A questo si ispira il tavolo interassociativo SALTAMURI, lanciato dal Movimento di Cooperazione Educativa e coordinato da Giancarlo Cavinato, segretario e responsabile nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa.
Saltamuri, che già conta l’adesione di 50 associazioni professionali del mondo della scuola, organizzazioni sindacali, enti e associazioni del terzo settore, ONG, scuole, associazioni del mondo universitario e della ricerca, e poi singoli cittadini preoccupati per il clima di intolleranza e chiusura che si sta facendo strada nel nostro paese, è stato presentato ufficialmente il 17 ottobre scorso a Roma con una conferenza stampa alla Camera dei Deputati cui ha partecipato anche il Coordinamento dei Genitori Democratici.
Il Tavolo, presente anche il 7 ottobre alla Marcia Perugia-Assisi, intende promuovere azioni educative positive per l’accoglienza, la pace, la convivenza democratica, e ha lanciato la campagna “Mille scuole aperte per una società aperta” con proposte sui diritti umani universali di cui a dicembre ricorre il 70° anniversario della proclamazione.
Il manifesto davvero assomiglia ad una traduzione di quel “Tentativo di decalogo” nella quotidianità della scuola, istituzione che da sempre è all’avanguardia in Italia per la capacità di intrecciare le differenze, e propone un anno di sperimentazione coraggiosa, consapevole, a più voci, per l’affermazione dei diritti di tutti.
«Un anno di mobilitazione per saltare muri, costruire ponti, darci coraggio e contrastare ogni propaganda della paura. Sviluppiamo, a partire dalle scuole, la complessa arte della convivenza. Scegliamo tra istruzione e distruzione per contrastare la povertà educativa, la disgregazione sociale e la crescita dell’intolleranza. Rivendichiamo il valore della lingua non solo per comunicare ma anche per costruire la realtà sociale. Costruiamo la coesistenza interetnica con cura e credibilità».
Un primo incontro è stato richiesto al Ministro alla Pubblica Istruzione, e vi è l’intenzione di ricorrere anche alla Procura della Repubblica, per denunciare ciò che sta avvenendo a Lodi e a Monfalcone, dove scelte amministrative e organizzative fanno sì che alunni siano discriminati «per censo e provenienza, relegandoli in classi ghetto, separandoli da momenti essenziali della vita scolastica come la mensa e i trasporti».
Scrive, ancora, Giancarlo Cavinato, di come ogni esclusione produca «gravi conseguenze anche per gli alunni ‘privilegiati’ in quanto si costruiscono e rinforzano stereotipi, senso di estraneità e indifferenza. (…) Si prefigura una scuola che, anziché prescindere dalle disuguaglianze sociali e lavorare a rimuovere gli ostacoli dovuti a deprivazione e gap culturali, lavorerà ad approfondirle e a costruire percorsi di vita ancor più diversificati».
E invece i diritti, quando non sono di tutti, si chiamano privilegi. Apre così il manifesto di Saltamuri ed è una consapevolezza che facciamo bene a portare con noi, affinché sia trasformativa, da qualsiasi angolazione guardiamo il mondo. «I problemi della convivenza non si sono mai risolti con la separazione, la privazione, la ghettizzazione. Queste non possono che preparare l’insuccesso, l’estraneità, il senso di rifiuto».
Leggo che SALTAMURI nasce da organizzazioni e cittadini «allarmati e indignati». Il pensiero corre a don Milani e ai suoi ragazzi, a quella “Lettera” che spiega come l’indignazione sia l’energia indispensabile per forgiare un’opera d’arte.
Nella mia città, che è Ferrara, leggo in pochi giorni sfoghi indignati di cittadini che non ci stanno, a starsene quieti dalla parte dei privilegiati. Uno gira su Facebook, trova consensi e poi viene ripreso dalla stampa locale, è di una ragazza che ha assistito a un episodio di discriminazione su un pullman di linea dove una donna non ha voluto accanto a sé un ragazzo di colore. La studentessa che scrive – non è ferrarese, è iscritta al primo anno di una nostra Facoltà – cita Rosa Parks, racconta le lacrime di quel ragazzo che è stato suo compagno di viaggio, confessa la rabbia contro se stessa per non aver saputo intervenire.
Il secondo è di una mamma in coda con il suo bambino di 9 anni in un ospedale per una visita. In attesa c’è anche una donna in avanzato stato di gravidanza insieme al marito il quale chiede se hanno il diritto di passare avanti. Vengono subissati dagli insulti, e non dev’essere casuale il fatto che la coppia fosse rumena, a una quasi-mamma italiana avrebbero riservato sicuramente un trattamento diverso. Chi scrive la lascia, invece, passare, ma – scrive – all’uscita «mio figlio mi ha detto “mamma credo di aver assistito ad un brutto episodio di razzismo”, con le lacrime agli occhi e una tristezza infinita». La mamma coraggiosa e consapevole conclude: «io non so come proteggerlo, e proteggermi, da tutto questo».
In effetti come fare, il modo esatto e utile, forse non lo conosciamo però sono grata a lei, come alla studentessa, perché con grande spontaneità ed emozione ci ricordano che il diritto ha più valore del privilegio, e che l’attacco più duro all’infanzia è appunto l’esercizio della disumanità perfino per chi sta dalla parte dei fortunati e può relegare l’umanità di scarto in fondo alla coda. Mi sembra, in un coordinamento come Saltamuri o nel passaparola semplice, che non assuefarsi al malodore e riconoscere, comunicare l’indignazione possa essere un motore. Lo stanno usando già in tanti, e malamente, e da una parte sola. Quell’energia ritroviamola anche tra chi crede nei diritti e non nei privilegi. Attingiamo a quella rabbia, per trasformarla in modo nonviolento.