Pubblichiamo in anteprima l’editoriale del direttore, Mao Valpiana.
Diffondere l’odio o l’amore
con pensieri, parole e opere
La grande responsabilità della comunicazione
“Sta mano po esse fero e po esse piuma: oggi è stata ‘na piuma”, disse er Principe (Mario Brega) a Mimmo (Carlo Verdone) dopo aver fatto un’iniezione alla Sora Lella nell’indimenticabile frammento del film Bianco Rosso e Verdone. Così la tastiera che tutti noi utilizziamo quotidianamente può digitare parole d’odio o parole d’amore.
Il guaio è quando dei giornalisti professionisti sparano titoli d’odio che creano onde che vanno lontano. Il limite tra libertà d’opinione e reato è chiaro e inequivocabile: lo strumento normativo utilizzato per contrastare penalmente il discorso d’odio è l’art. 604 bis del Codice Penale che punisce la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Vi è anche la Legge Mancino del 25 giugno 1993, n. 205, che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
Il dubbio può venire se sia meglio ignorare chi vuole deliberatamente “provocare” o se si debba ogni volta ricorrere alla repressione (dando spazio e visibilità agli odiatori professionisti).
Il fenomeno è noto e in crescita. Si urla, si offende, si ingiuria negli studi televisivi, come nella carta stampata e nei post sui social media. L’odio corre, e poi trova sempre chi lo mette in atto sconfinando dalla parola alla violenza fisica.
Alcuni titoli sono divenuti virali, quasi un marchio di fabbrica per quotidiani come Libero, il Giornale, Il Tempo, La Verità, e le loro firme di grido (d’odio): Sallusti, Belpietro, Feltri, Senaldi, volti noti continuamente invitati nelle trasmissioni e nei dibattiti, come se avessero cose intelligenti da dire. Un breve campionario: Dopo la miseria portano malattie, Ecco la malaria degli immigrati, Bastardi islamici, Arrivano 8mila galeotti, Abbiamo liberato un’islamica. I bersagli di costoro sono intere categorie (immigrati, rom, gay) o singole persone, con netta preferenza per donne impegnate: Cécile Kyenge, Laura Boldrini, Carola Rackete, Greta Thunberg, Silvia Romano, Virginia Raggi, Maria Elena Boschi. Ricordo anche il caso di Greta e Vanessa, le due ragazze italiane rapite in Siria e poi liberate, accolte dal titolo Undici milioni di balle per liberare le pacifesse. Queste cose non vanno tollerate. Male fa l’Ordine dei giornalisti a non deferire al Consiglio di Disciplina i responsabili. Esistono le Carte Deontologiche dei giornalisti, che devono essere fatte rispettare. Ma forse il punto è che costoro non sono giornalisti, ma professionisti dell’odio, militanti politici, opinionisti del nulla.
Ma per fortuna esistono anche veri giornalisti, che svolgono la professione con onore e capacità, per far emergere la verità, per migliorare la società, per fare del bene. Mi piace segnalare che il Premio Colombe d’oro per la pace 2020 dell’Archivio Disarmo, è stato assegnato a Nello Scavo, giornalista di Avvenire, autore di clamorose inchieste, tra cui quella sulla trattativa Italia-Libia in materia di immigrazione che ha coinvolto anche trafficanti di esseri umani (vive sotto scorta a seguito delle minacce ricevute da parte di un trafficante libico); Antonio Mazzeo, blogger e giornalista freelance, che si è occupato della militarizzazione del territorio in Sicilia e del ruolo della criminalità organizzata nell’edificazione di opere dannose per l’ambiente; Francesca Nava, che su The Post Internazionale, è stata la prima giornalista a indagare sull’epidemia di Covid 19 a Bergamo e sulle drammatiche conseguenze della mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e a Nembro.
Dice Nello Scavo: “Un giornalismo di pace deve raccontare i conflitti. Il nostro dovere non è solo esserci, ma essere «voce di chi non ha voce», concedere agli «ultimi della fila» almeno il diritto di parola”. La sua penna non è de fero, ma de piuma.
IL DIRETTORE
Azione nonviolenta, 5 – 2020 (Anno 57, n. 641)
Sommario:
Numero monografico su “Parole e atti d’odio”
Editoriale di Mao Valpiana, Diffondere l’odio o l’amore, con pensieri, parole e opere
In questo numero:
Diffondere l’odio o l’amore con pensieri, parole e opere, di Mao Valpiana; L’individualismo è peggio della morte, quando dalle parole si passa ai fatti, di Daniele Lugli; Si può insegnare a non odiare?, di Gabriella Falcicchio; Quando sei oggetto di parole d’odio, di Elena Buccoliero; Da odiatrice sui social ora sono diventata odiata, di Beatrice D’Auria; La parola che cura sgorga dal silenzio, di Guidalberto Bormolini; Il razzismo invisibile che coinvolge tutti, intervista a Oiza Q. Obasuyi a cura di Daniele Taurino; Linguaggi che feriscono fino ad eliminare l’altro, diaologo con Federico Faloppa a cura di Giovanni Accardo; La violenza del giustizialismo che sdogana l’odio dei giusti, di Vera Gheno; Delegittimare il nemico, negargli il diritto di parola, di Raffaella Petrilli; Donna nera, uomo bianco tra razzismo e sessismo, di Barbara Giovanna Bello; Lo strapotere dei social media: tecnologia e denaro in poche mani, di Carlo Gubitosa; Carta di Roma o “carta straccia”?, di Adil Mauro; Una cultura tossica: se non odi non esisti, di Benedetta Pisani.
Rubrica: RODARIANA/5
Fare la pace senza la guerra. Rodari e la parola che cambia il mondo, di Vanessa Roghi
In copertina: Parole e atti d’odio
In seconda di copertina: Sommario
In terza di copertina: 2021
In quarta di copertina: L’ultima di Biani
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