Quando un ragazzo muore davvero, come Igor Maj, 14 anni, a giusta ragione ci si chiede se sarebbe stato possibile evitarlo, e forse una risposta non esiste.
Non ricordo chi ha scritto che quando una spiegazione non c’è si può sempre raccontare una storia. Ne ho incontrate due, recenti.
Il primo fatto è di qualche anno fa, riguarda l’incendio del vagone di un treno. Una vecchia carrozza in attesa di riparazioni, parcheggiata su un binario vecchio, diventata rifugio per tossici e coppiette, su cui un giorno un gruppetto di adolescenti pensa di accendere un fuoco per mangiarsi le giuggiole calde. Lo capiamo, vero, quanto è stupido bruciare un treno per scaldarsi le giuggiole. Il fuocherello non prende, allora la mente del gruppo versa l’intera bottiglia di alcol acquistata al supermercato dal compagno braccio e la fiamma finalmente risponde, si diffonde il fumo, sembra di non respirare più. Chi tenta di fermare l’incendio, chi scappa dalla parte giusta, chi da quella sbagliata e si trova imbottigliato rischiando parecchio – queste differenze ci parlano di ogni ragazzo più del fatto in comune di essere stati lì. Il come, più del cosa.
Anche l’avvio dei fatti ha sempre un senso: chi ha proposto la sfida, chi c’è entrato per voglia, chi per noia, o per non sembrare un codardo, o per sentirsi del gruppo benché qualche lieve svantaggio nello sviluppo lo abbia spesso tenuto ai margini. Adolescenti, entrano nel rischio in tanti tutti insieme ma non tutti per lo stesso motivo. Domande differenti si quietano nella medesima risposta, in quanto estrema.
Nel processo in corso al tribunale per i minorenni li abbiamo messi alla prova per il danno procurato, vale a dire che abbiamo sospeso il dibattimento e concordato un progetto educativo che sta lasciando il segno. Solo la mente ha scelto il rito abbreviato e ha ottenuto un esito processuale più rapido e indolore, agli occhi dei compagni è il più fortunato, per me che li guardo è andata molto meglio a loro. Chi ha svolto un volontariato con i disabili ne ha fatto oggetto della tesina di maturità, molto apprezzata dalla commissione; chi era sempre stato trattato come l’ultimo ha aiutato i bambini di un centro educativo a fare i compiti, non gli pareva vero che tutti chiedessero a lui che a scuola non si era mai sentito un granché, sarà anche per questo che lui pure ha superato l’esame di maturità in modo dignitoso.
Un altro mi dice: “è passato parecchio tempo dal fatto al processo e io non ci pensavo neanche più… anche perché non sapevo cosa aspettarmi. Avevo sentito dire tante cose, potevano esserci conseguenze gravissime oppure nessuna. Non valeva la pena farsi domande. Quando mi hanno proposto la messa alla prova ho avuto paura di non farcela” (a proposito di sfide lanciate agli adolescenti) “e invece ho visto che non è niente d’impossibile, basta andare avanti un giorno dopo l’altro. Ogni volta che vado al centro a fare i lavori socialmente utili mi ricordo di quello che ho fatto e capisco che devo pensarci prima di fare una cosa. Anche i miei mi ripetono sempre che devo scegliere bene i miei amici. Insomma, in un certo senso è stata una fortuna questo progetto perché sono diventato un’altra persona, non ho più la testa che avevo prima”.
Quasi tutti in estate si sono cercati un lavoretto, “do i soldi ai miei che mi hanno pagato l’avvocato, tra un po’ potrebbe arrivare anche la richiesta di risarcimento, il danno l’ho fatto io, non è giusto che paghino loro”.
Il secondo incontro mi ha colpita di più, forse perché l’ho capito di meno. Anche questo ragazzo è alla prova, per un reato brutto, di violenza nel web verso una ragazza. “Quel periodo è stato il più brutto della mia vita”, mi dice nell’udienza di verifica. E scopro che un mese o due prima della denuncia gli era successo tutt’altro, era entrato con altri in una fabbrica abbandonata e un amico era salito su una finestra e poi era scivolato, era caduto giù. “Abbiamo avuto paura che fosse morto, è stato terribile, non sapevamo più come fare. Ci ha detto qualcosa, era ancora vivo, provava anche a scherzare. Volevo aiutarlo a alzarsi ma ha cominciato a dire che non si sentiva più le gambe. Un po’ più in là c’era una luce accesa, siamo corsi a dire che il nostro amico si era fatto male e loro hanno chiamato un’ambulanza…”.
Il ragazzo rimasto a terra è in sedia a rotelle anche adesso, il nostro ha reagito nel migliore dei modi. “Gli sono stato vicino ma non solo i primi mesi, anche adesso. Suo papà mi ha insegnato a fargli fare i gradini con la sedia a rotelle, così possiamo andare in centro a girare oppure a casa di qualche amico anche se non c’è l’ascensore”.
Ritorno a farlo parlare del reato che ha commesso verso quella ragazza e inesorabilmente mi dice che in fondo, anche lei, aveva le sue brave responsabilità. Il solito vizio di dare la colpa alla vittima. Non capisco.
Ti era appena successa una cosa simile, eri accanto al tuo amico che stava soffrendo, lo sapevi cos’è star male. Sapevi anche, bene, quello che stavi facendo, me lo hai detto tu, la ragazza veniva presa in giro da tutti per la reputazione che le avevano affibbiato e ti dispiaceva, le volevi bene, e nonostante questo continuavi a tormentarla, a chiederle soldi… ma chi sei?
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