Che cosa succederebbe se loro ci prendessero sul serio e si dedicassero a tracciare il futuro?
È questo l’esperimento di “Futuri maestri”, un percorso di due anni che ha contenuto laboratori, mostre e incontri, è sfociato in uno spettacolo, e oggi è anche un libro, un librettino umile e di nessuno sfarzo ma traccia di un’esperienza preziosa. L’hanno realizzata nel bolognese i miei amici del Teatro dell’Argine.
Non è semplice descrivere che cosa è stato questo “Futuri maestri” che ormai esibisce un medagliere di un certo peso (Medaglia del Presidente della Repubblica, Vincitore del Premio ANCT 2017, Vincitore Premio Eolo Award 2018, Finalista premio Rete Critica 2017, Finalista Premio UBU 2017) e in quei due anni, dal 2015 al 2017, ha intrecciato collaborazioni con tutte le maggiori istituzioni bolognesi e regionali scomodando festival, centri di documentazione, altri teatri, grandi e piccole amministrazioni, università, fondazioni, musei…
Si potrebbe riassumere così: una mostra, cinque eventi speciali (incontri con Michela Murgia, Roberto Saviano e Daniel Pennac, una serata al Museo d’Arte Moderna, una dedicata alla lirica), 45 laboratori di teatro, musica, canto, arti visive, scrittura, cinema, giornalismo e critica che hanno coinvolto oltre 1.500 ragazzi, e nove sere di spettacolo al centralissimo Teatro Duse di Bologna portando sulla scena – non tutti ogni sera – mille protagonisti dai 3 ai 18 anni.
Dal lungo percorso laboratoriale è nato un testo collettivo sapientemente cucito dal drammaturgo Nicola Bonazzi prendendo a prestito qua e là qualcosa di Majakovskij, Brecht, Pasolini, Aristofane, Sofocle e Ariosto. Tutta gente che in un’aula normalmente addormenta, ma è parola viva se indica la strada a ragazzi e ragazze pronti a partire.
“Voi che ci dite: State dritti con la schiena, non buttatevi come sacchi sul divano, ai nostri tempi noi, mica come voi e vi sentite come parlate? Certo che ci sentiamo. E voi ci sentite? E allora sentite qua. Tanto vale per noi lasciare questo luogo di macerie e trovare da noi la nostra strada prima che ci s’infanghi il sistema circolatorio”.
Cinque parole stimolo hanno attraversato i laboratori e sono state espresse in scena: amore, lavoro, guerra, crisi, migrazione. Così i giovani in viaggio, guidati da Innocenzio, Celestino e Desiderio, fuggono dalla Città della peste e raggiungono per primo l’Inferno, raffigurato come un supermercato. Quello dove sono entrati è il reparto delle scarpe: sandali ciabatte stivali scarpine e scarpone di ogni foggia, taglia e colore, tutte usate, avanzo dei profughi che le hanno consumate. A sollevarle ti raccontano la storia, come le conchiglie il mare.
Non è all’Inferno la soluzione, ed eccoli pronti a ripartire per Eldorado, la città dell’oro, dove tutto è concesso tranne merce fuori catalogo come la timidezza o la discrezione, dove tutto luccica in un eterno carnevale ma i suoi abitanti devono vendere se stessi per avere qualcosa.
Neppure questo li soddisfa, raggiungono così Numanzia, la città militarizzata “retta da muri, murelli, muretti, muriccioli, muricciuoli, muracci… Costituita da confini, confinetti, confinoni, confinucci, confetti…”. Numanzia “approva steccati, limiti e barriere” e “repelle tutto ciò che non sia Numanzia”. Non ci si può stare in un mondo così. La favolatrice pronuncia una filastrocca contro la guerra che varrebbe, da sola, uno spettacolo, è di Nicola Bonazzi, meravigliosa.
Per scappare “ci vorrebbero le ali”. Si ritrovano circondati da uccelli, gente che come loro si è stancata della realtà, ma ha imparato a volare ed è fuggita in cielo anziché provare a cambiarla. Ascoltano qui un maestro di oggi, ogni sera uno diverso, che dona loro cinque parole. Con quelle arriveranno sulla luna, dove è conservato il senno di chi lo ha perduto e anche la cura per le arterie fangose: “Di voi donate con sfarzo e con agio / cosa che possa cambiare le teste / ché il morbo s’attacca sol per contagio / la peste si combatte con la peste”.
Eccoli allora, a ridiscendere e a coinvolgere gli spettatori in una corsa frenetica e gioiosa di quel gioco che tutti abbiamo fatto forse con nomi diversi. Per noi bambini era “puzza”. Ti tocco e dico: “Tua!”, e tu dovrai trovare qualcuno a cui passarla, sarà difficile perché scapperà. Se non di puzza si tratta, allora sarà un piacere trovare qualcuno a cui dire: Affetto, tuo! Amicizia, tua! Amore, tuo! Giovani viaggiatori tornano pronti al contagio per mettere a disposizione la loro gioia di vivere e lo sguardo pulito, come hanno fatto per davvero gli attori in quelle nuove serate dove le allegorie non erano lasciate sole, c’era l’autoironia a screziarle di sfumature, prendono in giro la scuola, gli adulti, se stessi, il cellulare… e c’era il movimento, lo stare dentro e fuori dal gioco teatrale, il linguaggio ragazzino e la poesia. C’era la sapienza di artisti che hanno saputo apparecchiare una tavola meravigliosa lasciando che fossero altri a cucinare, guidati, le loro migliori pietanze.
Una sera sono andata a teatro, ricordo la luce negli occhi dei ragazzi e quel loro spingere al massimo relazioni che ormai erano diventate di fratellanza, a volte d’amore, certo senza escludere conflitti o gelosie. Ricordo gli attori della compagnia distrutti e trasfigurati da quella stanchezza felice che viene dopo aver dato il massimo per qualcosa di folle che però è riuscito.
Una cosa ancora dà il segno dell’intelligenza di questo progetto, che vuole fare ricerca e imbastire futuro ma non è interessato alla rottamazione e intende la partecipazione dei ragazzi in senso nobile, non superficiale e non miracolistico, ed è la scelta dei nove maestri che sono saliti sul palco sera dopo sera: Loredana Lipperini, Simonetta Agnello Hornby, Gabriele Del Grande, ed anche Alessandra Morelli, Delegata UNHCR, Giuseppe La Rosa, soccorritore navale della Guardia Costiera, Ignazio De Francisci, procuratore generale di Bologna che è stato tra i giovani collaboratori di Falcone e Borsellino, Alessandro Frigiola, cardiochirurgo infantile, Paola Caridi, giornalista esperta di Medio Oriente, e Yusra Mardini, una ragazza siriana, nuotatrice del Team Refugees e ambasciatrice UNHCR. Sulla scena ognuno leggeva la propria lettera ai viaggiatori e tutte e nove sono raccolte nel piccoli libro “Futuri maestri”. Ogni lettera ha consegnato e illustrato cinque parole che poi erano il succo di un’esperienza di vita. Tra tante scelte una ricorre, diversamente espressa: la passione, declinata nella giustizia, nella cura, nell’impegno per la pace, nell’esplorazione di mondi possibili.
Non credo sia un caso se mancava la politica in senso stretto. Mi viene spontaneo pensare ad Alex Langer, su quel palco ci sarebbe stato benissimo.
“Futuri maestri” – Il documentario:
“Futuri maestri” – Lo spettacolo