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Esperienze educative per la nonviolenza – Documento di indirizzo per la Commissione 1

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Mar 26, 2017
educazione nonviolenta

È evidente che una prospettiva di trasformazione della società in un’ottica nonviolenta abbia un suo terreno privilegiato nel campo educativo, in tutte quelle strutture, centri, spazi dove si sviluppano percorsi che, almeno in teoria, dovrebbero contribuire alla crescita di consapevolezza, spirito critico, indipendenza di giudizio per ogni essere umano. È altrettanto innegabile che nel nostro paese molti amici e amiche della nonviolenza stiano tessendo, con tenacia e pazienza, reti per la diffusione di metodologie inclusive, di strumenti di risoluzione dei conflitti, di tecniche di ascolto che tracciano la linea per una scuola aperta, libera, realmente formativa. L’intento, perciò, di questa commissione è quella di offrire un’occasione di confronto, di dialogo, di scambio di esperienze concrete, progetti già delineati, idee in formazione per permettere a tutti di conoscere meglio cosa offre il panorama variegato e composito dell’educazione nonviolenta, con l’obbiettivo di far circolare riflessioni e di individuare alcuni criteri, assi portanti per futuri interventi sul territorio.

Con la certezza di sapere che andiamo in controcorrente, rispetto ad un processo di delirio analitico, di scomposizione dell’intervento educativo, di prevalenza del numero sulla valutazione, di scelte che spingono per un’equivalenza tra standard economici e griglie di analisi delle funzionalità di ogni singolo soggetto. Ma questo non ci ha mai spaventato…

Scrive Eduardo Galeano: Guardo l’orizzonte; mi avvicino di un passo e quello si allontana di un altro passo. Ne faccio dieci e si allontana di altri dieci. E allora a cosa serve l’orizzonte? A questo: a non perdere la spinta a camminare.

Una spinta positiva siamo sicuri che potrà venire dal dibattito in sede di Congresso, dibattito che non ha bisogno di rifare le tappe dell’enorme contributo che la teoria della nonviolenza ha portato nel campo educativo. Come emerso anche in sede di Coordinamento nazionale mentre si parlava del ‘taglio’ da dare a questa Commissione, giudicata al tempo stesso ineludibile e rischiosa di fraintendimenti, basterebbe sfogliare gli annali di Azione nonviolenta per rendersi conto della mole del lavoro svolto dal Movimento Nonviolento in questo ambito.

Ci sembra superfluo, pertanto, discutere ancora dell’inadeguatezza di un’educazione coercitiva, autoritaria, che reprime la libertà e la spontaneità della relazione educativa. Tutti sanno che è sbagliata, anche quelli che continuano a farla (un po’ come la guerra). Come scrisse Edmondo Marcucci:

Si è tanto scritto, detto, provato. Ma una cosa crediamo non sia presunzione affermare: l’educazione violenta (nei mezzi e nei fini) ha già dato – e non da oggi! – tante prove negative, i suoi effetti si sono mostrati così disastrosi, che dobbiamo metterla nel ruolo di quelle cose principali da abbandonare per sempre ed ovunque, spronandoci a dare il massimo impulso al suo contrario (An, giugno-luglio 1965, p. 9).

Dare questo massimo impulso, fare una buona educazione all’insegna della nonviolenza non è però facile. Per questo abbiamo pensato, ci teniamo a sottolinearlo, lo spazio della Commissione congressuale come luogo di incontro e condivisione di buone pratiche attuate o in atto, di cui si sono visti già i risultati. Non quindi un momento per dissertazioni di carattere generale, ma una dicussione stringata che abbia l’obiettivo di giungere all’impostazione di un lavoro ulteriore, con impegni concreti di singoli o di gruppi.

In aggiunta a queste considerazioni preliminari vogliamo lasciare anche delle linee-guida più articolate al dibattito che riportiamo dal ‘manifesto’ di Educazione aperta, rivista che ha raccolto l’esperienza innovativa di Educazione democratica (dieci numeri dal 2011 al 2015), nel cui gruppo di lavoro, costituitosi come Comunità di Ricerca Educazione Aperta (CREA), figurano due membri del nostro attuale Coordinamento nazionale, Gabriella Falcicchio e Daniele Taurino; e di cui uno dei direttori, Antonio Vigilante, è apprezzato studioso di Capitini, Dolci e di pedagogia nonviolenta in generale:

Crediamo che lavorare per alternative e costruire un’educazione aperta e critica significhi:

  • Ripensare, ancora una volta, la relazione educativa. Mai come oggi l’autorità e l’autorevolezza stessa degli insegnanti e di chi in genere fa educazione sono stati messi in discussione. Per molti è una ragione per rimpiangere le vecchie strutture, rivendicando l’autorità perduta. Noi riteniamo invece che vi sia in questa crisi la possibilità di riscoprire la relazione educativa come relazione umana piena, liberata dall’ipocrisia e dalla sottomissione, dalla paura e dalla minaccia. La domanda centrale di una educazione aperta è: in che modo è possibile che degli esseri umani si incontrino e comunichino in modo profondo? Perché l’educazione accade dove c’è questa profondità.

  • Considerare la società come un cerchio che sempre torna ad aprirsi per accogliere chi resta ai margini. Una educazione aperta protesta contro ogni forma di esclusione, di marginalizzazione, di diminuzione; essa si muove costantemente verso le periferie, i margini, le zone oscure. Poiché il sistema neoliberista è, per sua essenza, un sistema che favorisce il benessere di pochi al costo del malessere dei molti, l’educazione aperta è una educazione critica, che combatte in particolar modo l’introduzione, spesso subdola, di pratiche e logiche neoliberiste nel mondo della scuola e dell’educazione.

  • Mettere al centro della riflessione educativa e politica i problemi della violenza, del potere e del dominio. Cercare una società in cui il potere sia distribuito e combattere la cultura della violenza, della sopraffazione, delle armi, della morte.

  • Porsi in una prospettiva interculturale, cercando un dialogo con le culture altre che non può che fondarsi sulla conoscenza attenta e non superficiale. Educazione aperta è anche considerare i modelli educativi e le concezioni etiche e culturali che li sostengono nella cultura africana, in quella sudamericana, nelle straordinarie civiltà indiana, cinese e giapponese.

  • Avere un atteggiamento non dogmatico, critico nei confronti delle concezioni mainstream, ma critico anche nei confronti delle posizioni critiche: sempre disponibile a riconoscere l’errore, a cambiare idea, a ripensare insieme.

  • Essere aperti alle sperimentazioni in campo educativo e sociale, in particolare a quelle che favoriscono giustizia e cambiamento sociale.

  • Tentare di pensare la possibilità di un rapporto diverso, non fondato solo sullo sfruttamento, con il mondo degli esseri viventi non umani.

* Centro di Livorno

** Centro di Venezia

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