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Lettera aperta dal Venezuela

Diadmin

Mag 5, 2019

Sappiamo che la diminuzione della violenza è intimamente legata alla dignità della vita delle persone. Non ci possono essere condizioni per la dignità e la pace, se non si riducono la fame, la diseguaglianza e senza che ci siano dei miglioramenti nell’accesso ai beni e ai servizi di base per tutta la popolazione, in particolare per i più vulnerabili. La violenza fiorisce in una società senza garanzie democratiche di partecipare ad elezioni libere ed eque, dove poter designare i rappresentanti al potere. Non c’è nessuna strada per promuovere la nonviolenza e la pace se ignoriamo le cause delle discriminazioni e delle diseguaglianze che hanno obbligato milioni di persone ad emigrare. Per fare avanzare la nonviolenza e la pace, dobbiamo fare dei progressi nell’eliminazione dell’esercizio del potere centrato su logiche autoritarie, unilaterali e militariste, che fondano le relazioni tra le persone sulla prospettiva “nemico-amico, alleati-traditori”, e cercano di eliminare la differenza e la libertà. sia simbolicamente sia realmente.

Il Venezuela ha sperimentato un processo accelerato di regressi significativi nella nostra qualità della vita, rendendo più difficile accedere ai beni di prima necessità, il che ha profondamente colpito il sistema democratico. Dal 2015, dopo l’elezione del Parlamento, è stato chiaro che il settore favorevole alla politica del governo aveva perso la propria maggioranza, perciò si è iniziato a manipolare le elezioni per garantire che il partito di Nicolas Maduro (Psuv) si mantenesse al potere. 

[…] Nel 2018 il tasso di povertà colpiva intorno al 48% delle famiglie, secondo i dati forniti dalle tre principali università del Paese. L’inflazione è del 1.229.724% e secondo alcune previsioni dovrebbe raggiungere i 10.000.000% nel 2019. Una famiglia, da sola, ha bisogno come minimo di un salario equivalente a sessanta mesi di stipendio per poter comprare beni e servizi di base indispensabili alla sopravvivenza. Nel 2017 il 64% dei venezuelani avevano perso 11 kg di peso; il 33% dei bambini tra 0 e 2 anni soffrivano di ritardi nella crescita e nello sviluppo. Uno studio della Caritas mostra che il 53% delle famiglie hanno fatto ricorso a radicali strategie di sopravvivenza, come il mendicare o il rovistare nell’immondizia.

Report di alcune Ong hanno provato che il 60% delle istanze di cure mediche che esistevano nel 2011 sono ormai scomparse; secondo fonti ufficiali, il tasso di mortalità delle donne partorienti è aumentato del 66% e quello dei bambini del 30%. Dal 2017 più di 79.000 persone colpite da Aids hanno smesso di ricevere delle medicine antiretrovirali. Il Venezuela ha il più alto tasso di crescita al mondo di Malaria (+43% dei casi in America Latina). C’è un’allarmante crisi sanitaria, con il risorgere di epidemie che erano state sradicate, come la tubercolosi (10.952 casi), la difterite (9.362 casi), il vaiolo (che ha già causato il decesso di almeno 5 mila persone). Questa situazione è dovuta alla mancanza di accesso alle cure, all’assenza di prevenzione e di programmi di controllo. L’ordine dei farmacisti del Venezuela indica che nel 2018 la penuria di medicine era dell’85%. Il deficit dei letti disponibili negli ospedali è arrivato al 64%. Inoltre, il 79% degli ospedali non avevano più dell’acqua corrente, il 53% delle sale operatorie erano state chiuse, come quasi il 95% delle strutture di assistenza, e pezzi di ricambio rotti, e da riparare, dovevano essere importati.

Nel 2017, attraverso un decreto la Corte suprema di giustizia ha cercato di dissolvere l’Assemblea nazionale (il parlamento); ciò che Luisa Orga Diaz, procuratore generale, ha chiamato “rottura dell’ordine costituzionale”. Ciò ha prodotto in Venezuela il più grande ciclo di manifestazioni pacifiche di tutta la storia contemporanea dell’America Latina (fatto salvo il Nicaragua). Milioni di persone sono scese in strada chiedendo elezioni libere e credibili, il rispetto della Costituzione, la separazione dei poteri e il rispetto della legge. I mezzi interni e democratici per cambiare la situazione sono stati bloccati, la popolazione s’è impegnata in marce di protesta, blocchi delle strade, petizioni, azioni dirette di tipo artistico, scioperi della fame, referendum e forme di dialogo con il governo. La risposta è stata l’intensificazione di un piano di repressione militare (conosciuto con il nome di “Piano Zamora”), con la partecipazione delle forze di sicurezza, della “Guardia nazionale bolivariana” e delle milizie civili armate. Secondo alcune Ong, ci sono state 6.729 manifestazioni in 4 mesi in tutto il Paese, 135 morti, 12.000 incarcerati, 848 detenuti politici, più di 230 vittime di tortura, pene crudeli o disumane, e milioni di esiliati. Esiste una persecuzione sistematica contro la dissidenza politica, che ha motivato l’apertura di un esame preliminare da parte della Corte internazionale, per verificare se siamo in presenza di crimini contro l’umanità. 

Nicolàs Maduro ha violato la costituzione convocando un’Assemblea nazionale costituente, dotata di poteri sovracostituzionali, e dichiarando anche lo stato di emergenza per poter governare senza il contro-potere del corpo legislativo né fare retromarcia sulla data delle elezioni presidenziali o garantire le condizioni minime per elezioni libere e credibili. È così che, nel 2018, Maduro è stato rieletto per un altro mandato di 6 anni, a causa di un avvenimento politico ingiusto, né trasparente né libero o credibile, che è stato evidentemente denunciato dall’Onu, dall’Organizzazione degli Stati Americani e da altri 60 Paesi nel mondo, così come dal Movimento venezuelano per la difesa dei diritti dell’uomo.

[…] Nel 2017 sono state create le forze di polizia d’azioni speciali (FAES) con l’obiettivo di realizzare una campagna di pulizia sociale nei quartieri popolari (barrios): hanno imprigionato illegalmente, violato la proprietà delle persone e commesso degli omicidi extragiudiziari. “Provea”, organizzazione che lotta per i diritti umani, attesta che le FAES hanno ucciso almeno 250 persone.

Il 10 gennaio del 2019, Nicolàs Maduro si è autoproclamato presidente per svolgere un secondo mandato presidenziale, violando la Costituzione nazionale e mettendo in piedi un governo de facto. Il 23 gennaio, l’Assemblea nazionale, la sola istituzione eletta da un voto legittimo da parte della popolazione, appoggiandosi sulla Costituzione, ha dichiarato che la presidenza era stata usurpata e che, di conseguenza, essa avrebbe assunto i poteri del corpo esecutivo per formare un governo di transizione che avrebbe permesso a corto termine di tenere elezioni libere e credibili.

Dal 21 gennaio è iniziato un nuovo ciclo di manifestazioni di massa che vedono come protagonisti i settori popolari della popolazione, tra cui gli abitanti del barrio di Cotiza che erano già scesi in piazza per chiedere la fine dell’usurpazione della presidenza, dopo che un presidio militare ha dichiarato di non riconoscere Maduro come presidente. La manifestazione di quartiere è stata repressa dalle forze di sicurezza (Faes). Tra il 21 gennaio e il 4 febbraio di quest’anno, sono già state ammazzate 35 persone nelle proteste, e 9 sono state uccise in modo extragiudiziario nel corso d’incursioni illegali nelle case, alla fine delle manifestazioni. Ci sono stati 939 arresti, tra cui centinaia di donne, 67 adolescenti e 7 indigeni.

[…] I 13 paesi tra i più colpiti dal fenomeno migratorio venezuelano hanno formato una coalizione chiamata “gruppo di Lima2, che ha riconosciuto l’Assemblea nazionale e Juan Guiadò come presidente ad interim, e sostengono la richiesta di nuove elezioni, in particolare attraverso il ricorso a una transizione pacifica senza l’uso della forza. Inoltre, 21 Paesi dell’Unione Europea hanno sposato l’appello a nuove elezioni, mettendo fine all’esercizio del governo de facto di Maduro e riconoscendo pienamente il potere esecutivo di Guaidò, presidente dell’Assemblea nazionale. La Comunità Europea ha lanciato la creazione di una commissione che in tre mesi sia capace di realizzare elezioni credibili in Venezuela. Il Messico e l’Uruguay hanno proposto il dialogo per uscire in modo pacifico dalla crisi. La Colombia e il Brasile, Paesi di frontiera con il Venezuela, molto colpiti dalla crisi dei migranti, hanno sostenuto le risoluzioni del gruppo di Lima, offrendo il loro sostegno e aiuto umanitario alle frontiere. Gli Usa hanno scelto la posizione più belligerante durante la crisi, facendo pressione affinché passasse la transizione proposta dal gruppo di Lima, ma senza escludere, in caso di fallimento, ogni sorta di opzione, tra cui l’intervento militare.

[…] la guerra apparirebbe infatti come l’opposizione tra il socialismo venezuelano di Maduro e l’imperialismo yankee.

Il nostro Paese continua a sfruttare molto il petrolio, gli Usa restano uno dei principali partners commerciali, dopo Cina e Russia; importanti mercati sono in mano a Rosneft, compagnia petrolifera russa e alla Pdsva, società petrolifera venezuelana, ma non sono frutto di bandi pubblici. Inoltre, dal 2016 Maduro ha firmato un decreto presidenziale che concede un’enorme zona di esplorazione mineraria nell’ “Arco Mineriario dell’Orinoco” di 111.843,70 Km2 (12,2 % del territorio nazionale, ossia una superficie più grande di quella del Portogallo), divisa in 4 blocchi per l’estrazione dell’oro, dei diamanti, del coltan, etc. La maggioranza dell’acqua potabile viene da questa regione, abitata da popolazioni indigene; con cui non c’è stato nessuno studio d’impatto sull’ambiente e nessun accordo previo, libero e informato su tali progetti, che non sono neanche stati approvati dall’Assemblea nazionale, come invece legalmente previsto dalla Costituzione. Il Paese è stato militarizzato con conseguenze profondamente negative, come l’aumento dell’attività mafiosa, delle condizioni di quasi-schiavitù, dello sfruttamento sessuale, delle devastazioni ambientali, dei danni culturali nei confronti delle comunità indigene, trasformate da contadini (campesinos) in minatori, senza dimenticare la scomparsa e i massacri degli stessi minatori. Le denunce pubbliche, la possibilità di uno dei peggiori ecocidi della regione, la violazione dei diritti ambientali e sociali, sono stati annunciati da diversi attivisti internazionali. Turchia, Cina, Canada, Russia e altri Paesi africani sono i più interessati e attivi nello sfruttamento e, in particolare, in quello delle miniere dell’Arco Minero.

Conviene aggiungere che la Russia è divenuta il più grande trafficante d’armi che alimentano il Venezuela. Rosoboronexport, il primo esportatore di armi russe, ha annunciato nel 2018 che rilancerà la costruzione e l’apertura d’una fabbrica di Kalashnikov, insieme al governo di Maduro; il che era stato rifiutato da anni sulla base di problemi di corruzione.

Dal 2016 Maduro dirige un governo militare che ha un debole sostegno civile, quello dei capi militar ufficiali, legati al settarismo dell’esercito e che non hanno alcuna forma di compatibilità pubblica; occupano attualmente i posti più importanti nelle vendite, nell’importazione e nella distribuzione dei mercati legati al complesso aiuto umanitario, con un numero significativo di ministri, uffici e governatori, compagnie private e di Stato, banche, etc. In un’inchiesta portata avanti da “Transparency Venezuela” nel 2018, 12 ministri e 6 governatorati dello Stato erano in mano a dei capi militari. La produzione e la distribuzione nazionale di viveri di prima necessità, quelli che sono più rari e oggetto di grandi speculazioni nel mercato nero, sono in mano a militari di alto grado… Il Paese è governato dai militari, è alla loro mercé, come nel caso della costante logica di propaganda di guerra.

Nicolàs Maduro ha bloccato tutti gli strumenti pacifici per restaurare la democrazia, l’ordine costituzionale e per dare una priorità assoluta agli aiuti d’urgenza di tipo umanitario. Non vogliamo un intervento militare energico, né altro dolore e morti; facciamo appello urgentemente al mondo intero affinché ascolti le grida di sofferenza del popolo venezuelano. Possiamo fermare una guerra, un intervento militare contro civili, se ognuno in ogni luogo unisce la sua voce alle nostre per chiedere che il popolo possa, grazie a elezioni democratiche e libere, esercitare la sua piena sovranità sul suo stesso destino.

Due soluzioni sono all’ordine del giorno: una pacifica, con il ritorno dell’ordine costituzionale violato oggi da un governo de facto; l’altra riposa sull’uso della forza militare, attraverso l’intervento dei nostri eserciti contro le élites al governo, o attraverso dei militari stranieri. Tutto ciò dipende da ognuno di noi e dalle nostre azioni in grado di fare una pressione sufficiente a favore d’una soluzione nonviolenta, capace di tenere presente la giustizia e la democrazia per la popolazione venezuelana. È ciò che vogliamo, affinché non ci siano armi nel futuro del nostro Paese.

Grazie per il vostro aiuto!

Caracas, 10 febbraio 2019.

Traduzione dal francese di Emanuele Profumi – Fonte Union pacifiste, marzo 2019

(immagine tratta da www.gazzetta.it)

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