Nella Contea era in corso il grande cambiamento. Il primo atto fu di porre termine alla guerra fiscale. Le vittime erano molte e sempre le stesse. I più facoltosi inviavano fiumi di denaro in luoghi sicuri. Quelli che non riuscivano li davano a esperti in evasione. Giungevano talora a spendere più di quanto sarebbero costate le tasse. Ma quando la questione è di principio non si bada a spese. C’erano pure gli obiettori totali: i no tax. La pace fiscale fu apprezzata. I ricchi si fecero più ricchi, i poveri più poveri. A questi la promessa che lo sperpero dei ricchi avrebbe arricchito anche loro. C’era una leggenda al riguardo detta dello sgocciolamento. Ci teneva il Viscontone, forte del Vangelo sul quale aveva giurato. “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”, ringhiava sommessamente. Il Viscontino ripeteva ilare “Flat tax non è condono, infatti si chiama diversa”. “È nel Contratto e per ciò stesso è costituzionale, piatta e progressiva, perché porta il progresso” dottorava l’addottorato Conte. “Chi ha dato ha dato ha dato. Chi ha avuto ha avuto, ha avuto”, balbettava il Viscontino.
Una mattina il giovane Visconte si svegliò dubitoso. “Per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare? È una semplice domanda!” “Quale comprensibile, popolare indirizzo diamo al grande cambiamento?”, riformulava il Conte premuroso.
“A cominciare dagli zingari non si sbaglia mai”, ringhiava affettuoso l’aggrottato Visconte. “Ma nonnina non vuole” obiettò il Viscontino. “Vediamo, vediamo – rifletteva il Conte – nel contratto non c’è nulla sulla questione ebraica, ma sui Rom, che stanno negli appositi, abolendi campi, sì”. “Se qualche altro fa osservazione diciamo che è una sperimentazione su un campione preso dai campi, e da dove se no, contro la dispersione scolastica e per la responsabilità genitoriale”, ringhiava sghignazzando il Visconte.
“È in arrivò un bastimento carico di…?”, interrogò il piccolo Visconte. “Di negri – completava con ringhio crescente il Visconte. Ne abbiamo già. Adesso li mando via”. “Nel Contratto c’è un capitolo apposito. Nel Contratto c’è tutto” assicurava, garrulo, il Conte. “Ghe pensi mi. È finita la pacchia. Quelli a fingersi profughi, codesti a fingere di salvarli, questi a far finta di integrarli. Vi smaschero tutti. A cominciare dal nanetto che si finge un bimbo di sette mesi”, ringhiava felice il Visconte che aveva ripassato la grammatica. L’altro gridò forte al cielo “Onestà, onestà!”.
Felici passavano i giorni nella Contea del grande cambiamento.