Uno scandalo scomodo e rimosso. Nessuno vuole metterlo a fuoco. Milioni di animali vengono fatti nascere solo scopo di essere uccisi al termine di brevi non-vite condotte in spazi concentrazionari. Ogni volta che il tema viene evocato, ad esempio durante le manifestazioni ambientaliste avviate da Greta Thunberg, si preferisce parlare d’altro.
Isaac Bashevis Singer, il grande scrittore in lingua yiddish, premio Nobel per la letteratura, in un racconto mette in bocca a un personaggio un’affermazione che riassume la posizione degli animali nell’età contemporanea: “Per gli animali”, dice il personaggio, “è un’eterna Treblinka”. Massimo Filippi e Filippo Trasatti, in uno dei libri più veri e più importanti sulla condizione animale nella società presente, parlano di “Crimini in tempo di pace” (titolo del loro libro pubblicato da Eleuthera), alludendo all’inferno degli allevamenti, alla violenza di sistema, simbolica e reale, sui corpi degli animali non umani.
Ma veniamo a Greta. I “FridayforFuture” sono stati seguiti con grande attenzioni dai media e dalla politica in tutto il mondo. A volte con goffi cenni di approvazione, ad esempio di leader politici noti per l’assoluto conformismo rispetto all’ideologia sviluppista corrente (più grandi opere, più consumi, più Pil); a volte con curiosa o convinta partecipazione (nelle piazze di tutto il mondo); altre volte ancora con astio (con sfumature che spaziano fra il complottismo e lo sbeffeggiamento) o con critico scetticismo (per la naiveté politica che caratterizzerebbe le richieste e le proposte).
Di certo i ragazzi scesi in piazza il 15 marzo non hanno parlato a vanvera: l’emergenza climatica è reale, già percepibile nella vita quotidiana e resa drammatica dalle analisi degli scienziati, che accorciano rapporto dopo rapporto il tempo disponibile per impedire o limitare catastrofi sempre più vicine.
Questi stessi scienziati hanno indicato con chiarezza i principali responsabili dell’effetto serra: in testa la combustione di idrocarburi, al secondo posto i consumi di carne. Torna così, per via ecologica e sull’onda di una mobilitazione globale, la questione animale. E tuttavia resta in secondo piano nel discorso giornalistico e nel dibattito politico. Nemmeno la scelta personale della star Greta, diventata vegana (e con lei tutta la sua famiglia), viene analizzata e presa sul serio.
Eppure, di tutti gli interventi necessari per abbattere le emissioni di gas serra, una radicale riduzione dei consumi di carne e degli allevamenti intensivi è forse il più raggiungibile. Più di una drastica riduzione dei consumi di combustibili, raggiungibile solo a patto di tagliare sensibilmente, per dirne una, il parco auto in circolazione, quindi rivoluzionando, cioè limitando fortemente, la mobilità individuale .
Aumentare del 50% i consumi di alimenti vegetali e ridurre sensibilmente i consumi di carne, come consigliato dagli esperti dell’Onu durante la sessione di metà marzo dedicata ai cambiamenti climatici in Kenya, è un obiettivo più abbordabile.
I governi dovrebbero certo avviare campagne di informazione e persuasione, spiegando le ragioni ambientali di un progetto “Carne, no grazie” tutto da immaginare ma chiaro nelle sue linee generali: no alla carne per salvare il pianeta e per tutelare la propria salute (a proposito: la carne rossa è stata inserita dall’organizzazione mondiale della sanità fra le sostanze cancerogene, nella stessa categoria del fumo); magari si potrebbe aggiungere qualche considerazione sulla dignità degli animali e sulla necessità di rivedere, anche sul piano filosofico, la loro e la nostra posizione nel mondo. Le scuole avrebbero menu prevalentemente vegetariani, i nutrizionisti seguirebbero finalmente corsi di aggiornamento, le famiglie scoprirebbero che la salute fisica e morale dei loro bambini non è mai stata al centro delle attenzioni generali. E così via. La potente industria della carne di certo si opporrebbe, ma i governi potrebbero spuntarla proprio grazie a un’alleanza coi cittadini, informati e persuasi che gli attuali iperconsumi di carne non sono né utili né necessari.
Niente di tutto questo è all’ordine del giorno, nemmeno negli ambienti più vicini alla prospettiva di Greta Thunberg e del movimento sceso in piazza il 15 marzo. Non se ne parla, probabilmente, perché tutti noi avvertiremmo altrimenti un’implicita e imbarazzante critica all’ignavia e all’indifferenza che abbiamo mantenuto sulla condizione animale, di solito con la scusa che ci sono cose ben più importanti di cui occuparsi.
Invece non c’è niente di più importante della salvezza futura e presente del pianeta, niente di più importante della dignità di tutti i viventi. Se riuscissimo a infrangere il tabù, forse cominceremmo ad osservare gli animali per quello che sono. Non solo esseri senzienti, come dicono gli scienziati, ma anche esseri sensuali, cioè capaci di emozioni e volontà, come dice Massimo Filippi.
Sarebbe una scoperta e una liberazione per molti di noi, educati fin da bambini a considerare gli altri animali come vite di scarto, come corpi da soggiogare e sopprimere a piacimento e senza rimorso. Viviamo in una società crudele, abituata a stabilire confini e gerarchie fra vite più o meno degne di essere vissute (anche all’interno della specie umana) e dovremmo invece aspirare a un mondo di equità, apertura e senso del limite. Avremmo bisogno di ripensare tutto e invece siamo sotto sotto convinti che niente si possa fare, che tutto sia più grande di noi, che tocchi a qualcun altro occuparsene.
Chiedo scusa se ho parlato (anche) di animali, ma è una questione (urgente) di giustizia.