A chi ha finito le parole,
a chi le insegna nelle scuole.
A chi inventa quelle nuove,
a chi le sente e si commuove.
A chi le trova nel cassetto,
a chi le butta sotto il letto.
A chi le usa per odiare,
a chi sa far innamorare.
A chi le dice per ferire,
a chi parla per guarire.
A chi ci gioca per pensare,
a chi ci gode a provocare.
A chi coltiva le parole,
come fosser delle aiuole.
A chi pensa che il coraggio
debba uscire dal linguaggio.
A chi spera che il domani
ci ritrovi un po’ più umani.
A chi crede, in onestà,
all’uomo che migliorerà.
Le parole, anche amare,
son condizioni per pensare.