Benedetta ha tre anni, è la figlia di un amico. Con i suoi grandi occhi spalancati sul mondo è molto bella, certo, ma più ancora colpisce la sua luce. Bimba curiosa, ridente, piena di senso dell’umorismo e dell’incanto.
Non lo so quale omino dell’ombra si annida negli occhi di ognuno, e forse tra un po’ nei suoi, ad affievolire quella luce. Bello goderla nei bambini che la portano inconsapevoli e in chi li sta a guardare alimentano la nostalgia. Come qualche giorno fa, attraversando la piazza.
Papà, cosa sono quelli?
Si chiamano funghi. Tengono caldo ai signori seduti ai tavolini del bar.
Che belli. Mi posso avvicinare? E che cos’è quello?
Quello è il fuoco.
Dove va?
Come dici, Benedetta?
Il fuoco. Dove va?
Resta dentro al fungo, sai. Riscalda le persone che stanno sedute ai tavoli.
E io mi posso avvicinare?
Sì, ma stai attenta.
Così Benedetta si stacca dalla mano del papà e si fa più accosto, allunga le piccole mani con molta cautela, si lascia avvolgere dal tepore. È in un momento suo, noi siamo rimasti qualche passo indietro e lei non pensa affatto di essere ascoltata, è giù da qualsiasi palcoscenico. Mormora tra sé e sé.
Grazie, Fuoco.