L’elenco alfabetico delle città, aggiornato sul sito della rete DIRe (Donne In Rete contro la violenza), va dalla A di Alessandria alla V di Viterbo e annovera tanto metropoli come Firenze, Bologna, Torino, Milano quanto piccoli centri come Scicli, Valdichiana, Orbetello, Crema, Lugo di Romagna…
Oltre alle piazze si moltiplicano le sigle di associazioni, movimenti, ordini professionali, sindacati, organizzazioni non governative ecc. che aderiscono in sede nazionale o locale per difendere i diritti delle donne, dei bambini, di tutti, con un grande NO corale.
Al progetto di legge intanto la Commissione sta lavorando in fase redigente, ovvero, se il testo arriverà in Parlamento, non potrà essere emendato articolo per articolo ma soltanto, e interamente, approvato o bocciato. Proprio per questo molte organizzazioni contrarie stanno chiedendo di essere ascoltate e le audizioni si succederanno nei prossimi giorni.
Sulle ragioni di scontento mosse dal progetto Pillon qualcosa è già comparso su queste pagine a proposito del motivo per cui, a mio avviso, la mediazione familiare non può essere obbligatoria come il Senatore (e mediatore) vorrebbe. Molti altri sono i punti gravemente lesivi dei diritti delle persone, diretta conseguenza del fatto che molti aspetti della realtà, tra cui la diffusione della violenza familiare, sono semplicemente negati. L’attacco alle donne è feroce e paralizzante, e non meno grave è l’aver trasformato definitivamente i figli in beni di proprietà da suddividere tra gli ex come il tostapane o i mobili del soggiorno. Tutto questo viene veicolato in sordina, enunciando alti principi di rispetto dei minori, della bigenitorialità ecc., e in nome di questi stessi principi vengono stracciate le principali cautele fin qui esistenti. L’arretramento più immediatamente comprensibile e foriero di una moltiplicazione di conflitti riguarda gli aspetti economici, e solo in parte si spiega (ma anche a questo bisogna pensare) con la realtà di padri separati che faticano a raggiungere la fine del mese perché prosciugati dalle loro ex. Personalmente penso sia vero, che negli anni è maturato uno scontento cui occorreva prestare attenzione, ma non così.
Quando un genitore non collabora al mantenimento del figlio oggi può essere denunciato penalmente per violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p., che ritengo sia utilizzato nella maggioranza dei casi da lei contro di lui e non viceversa). Il ddl. affronta l’eventualità e la risolve all’origine… abrogando il reato! Introduce il «mantenimento diretto», che in teoria significa: quando il bambino è con me pago io, quando è con te paghi tu. Peccato che poi ci siano la mensa scolastica, l’abbonamento del pullman, la scuola di danza o di calcio. Tutte spese che, insomma, del tutto straordinarie non sono. Faranno a gara, i due, a scegliersi i giorni in cui non c’è piscina, o non si fanno visite specialistiche? Se papà e mamma non scendono dal ring interverrà il giudice, a questo punto disponendo sulle spese ordinarie una per una, analizzando e ripartendo tra i genitori – enuncia il decreto – i «capitoli di spesa» a favore del bambino (ma non si spiega quali sono questi capitoli o che cosa riguardano).
Ma che cosa succederà qualora uno dei due non provveda alla propria parte di mantenimento diretto? Nulla o poco più, perché il reato sarà stato abrogato e non si potrà più procedere in giudizio.
Anche un altro dispositivo che i tribunali adottano frequentemente, ovvero l’assegnazione della casa familiare al genitore che per più tempo tiene con sé il bambino, verrà a cadere, sia perché non ci sarà più una prevalenza, una volta previsto che il bambino trascorra almeno 12 pernotti con ciascun genitore (e su questa divisione della creatura si dirà più avanti), sia perché, se ancora la casa verrà assegnata (ad es., l’hanno comprata insieme ma dopo la separazione resta uno solo), chi ci vive dovrà pagare l’affitto all’altro.
E se i due hanno capacità economiche differenti? Il genitore che non è in grado di assicurare un certo tenore di vita può essere ulteriormente penalizzato, mentre il più abbiente procura il Bengodi al figlio per attrarlo verso di sé.
Il fatto che le donne, in Italia e in tutto il mondo, siano più povere degli uomini è risaputo. Pur vietato per legge, sussiste quasi ovunque – e anche in Italia – il “gender gap”, ovvero lo sbilanciamento salariale tra i due sessi pur a parità di responsabilità e competenze. Inoltre, in tante famiglie sono le donne a lavorare part-time, o a non lavorare affatto, per occuparsi dei bambini, scelta che in fase di separazione può costare cara. Fino al punto di non separarsi affatto: anche se l’amore finisce, e addirittura anche quando la violenza subentra.
Ecco, oltre a molti altri argomenti che ci riserviamo di trattare, una coppia che intende separarsi dovrà prima chiedersi se ce la fa economicamente a reggere il carico di questa divisione (e a remunerare il mediatore, che non è un volontario). Il sovrapprezzo all’amore che finisce servirà forse a tenere unita almeno l’impalcatura familiare, tanto cara al cofondatore del Family Day? L’ipotesi sembra fondata. E il carico andrà a scaricarsi maggiormente sulle donne, fin qui potenzialmente tutelate dalle sentenze di separazione e divorzio (spesso l’assegno di mantenimento, come pure l’assegnazione della casa), ma ancor più spesso e concretamente svantaggiate in partenza.