Di Lorenzo Porta, amico di Bruno Segre
Firenze
Ho avuto la fortuna di frequentare e collaborare con Bruno soprattutto dalla seconda parte degli anni ’90 fino ai più recenti anni. Ma mi sento ancora pià fortunato perché Bruno è uno degli amici di più lontana data che mi ha conosciuto a Milano, la città dove sono nato e cresciuto, nei primi anni ’70 quando, poco più che adolescente, frequentavo il Liceo Manzoni. Erano gli anni della partecipazione politica, del desiderio di capire, di aprire piste nuove e lui, di una generazione prima di me, era molto disponibile al confronto anche con i giovani che respiravano l’aria del ’68 e che talvolta non mancavano di un po’ di supponenza. Fu Cesare Mannucci a farmelo conoscere, l’animatore della rivista “Comunità” dagli anni ’60 ai ’90, fondata da Adriano Olivetti, sposato a Loretta Valtz Mannucci, docente di Storia americana. Grazie a loro, alla figlia Erica e alla nostra comune amica Beatrice, ho potuto conoscere Bruno e frequentarlo. Lui ha aderito al Movimento di Comunità e per diversi decenni ha lavorato all’Olivetti.
Non ci siamo visti per una parte degli anni ’80 quando alla fine del 1982, nelle ultime fasi del mio servizio civile a Milano, dedicato alle persone diversamente abili nella zona Ovidio/Forlanini, ho scelto di recarmi in Sicilia a Comiso, infrangendo i codici militari, ai quali erano ancora sottoposti gli obiettori di coscienza in servizio militare. In Sicilia come in altre parti dell’Europa occidentale venivano istallati missili nucleari nelle basi Nato e, nella logica vigente dei blocchi militari, nell’Europa orientale arrivavano i missili sovietici. Il movimento mondiale per il disarmo che si sviluppò contribuì alla prima descalata degli armamenti nucleari, favorendo il processo di Glasnost e Perestroika di Gorbaciov. Dico questo perché poi nel corso della nostra collaborazione ho potuto approfondire con Bruno quel periodo, confrontando la fase di allora con la ancora più cupa fase attuale, che non vede un’adeguata resistenza alle sfide in atto. Sul piano personale fu un distacco drastico con le reti relazionali nelle quali mi ero formato a Milano. Già negli anni ’70 avevo potuto approfondire la questione del rapporto tra ebraismo e cristianesimo con l’aiuto degli scritti che negli anni ’70 e nei primi anni ’80 Cesare Mannucci pubblicava sulla rivista “Comunità”: l’odio antico e l’ideologia cristiana sugli ebrei, raccolti poi nei primi anni ’90 nel libro, L’odio antico. L’antisemitismo cristiano e le sue radici. ( Mondadori,1993).
Ho ritrovato Bruno a a Firenze nei primi anni ’90, lui invitato ad un dibattito dal gruppo fiorentino dell’Amicizia ebraico-cristiana sull’esperienza del villaggio di Névé Shalom-Wahat as Salam. ( d’ora in poi: il Villaggio). Era diventato da poco presidente con il compito di portare avanti il lavoro svolto da Renzo Fabris, con l’aiuto della moglie Franca Ciccolo Fabris. Ed anche Renzo, purtroppo colpito da una grave malattia, desiderava che Bruno assumesse quell’incarico.
Così è capitato di rivederci più frequentemente sia ai Colloqui di Camaldoli, sia agli incontri del SAE ( Segretariato attività ecumeniche) alla Mendola, dove mi aveva sollecitato a partecipare Miriam, la persona con la quale poi mi sono unito in matrimonio. Faceva parte di quel nucleo di persone ebree, che ha coltivato la laicità e la necessità del dialogo con gli altri, anche con i “nemici”e che partecipavano assiduamente a quegli incontri, ne ricordo alcuni: Amos Luzzatto, Laura Voghera, Lea Sestieri, David Bidussa, Stefano Levi Della Torre. Personalmente da loro ho imparato molto!
E’ stato grazie a Bruno che Amos Luzzatto ha accettato di fare l’introduzione al libro da me curato: “Il pregiudizio antisemitico. Una ricerca intervento nella scuola”. ed. Franco Angeli, 1999. E’ stato grazie anche a lui che in quel libro ho cercato di riassumere in modo chiaro le vicende tragiche dello sterminio ebraico e delle responsabilità di chi sapeva, ma non ci credeva abbastanza, quindi rimuoveva la tragedia. Il suo piccolo e denso libro, “La Shoah” (1998) mi ha aiutato molto, come anche le letture e le riflessioni, che prima ho ricordato, sul pregiudizio antisemitico di Cesare Mannucci. Bruno mi ha aggiunto la sua storia personale di ebreo scampato alla Shoà. Nel periodo più cupo della storia d’Italia e d’Europa, nel settembre del 1943, quando gli arresti, gli eccidi e le deportazioni degli ebrei si intensificano, il padre Emanuele già scomparso improvvisamente nel ’41 a soli 51 anni, Kathleen, la madre di Bruno lavora per le case editrici Domus e Mondadori a Milano grazie alle sue competenze linguistiche, madrelingua tedesca, di padre irlandese padroneggia tre lingue: italiano, inglese e tedesco. Riceverà un indirizzo di Ascoli Piceno della famiglia di origine di una dirigente e collega della casa editrice Domus che la convincerà ad intraprendere un viaggio difficile con Laura e Bruno, i suoi due figli, munità di documenti falsi, attraverso le linee del fronte presidiato dai tedeschi per raggiungere le forze alleate al sud. Fu poi una famiglia di uno scalpellino anarchico, Romeo De Amicis che fu determinante per la sopravvivenza della famiglia Segre ad Ascoli, liberata dagli anglo-americani un anno dopo, nel giugno 1944. ( vedi, Che razza di ebreo sono io, (ed. Casagrande 2016).
Con Bruno è stato entusiasmante organizzare gli incontri cittadini con le delegazioni di studenti ed insegnanti del Villaggio. Al centro Stensen di Firenze riempivamo le sale e animavamo il dibattito. Lui tenace traduttore degli interventi, dall’inglese in italiano e viceversa, lo faceva spesso da solo. Arrivava fino in fondo agli incontri, chiedeva la sostituzione solo quando proprio gli emisferi cerebrali andavano in ebollizione!
Memorabile per me l’incontro a Firenze dell’Ottobre 2001, lo avevamo preparato un paio di mesi prima, quando piombò su tutti noi l’11 settembre, fu lui a darmi la notizia per telefono dell’attentato alle Torri gemelle di New York.
Sull’onda di quel tragico epocale avvenimento le richieste di partecipazione dalle scuole si moltiplicavano di giorno in giorno e con padre Brovedani, il responsabile dello “Stensen”, abbiamo dovuto purtroppo far rinunciare alcuni gruppi di studenti. Non era ancora praticato il collegamento streaming a distanza.
Nella prima parte degli anni 2000, quando avevo un contratto di docenza nel Corso di laurea “ Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti” abbiamo lavorato insieme per realizzare una convenzione tra l’Università di Firenze e l’Associazione degli Amici di Névé Shalom – Italia. Questa formalizzazione ci ha consentito di mandare studenti e studentesse al Villaggio a svolgere un’attività che è loro valsa come tirocinio ed in alcuni casi ha costituito la base per le loro tesi di laurea. Ma soprattutto hanno potuto immergersi in una realtà dove non puoi vivere nella tua “zona di conforto” e ti devi aprire, ascoltare chi ha un’altra storia dalla tua e ricercare i suoi richiami in te.
Così come ricordo con piacere il lavoro che abbiamo animato insieme, con l’aiuto di di un gruppo affiatato, tra cui Moni Ovadia, per invitare il coraggioso rabbino americano riformato e radicale Michael Lerner di Berkeley ( California) a Firenze e a Milano nel 2005, responsabile della rivista di cultura ebraica “Tikkun”, fondata sul confronto con persone di culture e provenienze diverse.
Ma cio che mi preme ricordare è che lo stile di Bruno emergeva proprio nei momenti critici, nelle fasi di difficoltà. Lì vedevi la persona persuasa che il conflitto, se condotto sulla base dell’ ascolto attivo, del rispetto dell’altro, anche se non giunge a breve scadenza ad una sua risoluzione, lascia qualcosa di germinativo nel metodo adottato dai soggetti in lotta tra loro, che in qualche modo può fare risonanza nel tempo.
Nel giugno del 2007, dopo ripetuti sforzi di dialogo, decise di lasciare, dopo sedici anni, l’associazione e la carica di presidente di Amici di Névé Shalom / Wahat as Salam – Italia perché non vedeva più la nitidezza di quella ricerca di equilibrio tra le parti: la componente palestinese ed ebraica nel Villaggio, la scommessa, il “sogno” di Bruno Hussar, che lui aveva fatto suo con passione e ragione. Con rammarico lasciò l’incarico, ma quei contenuti espressi, quel dialogo con altri amici che avevano idee diverse dalle sue è restato, non ha guastato i rapporti tra le persone, anzi le argomentazioni, gli esempi, la ricerca di trasparenza nelle relazioni tra la componente ebraica e palestinese per la pace attiva sono stati riferimenti importanti per chi ha proseguito. Poi da più di un anno Bruno aveva ripreso a partecipare alle riunioni dell’Associazione e lo ha fatto volentieri perché, me lo diceva: “ieri, oggi, domani essere uomini significa saper dialogare con gli avversari e il Villaggio, nonostante le difficoltà, continua a ricercare questa strada”. Mi aveva inviato il link del bel documentario- filmato sulla storia del Villaggio a cura di Maayan Schwartz, la figlia di una coppia storica della comunità: Children of Peace ( 2022) . Oggi invece acquista spazio in epoca di conflitti armati, programmati a tavolino, la logica distruttiva amico-nemico e viene diffuso il verbo che la corsa senza freni al riarmo paga e bene!
L’attenzione ad Israele è testimoniata nel libro antologico di scritti “Israele, la paura, la speranza” ( Garamond ed. 2014) che coprono un arco temporale di più di quarantennio ( 1970-2014). Nelle diverse vicissitudini storiche fino agli eventi più recenti si è schierato con i gruppi e i movimenti che lottano per proteggere la democrazia in Israele, con J.Call Europa- Italia, con Giorgio Gomel e le numerose iniziative. Ricordo quella a 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni nel 2017 a sostegno di un appello dell’organizzazione SISO ( Salva Israele, Ferma l’occupazione) firmato da 500 persone e personalità israeliane rivolto a tutti gli ebrei della diaspora per la fine dell’occupazione dei Territori di Cisgiordania. Venne a Firenze ad una riunione organizzativa a cui la famiglia Treves dette ospitalità.
Sempre nel libro autobiografico sopra ricordato “Che razza di ebreo sono io” Bruno dialoga con Alberto Saibene in questa lunga intervista ed emerge un amore per la laicità appassionato che non vuole cedere alla logica delle identità monolitiche. Anche qui Bruno sa esprimere un’autonomia di giudizio che da ebreo sa criticare l’espansione del potere religioso nella sfera dei diritti civili e politici sia in Israele, sia nel nostro paese dove ancora scorge l’ombra lunga dei Patti lateranensi nelle nuove Intese sia con la Chiesa cattolica, sia anche con i dirigenti della Comunità ebraica. Anche se vede nelle coraggiose decisioni di Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, il tentativo di superare antiche barriere.
Un confronto dei più difficili è espresso nel dialogo: “Il funerale negato” (2020, ed. Una Città) dove, all’indomani della proibizione della sepoltura della moglie non ebrea, Matilde, deceduta nel 2018, nella tomba di famiglia del piccolo cimitero ebraico di Monticelli di Ongina (Piacenza) da parte delle autorità ebraiche di Parma, cerca di spiegare le radici di un clericalismo che porta a quelle decisioni divisorie. Solo il rabbino di Roma Riccardo Di Segni risponderà alla sua lettera, alla quale Bruno invierà una replica, che non riceverà risposta. Qui ho visto Bruno soffrire, non poteva non rispondere a quel divieto che ha colto di sorpesa lui e la sua famiglia. Ci ha messo tutte le sue forze, mi chiedeva informazioni sulla vicenda dell’amica Sara Cerrini Melauri di Firenze, sposata con Tullio Melauri alla quale non è stata consentita la sepoltura nel cimitero ebraico di Caciolle dove riposa il marito, poiché non ebrea. Ed anche in questa circostanza, giunto quasi al novantesimo anno, ha cercato il dialogo affrontando alla radice la questione del rapporto tra laicità e religione, a partire dalla realtà dei matrimoni misti.
Non posso non ricordare il periodo Covid e il forzato isolamento che anche lui ha dovuto attraversare, sempre con il sollecito aiuto dei suoi figli. Dovevamo vederci proprio quel 5 marzo del 2020, un appuntamento programmato. Mi telefonò un paio di giorni prima e poi, ancora, a poche ore dalla partenza, per sconsigliarmi di venire: quella notte fu estesa la zona rossa a tutta l’Italia! Ci siamo rivisti quasi un anno dopo! Ed anche nell’isolamento, e dopo la crisi Covid, si è sempre reso disponibile a suggerire spunti per la mia attività di docente ed anche per i nostri giovani figli Davide ed Emanuele, entrambi impegnati nella musica (un’ espressione artistica vitale per lui e per la moglie Matilde ed anche per i figli Vera, Emanuele ( chitarrista) e Lia (violista barocca) e per Giordano, neo studente di Architettura al Politecnico di Milano che alloggiava vicino a casa sua e con cui ha avuto dialoghi incoraggianti.
Questo mio ricordo vada ai figli Vera, Emanuele e Lia, ai nipoti, agli amici ed amiche di Bruno e a quelli che nelle più svariate forme lo hanno conosciuto.