Ora che la vicenda del bambino Alfie si è conclusa (seppur nel peggiore dei modi), qualche riflessione sul caso, che tanto clamore ha destato, la si può fare.
Premetto che non entro nel merito (non avendone titolo nè conoscenze specifiche) delle delicate e complesse questioni giuridiche e sanitarie. E ovviamente non voglio dire una sola parola sull’aspetto più intimo, quello familiare, del rapporto tra madre, padre, figlio e dell’aspetto religioso.
Parlo solo di quel poco che so, avendolo letto sulla stampa, e solo per l’aspetto generale della questione, che mi interessa, al di là della specifica vicenda.
Il tema è: ma perchè il Papa (ricevendo in udienza privata i genitori), il Governo italiano (concedendo in via urgente e privilegiata la cittadininza italiana), tanta parte dell’opinione pubblica (e della stampa), si interessano della salute e della vita di un singolo bambino (sottinteso: bianco e cattolico), mentre si disinteressano della vita di milioni di bambini (sottinteso, neri e musulmani) esposti al rischio di morte a causa delle guerre, delle immigrazioni forzate, della malnutrizione, ecc.? Non c’è una vena di razzismo, di doppia morale, di madornale sproporzione in tutto questo?
Mentre riflettevo su questo mi è venuto in mente un episodio della nostra storia nonviolenta.
Aldo Capitini diventò vegetariano nel 1932, in pieno regime fascista e mentre cominciavano a soffiare venti di guerra: non fu un caso perché la decisione era parte della sua opposizione al clima di sopraffazione in atto e a quanto si preparava ad avvenire; era infatti sua precisa convinzione che, se si fosse imparato a non uccidere gli animali, a maggiore ragione si sarebbe risparmiata l’uccisione di uomini: il vegetarianismo come conseguenza della scelta di non uccidere, e ogni suo pasto alla mensa della Normale diventa un comizio efficace e silenzioso, un’affermazione della nonviolenza in opposizione alla violenza.
In Capitini, ne sono certo, non c’era il benchè minimo dubbio. Non metteva in contrapposizione la vita di un maiale con quella dei milioni di morti che sarebbero venuti con il secondo conflitto mondiale. Anzi, era convinto che risparmiando la vita di quel maiale (simboleggiato dal prosciutto nel piatto) si sarebbe capito quanto valesse, ancor più, la vita di milioni di persone minacciate dalla guerra. Questa era la sua speranza. Rispettare un singolo animale per salvare il nostro prossimo.
Penso che lo stesso ragionamento possa essere applicato alla scelta fatta da Papa Francesco: dandosi da fare per aiutare i genitori e il piccolo Alfie (anche contro ogni logica medica), si può forse capire quanto ci si debba impegnare per salvare ogni singola vita dei tanti, troppi, bambini che subiscono l’ingiustizia della guerra, delle immigrazioni forzate. Ma c’è di più: dando un nome preciso ad un bambino da aiutare, Alfie Evans, ci si abiutuerà a dare un nome, e quindi un volto, una storia, alla moltitudine dei bambini bisognosi di aiuto; personalizzare il prossimo è necessario per uscire dall’anonimato della massa, che anestetizza i singoli drammi da cui è formata.
Non si devono mettere in contrapposizione i morti. Non si deve fare la conta dei morti, su questo piatto uno, sull’altro piatto un milione. Qui, davvero, uno vale uno. E, si può aggiungere, bisogna tentare di salvarne uno per salvarne dieci, cento, mille.