il Servizio civile universale in attuazione della legge 6 giugno 2016, n.106 relativo alla riforma del Terzo settore.
Diciamo subito che, sul piano dei principi, si tratta di una notizia positiva da molti punti di vista. Eccone elencati alcuni sul piano dell’identità, della convivenza, dell’Europa.

Identità. Si ribadisce che il servizio civile è uno “strumento di difesa non armata della Patria” richiamando esplicitamente gli artt.11 e 52 della Costituzione, ma anche “di educazione alla pace tra i popoli e di promozione dei valori fondativi della Repubblica”. In una fase storica nella quale – come vedremo fra poco – si rafforza cospicuamente e continuamente la difesa armata, ribadire legislativamente che la difesa italiana si basa su due gambe – una civile e una militare – non è un fatto scontato. Così come il richiamo al valore di educazione alla pace del servizio civile fa da importante contraltare normativo alla propaganda militarista che invece promuove – anche nelle scuole – le forze armate come contradditorio “strumento di pace”. Inoltre “nonviolenza e difesa non armata”, “promozione della pace tra i popoli” e “promozione e tutela dei diritti umani” sono tra i “settori” degli specifici programmi di intervento possibili. Al loro interno trova casa anche la faticosa sperimentazione del volontari civili nei “corpi civili di pace”.
Convivenza. Il Servizio civile universale è aperto sia ai cittadini dell’Unione europea che ai giovani “stranieri” residenti in Italia, anche se privi di cittadinanza. Mentre la “pedagogia” razzista che, da tempo, si sta pericolosamente diffondendo nel nostro Paese, indica nei migranti e nei profughi delle guerre il capro espiatorio del disagio sociale degli italiani, la legge sul SCU consegna anche a chi non è cittadino italiano la difesa del Paese, cioè la difesa dei diritti di tutti e delle Istituzioni democratiche italiane: una vera difesa civile fondata sulla convivenza.
Europa. Così come i giovani dell’UE possono svolgere il servizio civile in Italia, anche i giovani italiani possono svolgere tre mesi del loro progetto di servizio in Europa “al fine di rafforzare il senso di appartenenza all’Unione e di facilitare lo sviluppo di un sistema europeo di servizio civile”. Anche questo, in un momento in cui in Europa vengono alzati muri, reticolati e barriere, in cui spinte nazionaliste e populiste vorrebbero la destrutturazione dell’idea stessa di Unione politica europea, lo scambio dei giovani volontari rappresenta un importante anticorpo culturale. E’ un concetto che richiama, in qualche modo, la storica idea del “Servizio civile internazionale”.

Il passaggio concettuale dal “servizio civile nazionale” al “servizio civile universale” si basa, dunque, sull’idea di servizio civile come diritto per tutti i giovani che vogliono farlo. Il godimento di questo diritto – nelle comunicazioni del governo – dovrebbe coinvolgere almeno 100.000 giovani all’anno, ma nel 2015 le domande sono state 150.000. Tuttavia il decreto non dice come trovare le risorse e quante siano quelle necessarie complessivamente. Nel comunicato stampa del governo si parla genericamente di una “programmazione triennale” che tenga conto delle “risorse economiche disponibili derivanti dal bilancio dello Stato, delle risorse comunitarie e di quelle rese disponibili da soggetti pubblici o privati”. Il sottosegretario al welfare Bobba ricorda che per il 2017 è previsto l’avvio di 47.000 giovani volontari, per una spesa complessiva di 260 milioni di euro. Cioè un terzo di quanti potrebbero essere “tutti i giovani che desiderano intraprendere questa esperienza”.  Ossia un terzo dell’universalità dichiarata.

Eppure, qualche giorno dopo, il 15 febbraio, l’Osservatorio italiano sulle spese militari ha reso noto il primo Rapporto annuale sulle spese militari, dal quale emerge l’incredibile boom delle spese per la difesa militare italiana, in particolare della spesa per gli armamenti. Negli ultimi 10 anni di crisi economica e di tagli ai servizi pubblici e sociali, la spesa militare nel nostro Paese ha visto un continuo aumento, con un più 21% considerata in generale e, addirittura, un +85% se consideriamo la sola spesa per gli armamenti, cioè per le portaerei, i cacciabombardieri (per esempio i famigerati F35), i carriarmati e altri simili strumenti di guerra. Ciò significa che nel solo 2017 il governo italiano spenderà 23.3 miliardi di euro, che corrispondano a 64 milioni al giorno per la difesa militare. “Difesa” fortemente offensiva, per gli armamenti di cui dispone e per la Costituzione italiana che ripudia la guerra…

Dunque le risorse riservate per il 2017 al servizio civile universale – “strumento di difesa non armata della Patria” – corrispondono a soli quattro giorni di budget per la “difesa” armata. Ciò significa che il nostro Paese ribadisce di avere, sulla carta, due modelli di difesa, ma in realtà il governo fa pesi e misure incomparabilmente differenti. Il modello “non armato”, dichiarato “universale”, è del tutto residuale rispetto a quello militare iper-armato. Eppure il primo difende il “valori fondativi della Repubblica”, il secondo – come ricorda il Rapporto del Milex, citando il il generale Eisenhower – costituisce quel “complesso militare-industriale” che acquisisce una crescente “ingiustificata influenza, sia palese che occulta, sui processi democratici”. Per questo, se con il Servizio civile universale registriamo un avanzamento normativo sul piano dei principi, è necessario continuare la lotta sul piano dell’azione politica e civile, per Un’altra difesa è possibile che abbia – almeno – pari dignità e risorse di quella militare, riducendo drasticamente quelle armate a beneficio di quelle disarmate.

E’ una questione di democrazia e civiltà. Questa si universale.

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

3 commenti su “Universale o residuale? Il Servizio civile ossia la “difesa non armata della Patria””

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.