Il suo consumo è in crescita e fa stragi nella classe media. Numerose morti le sono attribuite in Rhode Island e Pennsylvania e più recentemente in Ohio. Non è proprio eroina. Antidolorifici sintetici, il fentanyl in particolare, la stanno soppiantando. Sono cento volte più potenti e costano molto meno. L’eroina è pur sempre un derivato del papavero. Bisogna coltivarlo e i raccolti possono andare male. Poi bisogna estrarne la morfina, derivarne l’eroina… Invece il fentanyl è a disposizione, con un clic sui siti online cinesi, Weiku o Mfrbee.com. E costa pochissimo. L’accusa alla Cina, da numerosi rapporti e da una commissione parlamentare americana, è di chiudere gli occhi su produzione ed esportazione.
Si stima che fentanyl e simili, con la loro presenza nei composti detti China White, abbiano causato la metà delle morti per overdose censite nello stato dell’Ohio: oltre 4mila nel 2016, non arrivavano a 300 nel 2006. In una contea, la Lorain County, di 300 mila abitanti, i morti nel 2016 per overdose sono stati 132, triplicati in quattro anni. Credono di iniettarsi eroina, ma assumono dosi letali. L’anno scorso, leggo da Le Monde Diplomatique, la vittima più vecchia della contea è stato un settantacinquenne, che condivideva la siringa con il nipote.
Cambia la composizione degli assuntori: per il 90% bianchi. Mentre neri e ispanici che sono tra il 16 e il 17% della popolazione sono sottorappresentati. Un tempo di overdose si moriva nei ghetti neri. Anche per questo cresce la preoccupazione nell’impero americano.
Della penetrazione della droga, a suo tempo, si preoccupò invece l’impero cinese. L’oppio entrava di contrabbando, prodotto in Bengala dalla Compagnia delle Indie Orientali. Ventimila casse vennero date alle fiamme, nella campagna antioppio, nel giugno del 1839.
Nel novembre intervenne la flotta inglese e nel 1842 il conflitto si concluse con il trattato di Nanchino, avvio di un trattamento semicoloniale della Cina. Una seconda guerra dell’oppio, iniziata dodici anni dopo per il rifiuto cinese di una revisione dei trattati in favore degli occidentali, o del libero commercio se si preferisce, si concluse, il 18 ottobre 1860, con il trattato di Pechino: pagamento di una pesante indennità da parte della Cina, apertura di altri porti, libera circolazione dei mercanti e dei missionari stranieri, esenzioni doganali, apertura di legazioni diplomatiche a Pechino, libero accesso delle imbarcazioni occidentali alla rete fluviale cinese e, dulcis in fundo, legalizzazione dell’oppio. Nella decisione di firmare un qualche peso l’ha avuto, probabilmente, la pressione anglo-francese, con l’incendio dell’antico Palazzo d’Estate.
Le guerre dell’oppio si sono concluse dunque con la legalizzazione della sostanza, il conflitto del fentanyl si apre invece con la messa fuori legge dell’antidolorifico negli Usa.
Un’appendice di quelle guerre può essere considerata la Ribellione dei Boxer, utilizzati dall’infida imperatrice che non vuole osservare i patti, che considera, chissà perché, iniqui e un po’ estorti. Abbiamo a disposizione un film, 55 giorni a Pechino, che spiega tutto bene e racconta l’assedio delle legazioni straniere. C’è anche il nostro ambasciatore, ma non ricordo nulla di particolare al riguardo. A organizzare gli ambasciatori ci pensa invece quello inglese, David Niven. A difendere tutti, a capo della forza multinazionale presente, è il maggiore Charlton Eston, che trova pure modo e tempo di intrecciare, in quei convulsi giorni, una relazione con l’affascinante baronessa russa Ava Gardner. L’arrivo delle forze unite delle otto nazioni interessate – Germania, Austria, Francia, Italia, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti e Giappone – pone fine all’assedio e seda la rivolta.
Purtroppo questa bella unità della comunità internazionale, funziona solo se si individua un interesse comune (cioè un nemico comune da sfruttare).