Ero al bar per la pausa pranzo e sentivo che tutti quelli che entravano salutavano ad alta voce un altro cliente col nome, appunto, di Ughino. Io, però, ero concentrato sul giornale che stavo leggendo e non mi sono girato a vedere chi fosse.
Fino a che, più o meno dall’altezza della cintura (ero appollaiato su uno di quei trespoli da bancone) mi sono sentito interpellare: “M’ass’pol bevar adl’acqua, col parssut?”.
Per gli alloglotti: “Ritengo che l’abbinamento di un sandwich al prosciutto con l’acqua (sia pur essa gasata) non sia il migliore possibile, e il gusto del sandwich stesso ne soffra”.
“Ha ragione – gli ho detto – ma fra dieci minuti devo andare a lavorare…”
Non mi ha nemmeno lasciato finire, perché nel bar è entrata una ragazza e lui subito le si è avvicinato: “Maiall, sa s’ì bela!”.
Sempre per chi non parla ferrarese: “Accidenti, quanto siete bella!”
Lo studioso di comunicazione che è in me ha subito notato il fine bilanciamento tra la volgarità di inizio frase e l’uso del “voi” come allocutivo di cortesia, poi il mio tempo è finito e sono dovuto andare via.
Mentre, a piedi, tornavo al lavoro, ripensavo a Ughino.
Indossava un Eskimo “tipo ‘68”. Non solamente perché assomigliava a quelli del tempo della contestazione, quanto piuttosto perché sembrava essere stato lavato l’ultima volta cinquant’anni fa.
Cercavo di immaginare cosa avesse voluto dire, per lui, andare alle medie con i compagni che diventano uomini mentre tu sei bloccato sotto il metro.
L’amarezza che – forse – qualche volta l’ha preso al pensiero che nessuna donna l’avrebbe voluto mai.
Poi ripensavo a quel suo bellissimo dono: parlare con tutti.
Pensavo che nel bar nessuno gli aveva negato un cenno con la mano o una risposta, magari sorridente ma mai offensiva.
In quest’epoca – in cui sembra che l’unica relazione possibile sia la paura dell’altro, la diffidenza, la competizione darwiniana – tu sei libero, Ughino.
Non hai barriere e te ne freghi di competere.
Sei un rivoluzionario.
Parli con tutti, e tutti parlano con te. Senza doppi pensieri e interpretazioni paranoiche.
Anche la ragazza di cui hai sottolineato la bellezza, mica si è offesa. Anzi.
Dai, Ughino, insegnaci.
A non avere paura degli altri.
A smetterla di ascoltare quei tristi di mestiere che spendono il loro tempo ad additare nemici in modo ripetitivo, a “mettere in guardia”.
A cercare alleati contro un “altro” che è sempre diverso, malevolo, pericoloso, subdolo.
Dai, Ughino, insegnaci.