I maggiori mezzi d’informazione le hanno dedicato qualche avaro articolo all’avvio dei lavori e qualche altro alla fine, giusto per citare l’accordo raggiunto (piuttosto deludente). Il mondo politico italiano ha palesato un vistoso disinteresse. Eppure a Katowice erano in ballo questioni cruciali per il presente e il futuro delle nostre società, se è vero – come nessuno sostanzialmente contesta – quel che affermano gli scienziati e cioè che alcuni spaventosi effetti del riscaldamento globale si manifesteranno prima del previsto, cioè nell’arco di una dozzina d’anni.
Ritiro dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, desertificazione di ampie fette di territorio sono le minacce più incombenti. Così incombenti che uno dei delegati più attivi durante Cop 24 è stato il rappresentante delle Maldive, stato insulare destinato a subire fra i primi al mondo i devastanti effetti del surriscaldamento.
Durante gli incontri tecnici che hanno costellato le due settimane di lavori, le esigenze contingenti dell’economia hanno largamente prevalso sull’attenzione verso il futuro. Eppure stiamo ormai parlando di tempi ravvicinati e non di un’epoca lontana dalle menti e dai cuori dei leader politici perché – come chiosava cinicamente John Maynard Keynes – a quel tempo saremo tutti morti.
A Katowice si è ben capito che la drastica riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, ossia l’obiettivo principale della Conferenza, non è al momento una scelta politicamente accessibile per le leadership globali. Si tratterebbe di imprimere una svolta ai sistemi produttivi e ai modelli di consumo, incamminandosi lungo la via della sobrietà, concetto incompatibile con il turbocapitalismo neoliberale che domina il mondo. Non si riesce nemmeno a immaginare una seria strategia di graduale fuoriuscita dall’era degli idrocarburi (non è per caso che la Polonia ha scelto di organizzare la conferenza nella capitale nazionale del carbone).
Sui media internazionali il sostanziale fallimento di Cop 24 (l’ennesimo) è stato in qualche modo smorzato. L’attenzione si è concentrata sulla dichiarazione finale che è stata comunque sottoscritta e l’attenzione ora è spostata sulla Conferenza dell’anno prossimo, in Cile: forse anche i giornalisti vogliono lasciare una porta aperta alla speranza che qualcosa – miracolosamente – cambi.
A fare davvero breccia a Katowice – mediaticamente parlando – è stata un’imprevista oratrice, la quindicenne svedese Greta Thunberg, giovanissima organizzatrice nel suo paese di un “climate strike”. Ogni venerdì Greta manifesta davanti al parlamento di Stoccolma con cartelli e slogan, per protestare contro l’inerzia della politica sulla questione più importante del nostro tempo. A Katowice Greta Thunberg ha preso la parola e si è rivolta ai negoziatori in platea con un discorso sferzante: “Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. State lasciando ai vostri figli anche questo fardello”.
L’intervento di Greta, a confronto con l’ostruzionismo praticato dalle maggiori potenze economiche del pianeta, fa capire che l’unica possibilità esistente per superare l’impasse è l’avvio di una stagione di forte pressione popolare e internazionale sul tema dei cambiamenti climatici. In Svezia come in Francia, Germania e altri paesi (assai poco in Italia) sta in effetti prendendo forma con iniziative, azioni dirette e cortei uno specifico movimento di lotta e di proposta sul clima. E’ già qualcosa, ma serve molto di più. La lotta contro il surriscaldamento globale è la questione politica più importante al mondo e le classi dirigenti non la stanno affrontando in modo adeguato. Lo scrittore indiano Amitav Ghosh, in un recente libro più letto che ascoltato (“La grande cecità”), ha denunciato il silenzio degli intellettuali.
Ora la giovane Greta ha azionato la sveglia. Bisognerebbe non fare finta di non avere sentito.