di Vittorio Venturi*
organizzata da:
Comunità di base del Villaggio Artigiano, Parrocchia Beata Vergine Addolorata, Parrocchia Gesù Redentore, Pax Christi – Modena, Gruppo Don Lorenzo Milani – Modena, Gruppo “Studiare, studiare, studiare…”
Tra i tanti debiti di gratitudine che abbiamo con don Milani, forse quello che più ci chiama in causa anche oggi, nelle nostre responsabilità civili, è quello di avere dato dignità politica alle scelte personali di rifiuto di connivenza con l’ingiustizia. E il drastico rifiuto della guerra, con rigoroso richiamo all’art. 11 della costituzione.
Che l’obbedienza non fosse necessariamente una virtù l’avevano scoperto e praticato in tanti, prima di don Milani: ad esempio i renitenti e i disertori durante la prima guerra mondiale, gli oppositori alla guerra, gli antifascisti. Poi Pietro Pinna, il primo obiettore “politico” al servizio militare, che insieme a Beppe Gozzini (il primo obiettore di coscienza cattolico) diede inizio alla lunga stagione di lotte per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, con vicende che ci collegano direttamente alla lettera ai cappellani militari. Ma la novità sta nella lucida analisi con cui don Milani, insieme ai suoi ragazzi, conferisce piena dignità, ruolo politico alla disobbedienza (o meglio, all’obbedienza prioritaria alla propria coscienza) come scelta politica contro ogni violenza ed ingiustizia, come esercizio di pubblica responsabilità. A partire dall’opposizione alla guerra e ai suoi strumenti.
La radicale opposizione alla guerra non poteva non essere naturale terreno d’incontro tra Don Milani e Aldo Capitini, colpito dalla lettura delle “Esperienze pastorali” nel 1960, e in seguito salito più volte a Barbiana, per condividere con i ragazzi riflessioni sulla nonviolenza e sull’obiezione di coscienza, e con don Lorenzo l’idea che fosse necessaria un’azione di formazione dei cittadini, e specie dei lavoratori, delle persone meno istruite, sui temi della pace e delle scelte per conseguirla. Fu il compito che Capitini e don Milani pensarono per il “Giornale scuola”, foglio di semplicissima lettura che uscì in solo quattro numeri, esempio tuttavia del ruolo centrale che i due maestri di nonviolenza attribuivano all’educazione. Non a caso nel 1967, in una visita a don Lorenzo ormai in fin di vita, Capitini gli chiese cosa potesse fare per lui, e don Milani gli rispose di fare pubblicità a “Lettera a una professoressa”. Capitini scrisse subito una recensione, perché don Milani facesse in tempo ad ascoltarne la lettura, e la pubblicò poi su “Azione nonviolenta” (giugno-luglio1967) con il titolo “La scuola di Barbiana”.
L’eredità morale e intellettuale che riceviamo da Capitini e don Milani, sullo sfondo della nonviolenza come punto di riferimento credibile e autorevole per relazioni rispettose, eque, pacifiche, ci impone una riflessione sui compiti attuali che spettano a chi intende proseguirne il cammino, facendo della nonviolenza uno strumento efficace di trasformazione sociale.
Pensiamo (il plurale fa riferimento alle analisi del Movimento Nonviolento scaturite dall’ultimo congresso – il 25°- tenutosi a inizio aprile 2017), che per essere efficace la nonviolenza deve proporsi come azione politica sulla scena pubblica, svolgendo un triplice ruolo nella società italiana:
- quello di soggetto politico-sociale
- quello di soggetto culturale
- quello di soggetto educativo
Sul piano politico:
L’obiettivo nazionale resta quello di un’inversione di tendenza negli investimenti pubblici, diminuendo la spesa militare (che quest’anno raggiunge la cifra di oltre 23 miliardi di euro), sostenendo nuove forme di difesa, civile e non armata e, con essa, spesa sociale, di promozione culturale e di tutela ambientale, individuando ben altre priorità rispetto a quelle dell’incremento degli arsenali militari. Emblematico l’esempio degli F35.
Lo strumento è la proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta dalla campagna “Un’altra difesa è possibile”. La proposta è in attesa di essere portata in aula per la discussione. Alla presidenza della Camera sono state consegnate di recente 21.000 cartoline destinate ai parlamentari di ogni forza politica, con cui i cittadini chiedono l’approvazione della legge.
Con la legge, e con l’istituzione di uno specifico dipartimento per la difesa civile, si affermerebbe:
il principio di pari dignità tra difesa armata e difesa non armata
l’istituzione di un coordinamento di corpi civili (servizio civile volontario, protezione civile, VVFF);
l’istituzione, la formazione e il sostegno finanziario a corpi civile di pace in grado di operare in situazioni di conflitto per la tutela dei civili e per tenere aperti corridoi di dialogo tra le parti.
Altri essenziali compiti politici della nonviolenza organizzata sono quelli di:
promuovere coordinamento tra reti ampie di associazioni (come è avvenuto con la campagna “Un’altra difesa è possibile”), con l’obiettivo di mobilitare dal basso la società italiana per l’attuazione di politiche di pace, di welfare, di tutela dei diritti dei più deboli;
promuovere reti della società civile sui territori, valorizzando il lavoro dei gruppi locali (è il compito che ci siamo assunti anche a Modena come centro territoriale del Movimento Nonviolento), nello spirito che Aldo Capitini assegnava ai piccoli gruppi come terreno fertile di sperimentazione contro la violenza culturale e strutturale, attribuendo proprio ai piccoli gruppi il ruolo prezioso di “laboratori di democrazia”;
sollecitare politiche adeguate alle sfide che oggi ci pongono i flussi migratori, specie le migrazioni costrette da situazioni disumane o da guerre, promuovendo politiche di accoglienza degne di una società civile: è oggi una delle priorità per l’Italia e per l’Europa.
Sul piano culturale:
l’affermazione dei principi degli artt. 11 e 52 della Costituzione. Sono gli stessi a cui si riferiva espressamente don Milani nella sua “l’obbedienza non è più una virtù”, tenendo insieme il ripudio della guerra e la difesa della patria: difesa che, per essere esercitata in coerenza con l’art. 11, deve avvenire senza armi;
la credibilità dell’approccio nonviolento al conflitto, il solo modo in grado di evitare l’escalation dello scontro e della spirale “guerra-terrorismo-guerra”; la sola prospettiva per contrastare la paura, il senso di smarrimento e di insicurezza; occorre per questo investire nella formazione specializzata di mediatori e operatori di pace, sostenere la ricerca nonviolenta, scommettere sulle “scuole di pace”, di fronte all’esito fallimentare dell’opzione militare in situazioni di crisi;
un diverso approccio culturale per leggere il passato e dare nuovo significato alla memoria. La nonviolenza può essere, in campo culturale e formativo, il terreno d’incontro tra passato e presente, per progettare il futuro. Certo guardando alle grandi testimonianze storiche dei “maestri”, Gandhi, M.L.King, Mandela, Capitini e don Milani – appunto- ma anche grazie al lavoro prezioso della storiografia più recente (cfr. Ercole Ongaro ed Anna Bravo) che sposta il baricentro della ricerca sulla nonviolenza come “motore” della storia, centrata sul valore supremo della vita, ribaltando l’idea che la storia con la S maiuscola è fatta dalle guerre e dai loro vincitori.
Di fronte a questa storia, alle varie guerre umanitarie, preventive, per l’esportazione della democrazia o la difesa di vitali interessi nazionali, ci sembra quanto mai giusta la definizione che Giuliano Pontara dà della nonviolenza: l’antibarbarie, che non a caso a Modena abbiamo scelto come titolo dei nostri più recenti cicli di incontri pubblici.
Sul piano educativo:
la centralità del lavoro formativo, con la nonviolenza, diversamente declinata e considerata, come patrimonio di esperienze da cui attingere metodi, tecniche, strategie per la trasformazione sociale e per la gestione costruttiva delle relazioni, nella sfera pubblica come in quella personale. Ne abbiamo avuto concreta esperienza nella storia del nostro gruppo modenese, a partire dall’ormai lontano 2009, quando c’è stato il nostro primo incontro con la nonviolenza in due incontri tenuti dal compianto Nanni Salio.
Crediamo che educare alla pace passi per la strada obbligata della formazione alla nonviolenza. Leggere la società, le sue dinamiche, le sue possibili trasformazioni, attraverso gli occhi della nonviolenza, offre un punto di osservazione inedito per ripensare i valori, ma soprattutto per acquisire strumenti concreti di cambiamento. Potere essere artefici di trasformazione, con tecniche nonviolente, è una competenza trasversale e utile in ogni dimensione di vita, da quella dell’impegno politico, sociale, sindacale, a quella interpersonale. Costruire ponti e abbattere muri è il nostro compito prioritario.
Guardare avanti, come è necessario per chiunque abbia una prospettiva e un obiettivo da raggiungere, significa dare vita a un progetto politico che ha:
come orizzonte strategico quello di una società aperta e inclusiva, solidale e accogliente, che assume dalla nonviolenza i metodi per la costruzione di relazioni rispettose, che realizza le condizioni per vivere in pace, respingendo la guerra, il terrorismo e tutte le forme di violenza che sono diventate sempre più feroci e coinvolgono cittadini inermi e innocenti; la nonviolenza è l’antidoto alla barbarie.
come terreno operativo, come metodo, quello del dialogo e della paziente “tessitura” di reti, di attivazione di tavoli ampi di confronto e ricerca tra associazioni e istituzioni, per l’individuazione degli “obiettivi comuni e condivisi” per superare i conflitti, accogliere e sostenere chi fugge da fame e guerra, per affermare la centralità delle persone e della loro dignità, delle relazioni e della loro qualità, della conoscenza e dell’incontro per rimuovere i pregiudizi. Dobbiamo ricordare la grande responsabilità che abbiamo per dimostrare coerenza con la nostra Costituzione e con un’idea di una democrazia diretta praticata e partecipata, riconoscendo e indicando i valori fondanti di una comunità solidale che sa lavorare per un “futuro amico”. Questo è il compito di un concreto impegno civile, quotidiano, che è alla portata di tutti. Questo può essere il nostro modo per fare politica, buona politica e costruire dal basso le condizioni per una degna rappresentanza di una società che è molto migliore di quanto la rappresentino oggi molte delle sue istituzioni.
*intervento tenuto in rappresentanza del centro territoriale del Movimento Nonviolento di Modena