Lunedì 4 marzo 1946, però, è una bella giornata. Il giovane Silvano Balboni (24 anni) convoca, all’Auditorium comunale, la prima riunione del Centro di Orientamento Sociale di Ferrara.
L’esempio lo dà Aldo Capitini, nel luglio del ’44, a Perugia appena liberata. Balboni, in contatto con lui fin dalla clandestinità antifascista, finalmente riesce a proporre nella sua città il COS come nuovo organismo di autoeducazione nonviolenta e ragionante, aggiunta significativa e necessaria alla democrazia dei partiti e delle istituzioni elettive. Ascoltare e parlare, ne è il motto. L’ascolto attento e profondo, la parola meditata e persuasa accrescono la competenza dei partecipanti nell’affrontare i più diversi e impegnativi problemi.
Il sogno di Capitini un C.O.S. per ogni parrocchia è pure il sogno di Silvano che, oltre al Centro di città con le sue settimanali riunioni, ne promuove in ogni frazione del comune e pure in provincia. Ne sarà l’anima, oltre ad affiancare Capitini nel tentativo di diffusione dell’esperienza. Nel C.O.S. ogni problema può essere portato. Nel primo incontro ferrarese prevalgono problemi immediati, piccoli e grandi: Nelle scatole di latte evaporato UNRRA si nota un foro stagnato, c’è manomissione? L’autolettiga della Cri funziona male. C’è responsabilità? Il mangime per i polli è troppo caro e così la crusca venduta ai Consorzi agrari. L’assistenza sanitaria è troppo frazionata (Eca, Onmi, assistenza bellica, antitubercolare, reduci) e i furbi ne approfittano. Perché idraulici, fumisti e stagnini non vengono a casa quando li chiami e costano così caro? Il problema delle strisce spartitraffico nel centro. Quali sono le prospettive dello stabilimento della Gomma sintetica? Ma più incontri sono dedicati quell’anno all’introduzione del divorzio, alla riforma religiosa e, nella primavera del ’47, al riconoscimento dell’obiezione di coscienza. E si continua così. Raccomanda Capitini di parlare di patate e di ideali, non le une senza gli altri.
Dopo un promettente inizio l’esperienza dei C.O.S. rifluisce e, praticamente, cessa non solo a Ferrara, con la morte di Balboni nel novembre del’48, ma in tutta Italia. La proposta, annota Capitini, era molto in contrasto con il disinteresse e l’avversione che, dopo pochi anni, sorse in molti contro un’istituzione così indipendente, aperta, critica… Non lo Stato antifascista, ma molto meno quello che seguì nel 1948, erano in grado di valersi dei C.O.S. ed inserirli nella struttura pubblica italiana, ad integrazione della limitata democrazia rappresentativa del parlamento e dei consigli comunali e provinciali. Né le forze dell’opposizione di sinistra, tese nella speranza di una presa del potere, si curarono di apprestare uno strumento così elementare per la convocazione della popolazione e dell’opinione pubblica.
Silvano Balboni, con la sua inseparabile bicicletta, il primo gennaio del quarantotto recapita un biglietto agli amici “Auguri a te e alla Costituzione”. Sono auguri dei quali abbiamo molto bisogno oggi. Abbiamo visto come è andata. Quaranta anni fa Mario Luzi ci ha descritto, sono i giorni dell’assassinio di Aldo Moro, un’agonia giunta ora all’estremo:
Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima – cerco di farmi intendere
dinanzi a non so che tribunale di che sognata equità. E l’udienza è tolta
A questo esito ha contribuito anche l’assenza di luoghi, come i C.O.S., dove i problemi sono affrontati sulla base di argomentazioni fondate e verificabili da parte di tutti gli interessati. Sempre più bassa è la qualità del dibattito nelle rappresentanze politico amministrative e della opinione pubblica. Assente ogni controllo democratico sulle scelte economiche che interessano l’intero pianeta. Forte è, comprensibilmente, la sfiducia nell’azione collettiva, nella sua capacità di mutare le condizioni di vita. A distacco e assenteismo, rispetto agli inviti a partecipare, fanno riscontro fiammate rabbiose, deleghe plebiscitarie, proposte, nel migliore dei casi ingenue, di democrazia telematica, diretta e istantanea. Riemergono tendenze autoritarie e schiettamente razziste. La campagna elettorale ha reso anche più evidenti questi elementi. Il 4 marzo con il voto cerchiamo almeno di non aggravarli e il 5 riprendiamo l’ispirazione dei Centri di Orientamento Sociale. Ci sono necessari oggi più di allora.