Quanto sarebbe più semplice se l’orfano di femminicidio frequentasse il padre, se il bimbo maltrattato dichiarasse il suo amore per i genitori… Quanto sarebbe rassicurante e comodo se i cocci si ricomponessero, se chi è pieno di dolore facesse il piacere di digerirlo senza proporlo ai colloqui. Quanto sarebbe gratificante, per tutti quei professionisti, se la vittima potesse estrarre il pungiglione del trauma e dire insieme a loro: “Ma sì, a parte questo…”
Hai robusti armadietti
variopinti tappeti
dove rinchiudi i delitti
seppellisci i segreti.
Nella vecchia credenza
del bisnonno Martino
hai essiccato la violenza
che ha forzato il bambino.
Poi incontri una famiglia
distrutta da un reato.
Ma quanta meraviglia.
Non l’ha già perdonato?
Forse non è decenza
per il tuo stomaco gentile
che quella sofferenza
gli bruci da morire.
Sarebbe un po’ più semplice
se l’orfano di madre
certo non fosse complice
ma perdonasse il padre.
Facesse anche il piacere
di sanare il dissidio
lo andasse ad abbracciare
scordando l’omicidio.
Dai, cerca di capire
non è così che funziona.
Chi ha il vezzo di subire
non sempre accantona.
Ha il pensiero pesante
acido di rancore.
Col naso gocciolante
ti sporca il buonumore.
Prova ad immaginare
che ci vuole del tempo
e che per cancellare
non basta un momento.
Tu dici “A parte questo”
e nascondi la chiave
ma non è un pensiero onesto
se “questo” è un trauma grave.
Prova a posare gli occhi
dentro alla tua credenza.
La cosa che non tocchi
si chiama sofferenza.