La rassegna, con mostre, laboratori e dibattiti, era centrata sui temi dell’energia, della terra e della pace. La domenica in particolare si è svolto un convegno-dibattito sulle conseguenze delle guerre sul clima, sull’ambiente e sugli esseri viventi. E’ su quest’ ultimo tema che concentrerò la mia sintetica esposizione.
Si è iniziato con l’interessante relazione di Elena Comino, del Centro Studi “Sereno Regis” di Torino, sull’impatto ambientale delle guerre. La nuova era geologica che stiamo vivendo potrebbe ben chiamarsi “Anthropocene”, ovvero un’epoca caratterizzata ormai da tempo da un alto impatto dell’uomo sul pianeta . Da anni l’umanità sta vivendo al di sopra dei limiti delle risorse della Terra, con conseguenze che si stanno delineando in modo sempre più drammatico (l’effetto-serra, l’impoverimento del suolo, i cambiamenti climatici, le isole di plastica oceaniche…). La relatrice ha posto l’accento sull’aumento dei conflitti sulle risorse, ovvero di quelle situazioni conflittuali che s’innescano a causa dei tentativi di accaparramento delle risorse da parti di Stati, coalizioni di Stati o potenti gruppi extrastatali (i grandi gruppi economico-finanziari, le enormi aziende multinazionali). Terreno di contesa è quello energetico (petrolio e gas), quello dell’estrazione dei minerali, ma sempre di più anche quello dell’acqua, dell’accaparramento delle terre e delle biodiversità. Il tragico circolo vizioso messo in moto dalla guerra è paradossale: si vogliono conquistare delle risorse, si fa la guerra, con la quale si distruggono tantissime risorse e quindi in futuro, con il venir meno delle risorse, si farà una nuova guerra per depredarle. E così di continuo, fino forse all’esaurimento delle risorse. Se non viene invertita la rotta.
Nel successivo intervento Emanuela Corregia ha parlato dell’intreccio fra scienza chimica e guerra, facendo l’esempio dell’agente orange, il defoliante usato su larga scala dall’esercito USA in Vietnam. In qualche modo è una guerra all’ambiente quella che viene portata avanti con i prodotti chimici in agricoltura, così come nelle guerre la tecnologia degli armamenti. Perché sono stati usati e vengono usati proiettili ad uranio impoverito? Perché più “penetranti” e perché sono residui di cui bisogna sbarazzarsi.
Dopo c’è stata la toccante testimonianza di un profugo ghanese che lavorava in Libia e che allo scoppio della guerra ha cercato di fuggire ed è sopravvissuto a due traversate, prima di arrivare in Italia e poi in Sardegna, dove ora lavora in una comunità agricola.
Infine si è parlato della lotta, sia giudiziaria che civile e popolare contro le basi militari in Sardegna.
Mariella Cau di “Gettiamo le basi”, dopo aver messo in risalto che il 60% delle basi militari italiane sono situate sul suolo sardo, ha voluto ricordare che presso il tribunale di Lanusei è iniziato un processo che vede per la prima volta come imputati di disastro ambientale i generali, i vertici dell’apparato. Tuttavia, dopo i tanti tentativi d’insabbiamento, ora chiaramente ci sono manovre per allungare i tempi ed arrivare alla prescrizione del reato. L’uso criminale dell’uranio impoverito nelle esercitazioni non è la sola causa d’inquinamento ambientale e della diffusione di leucemia e linfomi fra i militari e fra gli abitanti delle zone limitrofe: durante le sperimentazioni di armi vengono rilasciati nell’ambiente i micidiali torio, arsenico e mercurio, autentici veleni. L’oratrice ha sottolineato la commistione fra la lobby militare e quella scientifica. Anziché dismettere e bonificare la ormai famigerata base del Salto di Quirra, il governo sta pensando di riqualificarla, chiamandola Distretto Aereospaziale Sardo (DAS) e dandole un “dual use”, militare-civile. Il 13 dicembre ci sarà una grande manifestazione a Cagliari per fare precise richieste al Presidente della Regione.
Al termine della prima relazione mi è stata data la parola per spiegare al numeroso pubblico (non meno di cento persone) i motivi e la sostanza della nostra campagna UN’ALTRA DIFESA E’ POSSIBILE. Il che fortunatamente è stato proficuo, poiché al termine dei lavori abbiamo preso dei contatti e disponibilità di collaborazione alla raccolta delle firme da associazioni di tre diversi comuni del Sulcis-Iglesiente.
La giornata si è conclusa con un pranzo comunitario, utile per rinverdire vecchie amicizie e fare nuove conoscenze. Ma anche per darci calore e affetto, assieme al sogno di non avere più basi di morte, con la consapevolezza che il sogno, per quanto difficile, sta diventando sempre più un obiettivo concreto, con il coinvolgimento di parti non trascurabili della popolazione, soprattutto nei paesi prossimi ai poligoni. Il 13 dicembre a Cagliari ne avremo forse un primo riscontro.
Carlo Bellisai
Immagine tratta da ilfaroonline.it