• 21 Novembre 2024 13:33

Azione nonviolenta – Dicembre 1998

DiFabio

Feb 8, 1998

L’argomento
LISTA D’ONORE DEI PRIGIONIERI PER LA PACE 1998

UNA CARTOLINA E UN BOLLO PER LA PACE

COMPIE 50 ANNI

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI ADOTTATA
DALL’ASSEMBLEA GENERALEnDELLE NAZIONI UNITE

TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI ED UGUALI IN DIRITTI E DIGNITA’

I DIRITTI UMANI SULLA CARTA
a cura di Matteo Soccio

CANTARE LA DEMOCRAZIA CON LA LINGUA STRAPPATA
Silvana Valpiana Poli

I DANNI DELLO SVILUPPO E I DANNI DELL’URAGANO
Marzio Marzorati

VENDUTI, LEGATI, TORTURATI, COSTRETTI AL LAVORO SERVILE
a cura di Gabriele Colleoni

IL GENOCIDIO E LA FRATELLANZA CRESCONO CON I BAMBINI

Obiezione
NON C’E’ PACE PER L’OBIEZIONE DI COSCIENZA

Pianeta India
KRISHNAMURTI, UN INNOVATORE DELLA TRADIZIONE INDIANA
Claudio Cardelli

Il fucile spezzato
ONORE AI SOLDATI UCCISI DALLA GUERRA E DALLA STORIA
Enrico Peyretti e Sandro Canestrini

I DIRITTI UMANI DEI 200 MILIONI DI SCHIAVI
Venduti, legati, torturati, costretti al lavoro servile

a cura di Gabriele Colleoni

Secondo Antislavery International di Londra, la più antica società impegnata nella lotta alla schiavitù, ancor oggi almeno 200 milioni di persone sono ridotte in condizioni di servitù. Può sembrare incredibile nell’epoca della santificazione del libero mercato, ma tra le tante piaghe antiche che l’umanità si trascinerà oltre le soglie del millennio ci sarà ancora quella del lavoro servile. “Quasi tutti pensiamo che la schiavitù sia stata eliminata già nel secolo scorso, ma non è vero, anzi il problema è ben lungi dall’essere risolto”, ci spiega José de Souza Martins, sociologo dell’Università di San Paolo in Brasile e dal 1996 uno dei cinque consiglieri speciali del segretario dell’Onu, Kofi Annan, per la lotta contro lo schiavismo.

Nel 1993 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), ha riconosciuto l’esistenza nel mondo di più di sei milioni di persone in condizioni servili: venduti come merce e, non di rado, costretti a lavorare attraverso la tortura. Poi per arrivare ai duecento milioni censiti dalla Antislavery International, occorre considerare anche le decine di milione di persone ridotte in cattività per motivi culturali o etnici. È il caso delle popolazioni soggiogate da etnie dominanti come avviene ancora in Sudan, Mauritania, Camerun, Ciad e altri Paesi africani.

Professor Martins, perché nell’ “era della globalizzazione” continua a sussistere un fenomeno così “antico” come il lavoro schiavo?

“Non solo sussiste, ma persino si moltiplica, così come prendono nuovo vigore forme culturali che molto spesso non sono direttamente relazionate allo sfruttamento del lavoro. È il caso ad esempio della prostituzione infantile praticata in molti Paesi di diversi continenti: bambini e bambine venduti e comprati come fossero animali. In Cina, invece, c’è la compravendita di spose, fatto quasi sempre legato a tradizioni culturali molto forti. La politica di controllo della natalità ha comportato un certa diffusione della pratica dell’infanticidio e di conseguenza una carenza di donne giovani. Sono gli stessi genitori a vendere le figlie che hanno un buon prezzo”.

Che dimensioni quantitative assumono e quali sono le forme moderne di queste schiavitù?

“Sono varie le forme, dal commercio di spose e bambini ricordati, diffuso in Asia, alla schiavitù per indebitamento, molto presente in India ed ancora su piccola scala in Brasile ed in America Latina. Antislavery International considera come una forma di schiavitù anche la situazione delle domestiche in Paesi come l’Inghilterra: quasi sempre straniere, fatte venire dai padroni, anch’essi stranieri ricchi, private dei documenti, e pertanto di qualsiasi riconoscimento civile e dei loro diritti. La più antica società antischiavista che ha alle spalle 150 anni di vita, lavora come noi all’Onu sull’ipotesi che siano 200 milioni le persone sottomesse a qualche forma di cattività. Solo in India si stima in circa 55 milioni il numero di bambini sottoposti a questo regime. Purtroppo, come ha riconosciuto lo stesso segretario Kofi Annan, mentre celebriamo i 50 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la situazione in quest’ambito rimane davvero drammatica”.

Quali ne sono le principali cause?

“Sono diverse. In taluni casi soprattutto culturali (il caso della stessa India, dello Sri Lanka, della Mauritania o del Sudan) che però sono state rinvigorite dalla situazione economica creatasi in seguito alla globalizzazione. In altri casi sono eminentemente economiche come nelle situazioni di peonagem. E vi sono anche cause politiche: in Mauritania, c’è una secolare dominazione di un gruppo etnico sull’altro. Nel Sudan la guerra ha acuito il predominio etnico di un gruppo sull’altro, e alimenta lo schiavismo”.

Nel parlare di cause, lei ha citato anche la internazionalizzazione dell’economia, ma che rapporti si concilia questa spinta alla massima liberalizzazione dei mercati (e quindi anche della manodopera) con il permanere dello schiavismo?

“La globalizzazione economica ha introdotto un ingrediente perverso nella situazione: economie povere e lavoratori ugualmente poveri devono sottomettersi a forme violente di sfruttamento del lavoro per restare competitivi con la produttività di impianti ultramoderni, oppure adeguarsi al loro ritmo e ai loro costi. È questo che fa prevedere un un serio aggravamento del problema a breve termine. Oltre a questo, chi produce cose che stanno per passare alla produzione di tipo industriale, per sopravvivere deve abbassare i prezzi dei suoi prodotti, portandoli a valori non più sufficienti ad assicurare la sopravvivenza, ad esempio, dell’agricoltore e della sua famiglia. Insomma, si tratta di una catena di cause”.

Un capitolo particolarmente doloroso è quello che riguarda i bambini e i ragazzi costretti al lavoro servile. Spesso, tuttavia, lavoro minorile, sfruttamento del lavoro infantile e schiavitù finiscono con l’essere la stessa cosa almeno per una gran parte dell’opinione pubblica. Ma le tre cose probabilmente richiedono strategie di approccio e di soluzione diverse. Quali sono le sue opinioni in merito?

“Certo, occorre fare una distinzione. Comunque, anche in situazioni che possono essere definite come legali e corrette (e per le quali perciò non si può parlare di schiavitù) il lavoro infantile resta un fatto abominevole e rappresenta un vero processo di mutilazione dei corpi e delle coscienze a detrimento delle possibilità e delle speranze di un essere umano libero, felice, allegro com’è un bambino. Per mezzo del lavoro infantile, la società intera si mutila e finisce nel terrore dell’insicurezza, della vita che non vale niente, come si vede in Paesi come il Brasile. Ovviamente c’è anche il lavoro schiavo infantile, come abbiamo visto in India e anche il alcune aree del Brasile negli ultimi decenni, e non di rado con la complicità dei genitori. Ogni caso va trattato separatamente. Ma i governi e le società civili, anche quelli che dicono di non aver niente a che fare con questo fenomeno, hanno gravi responsabilità per la mancanza di un progetto di speranza per le nuove generazioni”.

Con che strategie l’Onu sta affrontando questa “ferita” ai diritti umani?

“I problemi di cui parliamo non sono stati creati dal capitalismo, ma sono stati utlizzati e rinvigoriti da questo sistema economico finalizzato a produrre ricchezza e benessere nei Paesi metropolitani e, al tempo stesso, miseria e sofferenza nelle antiche colonie. Le preoccupazioni di cui abbiamo parlato e altre ancora dovrebbero orientarci tutti verso un grande movimento sociale a favore di limiti concreti ai profitti spropositati, alla voracità economica, alla disoccupazione, alla mancanza di futuro per tutti e soprattutto per le nuove generazioni. La ricerca del profitto a qualunque prezzo ha trasformato il capitalismo in uno strumento di tortura collettiva e di sacrificio umano molto più grave di tutti gli spaventosi olocausti che la storia contemporanea ha conosciuto. Resta da chiedersi: perché? In nome di che cosa? E la dignità umana, e i nostri valori etici, il diritto alla vita, nostro e dei nostri figli, dove vanno a finire?

30 ARTICOLI PER DARE DIGNITA’ AD OGNI PERSONA

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

I trenta articoli di cui si compone sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. Vi si proclama il diritto alla vita, alla libertà e sicurezza individuali, ad un trattamento di uguaglianza dinanzi alla legge, senza discriminazioni di sorta, ad un processo imparziale e pubblico, ad essere ritenuti innocenti fino a prova contraria, alla libertà di movimento, pensiero, coscienza e fede, alla libertà di opinione, di espressione e di associazione. Vi si proclama inoltre che nessuno può essere fatto schiavo o sottoposto a torture o a trattamento o punizioni crudeli, disumani o degradanti e che nessuno dovrà essere arbitrariamente arrestato, incarcerato o esiliato.

Vi si sancisce anche che tutti hanno diritto ad avere una nazionalità, a contrarre matrimonio, a possedere dei beni. a prendere parte al governo del proprio paese, a lavorare, a ricevere un giusto compenso per il lavoro prestato, a godere del riposo, a fruire di tempo libero e di adeguate condizioni di vita e a ricevere un’istruzione. Si contempla inoltre il diritto di chiunque a costituire un sindacato o ad aderirvi e a richiedere asilo in caso di persecuzione.

Molti paesi hanno compendiato i termini della Dichiarazione entro la propria costituzione. Si tratta di una dichiarazione di principi con un appello rivolto all’individuo singolo e ad ogni organizzazione sociale al fine di promuovere e garantire il rispetto per le libertà e i diritti che vi si definiscono. Gli stati membri delle Nazioni Unite non furono tenuti a ratificarla (la dichiarazione non essendo di per sé vincolante), sebbene l’appartenenza alle Nazioni Unite venga di norma considerata un’accettazione implicita dei principi della Dichiarazione.

Va sottolineato che in base alla Carta delle Nazioni Unite gli stati membri s’impegnano ad intervenire individualmente o congiuntamente, per promuovere il rispetto universale e l’osservanza dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali . Questo è un obbligo di carattere legale. La dichiarazione rappresenta un’indicazione autorevole di che cosa siano i diritti umani e le libertà fondamentali.

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

Preambolo

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;
Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’eguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni,
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama la presente Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

DICHIARAZIONE

Articolo 1

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2

1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico internazionale del paese o del territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

Articolo 3

Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 4

Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.

Articolo 5

Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti.

Articolo 6

Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

Articolo 7

Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

Articolo 8

Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.
Articolo 9

Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

Articolo 10

Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale gli venga rivolta.

Articolo 11

1) Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.

2) Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetuato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà deI pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.

Articolo 12

Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

Articolo 13

1) Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2) Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Articolo 14

1 ) Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

2) Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Articolo 15

1) Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.

2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Articolo 16

1) Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.

2) Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.

3) La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Articolo 17

1) Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri.

2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

Articolo 18

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Articolo 20

Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.

2) Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione.

Articolo 21

1) Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.

2) Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.

3) La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve sere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

Articolo 22

Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo 23

1) Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

2) Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3) Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4) Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Articolo 24

Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Articolo 25

1) Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2) La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo 26

1 ) Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

2) L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

3) I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

Articolo 27

1) Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.

2) Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.

Articolo 28

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

Articolo 29

1 ) Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

2) Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

3) Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

Articolo 30

Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati.

10 DICEMBRE 1948 – 10 DICEMBRE 1998
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie 50 anni
A cura di Matteo Soccio

Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti umani. A quella storica votazione parteciparono i rappresentanti di 58 Paesi. Ricordare quell’evento richiede oggi di non limitarsi ad una semplice e scontata commemorazione celebrativa, bensì di dare un contributo alla conoscenza della Dichiarazione, alla sostanza delle sue enunciazioni, richiamare alla memoria, soprattutto per i più giovani, le vicende e le radici culturali che costituirono gli antecedenti di quell’evento. Nostro obiettivo è quello di provocare una riflessione ed una discussione informata e competente su un testo che costituisce una pietra miliare nella storia del diritto internazionale, in quanto riteniamo non abbia ancora esaurito tutte le sue potenzialità, e si presenti più che mai aperto verso il futuro.
Promulgata a ridosso della seconda guerra mondiale, quando le ferite e le lacerazioni prodotte da quel conflitto erano ancora vive e brucianti, la Dichiarazione mette l’accento, con forte incisività, sulla necessità storica di coniugare insieme “pace e diritti dell’uomo”.
Nel ribadire l’importanza di questa carta si possono riprendere le osservazioni a suo tempo espresse da Norberto Bobbio: “Non so se ci si rende conto sino a che punto la Dichiarazione universale rappresenti un fatto nuovo nella storia in quanto per la prima volta nella storia un sistema di principi fondamentali della condotta umana è stato liberamente ed espressamente accettato, attraverso i loro rispettivi governi, dalla maggior parte degli uomini viventi sulla terra. […] La Dichiarazione universale dei diritti umani può essere accolta come la più grande prova storica, che mai sia stata data, del consensus omnium gentium circa un determinato sistema di valori”.
Ripercorrendo a ritroso la storia del pensiero giuridico, gli studiosi identificano primi possibili indizi di problematiche connesse ai “diritti umani” tra le pieghe di testi antichi. Sono in molti ad attribuire una delle più remote attestazioni all’ Antigone, la famosa tragedia sofoclea della metà del V secolo a.C. Il conflitto che lacera la protagonista della tragedia eponima, fino a condurla alla morte piuttosto di rinunciare ai suoi principi etici, è appunto quello che oppone la coscienza con le sue “leggi non scritte” alle leggi della polis. E’ la contrapposizione tra gli affetti e i sentimenti più umani (come la pietà verso i propri morti) e la legge dei potenti esecrabile in quanto contraria ai valori morali più sentiti(nello specifico, la legge di Creonte, che vieta ad Antigone di seppellire il fratello e di fronte alla sua disobbedienza la punisce con la morte).
Se Antigone rappresenta un archetipo mitologico, in tempi a noi più vicini è possibile trovare enunciazioni di prime rudimentali prefigurazioni di affermazione dei “diritti umani” in testi storicamente attestati, come la Magna Charta del 1215, la Petition of Rights del 1628, il Bill of Right del 1689, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti del 1776 e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789.
La Dichiarazione del 1948 è stata definita un “atto anomalo, di portata storica”. Essa infatti enuncia i principi di base per il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Gli organismi internazionali, in particolare l’ONU, nella loro attività legislativa, hanno lavorato negli anni successivi affinché i diritti dell’uomo fossero sanciti dal diritto internazionale e successivamente, attraverso varie convenzioni, diventassero norme di diritto interno di ogni singolo stato. L’”anomalia” della Dichiarazione consiste proprio nel fatto che pur avendo forma giuridica, non è legge degli Stati. Ha rappresentato un evento di portata storica, ma sarebbe potuta restare una enunciazione di buona volontà. Grazie all’alto e generalizzato riconoscimento morale di cui gode, ratificata da molti Stati, è diventata diritto interno degli stessi.
Il tema dei “diritti umani” ha trovato un’efficace cassa di risonanza in alcuni fenomeni di costume ed in trasformazioni della società civile che dall’Occidente si sono poi propagate in tutti i continenti. Pensiamo alle trasformazioni sociali indotte dalla contestazione studentesca del ‘68 e parallelamente a quella “rivoluzione pacifica” dei costumi e del modus vivendi rappresentata dal movimento delle donne, a partire dagli anni ‘60 e ‘70. A queste potremmo aggiungere le lotte per i diritti civili delle popolazioni di colore e delle minoranze etniche in genere e la lunga battaglia contro l’apartheid in Sudafrica. Sono fenomeni di ampia portata che inducono modifiche profonde nella società civile, alterando o addirittura infrangendo definitivamente tradizioni e retaggi culturali vecchi di secoli. Si può datare da questi anni il riconoscimento, almeno a livello di enunciazione, dei “diritti delle donne”, grazie anche ad una sempre più diffusa presenza femminile attiva e partecipe nella società e nella politica. Ricordiamo la lotta in tutto il mondo dei “resistenti alla guerra” per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza contro il servizio militare obbligatorio, l’impegno della cooperazione internazionale per affermare concretamente il diritto allo sviluppo dei popoli poveri della terra, il riconoscimento dei diritti dei bambini, dei malati, degli anziani, dei lavoratori, dei disoccupati, dei cittadini stranieri, delle minoranze religiose, etniche e linguistiche, ecc. ecc. E tra i diritti rivendicati con più forza recentemente: il diritto all’ambiente sano, alla qualità della vita e a una città sana, sicura e giusta. Tutti diritti ignorati al tempo della Dichiarazione universale del 1948.
La Dichiarazione del ‘48 ha esercitato, di fatto, una funzione precettiva, nel senso che tutti gli Stati del mondo hanno recepito da subito, almeno formalmente, la necessità di rispettare i diritti umani come momento irrinunciabile per appartenere alla “comunità internazionale”.
Inoltre essa ha aperto una strada nella quale si può procedere ma non retrocedere. Giustamente è stato detto che “è solo l’inizio di un lungo processo di cui non possiamo vedere ancora l’attuazione finale”. Le acquisizioni degli ultimi anni e la maturazione della coscienza civile hanno dimostrato eloquentemente che l’area di pertinenza dei “diritti” è in continua espansione: si aggiungono sempre “nuovi diritti” e categorie di soggetti sociali bisognosi di tutela.
Come, con quale spirito, con quali aspettative possiamo oggi accostarci a questa Carta, a cinquant’anni dalla sua promulgazione e mentre ci si avvia a varcare la soglia del terzo millennio? E’ certamente legittimo limitarsi ad una lettura celebrativa ed acritica, magari interrogandosi sulla sua validità ed attualità. Ma è sicuramente più proficuo, partendo dalla Dichiarazione, rilevarne le possibili integrazioni, gli aggiustamenti, soprattutto sul versante dei cosiddetti “nuovi diritti” o diritti della quarta generazione. Si tratta di fenomeni che negli ultimi decenni hanno messo in seria difficoltà alcuni paesi del vecchio continente, costringendoli a riaprire il “fronte” della tutela dei diritti umani. Il riferimento è, in primis, alle grandi migrazioni dei popoli poveri verso quelli più ricchi, con conseguenti pressioni demografiche di forte entità e problemi che in una società ormai multietnica costringono a riformulare i concetti di libertà religiosa, libertà di coscienza, libertà di cultura e di informazione, ecc. Su questo versante la Dichiarazione del 1948 conserva intatta la sua modernità ma richiede nel contempo di essere aggiornata per poter veramente far fronte ai problemi posti dalla cosiddetta “globalizzazione”.

PER UNA BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
I Diritti Umani sulla carta
(a cura di Matteo Soccio)

1. Opere introduttive.

AA.VV., Dei diritti dell’uomo, Comunità, 1952, 402 p.

AA.VV., Valori e diritti umani, Gregoriana, 1990, 189 p.

AA.VV., Bibliografie di pace: raccolta bibliografica sui temi della pace, dei diritti umani, della cooperazione internazionale, Regione del Veneto, 1995, 156 p.

CASSESE Antonio, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, 1994. X, 159 p.

CIAURRO Luigi, Introduzione ai diritti umani: a cinquant’anni dalla Dichiarazione Universale, ECP, 1998, 125 p.

COMPAGNONI Francesco, I diritti dell’uomo, San Paolo, 1995, 326 p.

DANUVOLA Paolo – MONACO Franco, Diritti umani, Piemme, 1995, 171 p.

DE CAPRARIIS Vittorio, Le garanzie della libertà, Il Saggiatore, 1996, 265 p.

Educare alla pace. I diritti umani nel mondo contemporaneo, Esperia, 1998, 320 p.

DRERUP Anne (a cura di), Il tempo dei diritti: piccolo ‘ideario’ per l’educazione ai diritti umani, ECP, 1996, 128 p.

GALTUNG Johan, I diritti umani in un’altra chiave, Esperia, 1997, 239 p.

GERIN Guido (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’ uomo: 40° anniversario, CEDAM, 1991, 58 p.

GILIBERTI Giuseppe, I diritti umani. Un percorso storico, Loescher,1997, 183 p.

PACINI Andrea (a cura di), L’Islam e il dibattito su diritti dell’uomo, Fondazione Agnelli, 1998, 240 p.

RODOTÁ Stefano, Libertà e diritti in Italia, Donzelli, 1997, 143 p.

2. I FONDAMENTI

2.1 Filosofia dei diritti umani

AA.VV.,Teorie etiche contemporanee, Bollati Boringhieri, 1990, 272 p.

ARISTOTELE, La politica, Laterza, 1993, 147 p.

AYER Alfred J.(a cura di), Saggi sulla tolleranza, Il Saggiatore, 1990, 194 p.

BOBBIO Norberto, L’età dei diritti, Einaudi, 1990, 252 p.

BOBBIO Norberto, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Comunità, 1984, 241 p.

BOBBIO Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, 1984, 167 p.

BOBBIO Norberto, Il terzo assente, Sonda, 1989, 236 p.

CASSESE Antonio, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, 1994, 159 p.

CAPOGRASSI Giuseppe, Diritti umani, in Opere, vol. V, Giuffrè, 1959, 543 p.

CICERONE, Delle leggi, Zanichelli, 1982, 210 p.

CICERONE, Dello stato, Zanichelli, 1970, 324 p.

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2.2 Il diritto internazionale dei diritti umani

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3. I DIRITTI SANCITI DALLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE (1948)

3.1 Diritto alla vita

“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.” (art. 3)

AA. VV., La pena di morte nel mondo, Marietti, 1983, 258 p.

Amnesty international, Stragi impunite: omicidi politici e sparizioni negli anni ’90, Sonda, 1994, 110 p.

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TETTAMANZI, Dionigi, Bioetica: difendere le frontiere della vita, Piemme, 1996, 632 p.

3.2 Diritto all’integrità fisica

“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti.”
(art. 5)

AMNESTY INTERNATIONAL, Tortura anni ‘80, Studio Tesi, 456 p.

BERTINETTO Maria – NOVARINO MASSIMO, Tortura, Gruppo Abele, 1989, 48 p.

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TODOROV Tzvetan, Di fronte all’estremo, Garzanti, 1992, 305 p.

3.3 Diritto alla sicurezza

“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. (art. 3)

“Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato , dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità” (art.22)

Anders Günther, Stato di necessità e legittima difesa: violenza sì o no.Una critica del pacifismo, ECP, 1997, 79 p.

Difesa e protezione civile, Centro Eirene, 1987, 104 p.

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MANZOCCHI Carla, Il vizio della guerra: alle radici dei nuovi conflitti, Edizioni Associate, 1992, 230 p.

3.4 Diritto all’ uguaglianza

“Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà […]senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione[…]”.(art. 2)

“Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge[…]” (art. 7)

AA.VV., Il dilemma della cittadinanza: diritti e doveri delle donne, Laterza, 1993, 262 p.

AA.VV., Lo straniero, ovvero l’ identità culturale a confronto, Laterza, 1992, 177 p.

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BASTIDE Roger, Noi e gli altri: i luoghi di incontro e di separazione culturali e razziali, Jaca Book, 1990, 361 p.

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DELLE DONNE Marcella (a cura di), Relazioni etniche stereotipi e pregiudizi: fenomeno immigratorio ed esclusione sociale, EdUP, 1998, 550 p

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DONINI Pier Giovanni, Le minoranze, Jaca Book, 1998, 96 p.

DONNARUMMA Anna Maria, Guardando il mondo con occhi di donna, Editrice Missionaria Italiana, 1998, 351 p.

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ZARELLI Eduardo, Un mondo di differenze, Arianna, 1998,112 p.

3.5 Diritto alla giustizia

“Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge[…]”(art. 7)

“Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge. ” (art.8)

“Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato” (art.9)

“Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale[…]” (art.10)

“Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa[…]”(art.11)

BELLINO Francesco, Giusti e solidali: fondamenti di etica sociale, Dehoniane, 1994, 255 p.

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WOLGAST Elizabeth H., La grammatica della giustizia, Editori Riuniti, 1991, 240 p.

3.6 Diritto alla libertà

“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”(art. 3)

“Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma” (art.4)

“Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione[…]” (art.12)

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.” (art.13)

ARON Raymond, Delle libertà, SugarCo, 1990, 215 p.

ATRIPALDI Vincenzo, Il catalogo delle libertà civili nel dibattito in Assemblea Costituente, Liguori, 1979, 332 p.

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3.7 Diritto all’autonomia della vita privata

“Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione[…]” (art. 12)

ALPA Guido, La disciplina dei dati personali: note esegetiche sulla legge 31 dicembre 1996 n. 675 e successive modifiche, SEAM, 1998, 286 p.

DI GIOVANNI Carolina, La privacy, Il Sapere, 1997, 256 p.

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3.8 Diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione[…]”.(art. 18)

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione[…]” (art.19).

AA.VV. Libertà di pensiero e mezzi di diffusione, CEDAM, 1992, 124 p.

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3.9 Diritto di riunione e associazione

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica. Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione”(art. 20)

MASCIA, Marco, L’associazionismo internazionale di promozione umana, CEDAM, 1992, 300 p.

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TOMAI B., Associazionismo, volontariatoe nuova cittadinanza sociale, CENS, 1991, 136 p.

3.10 Diritto di partecipazione alla vita pubblica

“Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese. La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione”(art. 21).

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ZUCCHETTI Alberto, La partecipazione del cittadino nelle autonomie locali, Giuffré, 1992, 466 p.

3.11 Diritto al lavoro

“Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente[…]. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi[…]” (art. 23).

BIAGI M. – SUWA Y.(a cura di), Il diritto dei disoccupati , Giuffré, 1996, 644 p.

LANZAVECCHIA Giuseppe, Il lavoro domani: dal taylorismo al neoartigianato, Ediesse, 1996, 172 p.

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3.12 Diritto all’istruzione

“Ogni individuo ha diritto all’ istruzione[…] L’ istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[…]” (art. 26).

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VERTECCHI Benedetto, La qualità dell’istruzione, Loescher, 1979, 160 p.

3.13 Diritto all’assistenza

“Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, […] alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà […].”(art. 25).

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3.14 Diritto di proprietà

“Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri […]” (art. 17).

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3.15 Diritti sociali ed economici

“Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato , dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.” (art. 22).

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3.16 Diritto all’ordine sociale e internazionale

“Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.” (art. 28).

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PICONE P.(a cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, CEDAM, 1995, XVI, 578 p.

PINESCHI Laura, Le operazioni delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, CEDAM, 1998, 284 p.

3.17 Diritto d’asilo

“Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni[…]” (art. 14).

ANSALDO Marco, Né tetto né legge: l’odissea dei profughi, Limina, 1997, XI, 193 p.

NAZIONI UNITE. ALTO COMMISSARIATO PER I RIFUGIATI, I rifugiati nel mondo 1997-98: esodi di popolazione: un’emergenza umanitaria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1997, X, 301 p.

TRAVI Sergio (a cura di), Il sale della terra: i rifugiati e il diritto d’asilo, ECP, 1997, 117 p.

TRIER Jean, L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, SEI, 1995, 64 p.
3.18 Diritto al tempo libero

“Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.” (art. 24).

CORBIN A. (a cura di), L’invenzione del tempo libero (1850-1960). Laterza, 1996. 592 p.

DUMAZEDIER Joffre, Sociologia del tempo libero, Angeli, 1987, 256 p.

GASPARINI Giovanni, Il tempo e il lavoro, Angeli, 1990, 184 p.

IOVANE Andrea – PALA Francesco, Lavoro salariato e tempo libero, Angeli, 1977,116 p.

MEUCCI Mario, Mansioni, studio, tempo libero dei lavoratori, Giuffré, 1984, 276 p.

MOTHE Daniel, L’utopia del tempo libero, Bollati Boringhieri, 1998, 92 p.

TOTI Gianni, Il tempo libero, Editori Riuniti, 1975, 370 p.

VOLPI Claudio, Tempo libero tra mito e progetto, ERI, 1976, 404 p.

3.19 Diritto d’autore

“[…] Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.” (art. 27).
CHIMENTI Laura, Lineamenti del nuovo diritto d’autore: direttive comunitarie e normativa interna, Giuffrè, 1997,
498 p.

GALTIERI, Gino. La protezione internazionale delle opere letterarie e artistiche e dei diritti connessi, CEDAM, 1989, XII, 278 p.

GHIDINI G. – QUATTRONE M.F.(a cura di), Codice del copyright: il diritto d’autore fra arte e industria, Giuffrè, 1995, 768 p.

JARACH Giorgio, Manuale del diritto d’autore, Mursia, 1991, 480 p.

VARRONE Claudio, Manuale del diritto d’autore, Editoriale scientifica, 1991, 324 p.

3.20 Diritto di cittadinanza

“Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza…”(art. 15).

AA.VV., Immigrati, non cittadini? Angeli, 1990. 193 p.

BARBALET J. M., Cittadinanza: diritti, conflitto e disuguaglianza sociale, Liviana, 1992, 157 p.

BONAZZI Tiziano – DUNNE, Michael, Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Il Mulino, 1994, 312 p.

CUNIBERTI Marco, La cittadinanza, Cedam, 1997, 536 p.

DONATI P. – SGRITTA G. (a cura di), Cittadinanza e nuove politiche sociali, Angeli, 1993, 248 p.

GROSSO Enrico, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, CEDAM, 1997, XII, 328 p.

MAURI L. – MICHELI G. A. (a cura), Le regole del gioco. Diritti di cittadinanza e immigrazione straniera, Angeli, 1992, 240 p.

OLIVETTI RASON N. – STRUMENDO L.(a cura di), Il difensore civico: tutela e promozione dei diritti umani e di cittadinanza, CEDAM, 1997, VIII, 240 p.

PENSOVECCHIO Maria Cristina, La cittadinanza europea: i diritti dei cittadini dell’Unione europea, 1994, 172 p.

ZINCONE Giovanna, Da sudditi a cittadini, Il Mulino, 1992, 324 p.

3. 21 I diritti dell’ infanzia

“La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale”(art.25).

BADALONI Piero, Il libro dei diritti dei bambini, Gruppo Abele, 1991, 127 p.

CENDON Paolo, I bambini e i loro diritti, Il Mulino, 1991. 397 p.

FARACI Giuseppe, Ragazzi di frontiera, EMI, 1990, 159 p.

Il libro dei diritti dei bambini, Sonda, 1991, 142 p.

LODI Donata – MICALI BARATELLI Chiara (a cura di), Una cultura dell’infanzia, NIS, 1997, 175 p.

LODI, Mario, I diritti del bambino, dell’uomo e della natura, Sipiel, 1991, 193 p.

MORO Alfredo Carlo, Il bambino è un cittadino. Conquista di libertà e itinerari formativi. La Convenzione dell’ONU e la sua attuazione, Mursia, 1991, 333 p.

O’GRADY Ron, Schiavi o bambini? Storie di prostituzione infantile e turismo sessuale in Asia, Gruppo Abele, 1995, 110 p.

Violazioni dei diritti dei bambini, Gruppo Abele, 1995, 230 p.

Giustizia negata ai contadini indigeni

Sedici anni dopo che almeno 10 contadini indigeni sono stati uccisi a sangue freddo in Guatemala, semplicemente a causa di ciò che erano e di dove vivevano, la discriminazione che ha contribuito al massacro sta ancora impedendo ai parenti di ricevere giustizia. Nelle prime ore del 22 novembre 1982 un gruppo di soldati e di forze ausiliarie civili che agivano sotto il comando militare arrivò a Tululché, un paese della provincia di Chiché, nel dipartimento di El Quiché. La pattuglia riunì tutti gli uomini e li condusse al campo da calcio del villaggio. Poi furono letti i nomi di almeno 10 uomini, che furono giustiziati di fronte agli altri. I loro corpi furono seppelliti nelle vicinanze. Ci vollero 10 anni perché i resti potessero essere riesumati per stabilire ufficialmente la causa della morte. La cura legale delle investigazioni su questo e altri casi di violazioni dei diritti umani commessi ai danni di contadini indigeni in Guatemala, è un lucido esempi delle barriere incontrate da parenti, testimoni e avvocati che cercano di ottenere giustizia. Nel maggio1997 una corte assolse il commissario militare che secondo quanto dichiarato, avrebbe guidato l’attacco di Tuluché. Egli fu accusato di aver commesso più di 150 crimini, tra i quali 35 esecuzioni extragiudiziali, sequestri, torture e stupri nella sola area di Tuluché. Poco dopo la decisione della corte, la Missione di Verifica inviata dall’ONU espresse preoccupazioni per le gravi irregolarità procedurali nel processo, tra le quali il trattamento discriminatorio al quale furono sottoposti i testimoni dell’accusa, la maggioranza dei quali erano donne indigene, alle quali furono negati degli interpreti, e l’assenza di garanzie nella raccolta delle prove, non giustificata da alcun motivo. Inoltre, testimoni oculari del massacro e avvocati che si occupavano del caso furono soggetti a intimidazioni, maltrattati e minacciati di morte. Da allora, il caso è stato segnato da ulteriori ritardi e gravi irregolarità procedurali. Le esecuzioni extragiudiziarie di massa, come quelle commesse a Tuluché, hanno causato decine di migliaia di vittime nel territorio del Guatemala durante il conflitto armato durato 36 anni. La maggioranza delle vittime era costituita da contadini indigeni, eliminati solo perché vivevano in aree bersaglio della strategia militare anti insurrezionale denominata “scorched earth” (terra bruciata), che aveva lo scopo di negare ogni sostegno locale ai guerriglieri, attraverso razzie di intere aree, l’eliminazione di intere comunità, la distruzione di raccolti e bestiame. A seguito dell’accordo di pace tra governo e l’opposizione armata, nel dicembre 1996 furono compiuti sforzi limitati per portare di fronte alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani; tuttavia ancora oggi i contadini indigeni, parenti delle vittime, che intentano delle cause affrontano grossi ostacoli nei tribunali del Guatemala. Molto spesso è loro negata la possibilità di disporre di interpreti durante il processo o sono minacciati di violenza o addirittura di morte per convincerli ad abbandonare il caso.

DIRITTI UMANI IN GUATEMALA
Cantare la pace con la lingua strappata

di Silvana Valpiana Poli

Padre Clemente Pencleu Navichoc è un sacerdote guatemalteco indigeno, di etnia maya quichè. Incontrandolo il mese scorso, P. Clemente ci ha parlato della propria esperienza personale, della cultura maya, della situazione politica nel Guatemala oggi.

Egli proviene dalla comunità di S. Perdo Jocopilas, a circa 1200 m. di altezza, con un “pueblo” di 30.000 abitanti, molti dei quali sparsi per le “aldeas”, villaggi poveri e sperduti nella foresta. Questo paese è stato colpito tragicamente, durante i 36 anni di dittature e di guerra interna, da una violentissima repressione, che in parte ancora continua. Padre Clemente, 42 anni, da 12 prete, e parroco da 5 anni, porta viva in sé la spiritualità maya, con le sue tradizioni, riti, modi di pensare. E’ stato difficile e doloroso per lui adattarsi allo studio della filosofia occidentale, della lingua spagnola, e riunire in sé concetti diversi e intraducibili, ma il punto di incontro fra le diverse spiritualità avviene in Cristo. “Mia nonna, sacerdotessa maya, diceva che Gesù Cristo era un sacerdote maya”. Gli indigeni sono poveri, non considerati, hanno sofferto 500 anni di conquiste, perseguitati anche da un cristianesimo che portava prima la spada che la croce, e soffocava il vero spirito di Cristo. La guerra e le persecuzioni recenti in Guatemala sono state tremende, ed hanno provocato 50.000 vedove, 150.000 “desaparesidos” (profughi), 1.000.000 di famiglie distrutte, 1.500.000 assassinati; solo in S. Pedro Iocopilas sono stati assassinati e gettati in fosse comuni 13 catechisti: “La chiesa era stata trasformata in luogo di tortura; al fratello di Pedro Camins ( il marito di Rigoberta Menchù) furono strappati gli occhi, la lingua, le unghie, prima di farlo morire; ai bambini mangiarono addirittura il cuore; tolsero i figli dal ventre delle madri, e li schiacciarono con pietre.” Recentemente, l’assassinio di Monsignore Gerardi, ucciso dopo aver pubblicato il rapporto “Nunca mas” (mai più !) – ora tradotto e stampato dalla diocesi di Brescia – ha richiamato l’attenzione su tutto ciò, ma, ugualmente, solo 20 giorni fa a S. Pedro sono stati uccisi 2 catechisti, e lo stesso Padre Clemente è già stato minacciato di morte per 3 volte. Come cercare vie di riconciliazione, in una situazione simile, con un popolo che ancora oggi soffre per la mancanza di cibo, per l’analfabetismo, per la mancanza di abitazioni? Il governo, ancora adesso, è sostanzialmente nelle mani dei militari, e il potere economico è tenuto da pochi ricchi, e dalle multinazionali. Ma la richiesta di giustizia è più forte del potere, non cerca vendetta, ma riconciliazione. C’è bisogno di riconciliazione con sé stessi -molti furono costretti ad ammazzare i propri familiari- e con gli altri : “Che cosa si può dire ad una donna, ministro dell’Eucarestia, quando l’assassino di suo marito le si presenta per ricevere la comunione ?”.

In Guatemala non c’è solo violenza, c’è speranza di pace, di amore, c’è fede, e i bambini devono poter tornare a sorridere. Padre Clemente ci ha presentato un progetto in cui si prevede la preparazione di catechisti e di gruppi musicali: “è importante che i giovani compongano e cantino canzoni sulla pace”.

MAESTRI DEL PENSIERO INDIANO / 10
Krishnamurti, un innovatore della tradizione indiana

di Claudio Cardelli

Filosofo e mistico, Krishnamurti ha saputo accogliere la tradizione del pensiero indiano e rielaborarla in forma moderna e originale.

Egli vuole che l’uomo esplori la propria “vastità” interiore, ma nello stesso tempo possa attingere l’unità del mondo interiore, e del suo fondamento eterno, invulnerabile all’angoscia e alla morte.

La grande scoperta del pensiero indiano è la consapevolezza della presenza nella nostra interiorità (atman) di quell’unico spirito (Brahman) che anima l’universo. Non ha senso affermare “Dio esiste”, e lasciare immutata la propria condotta; ma occorre camminare ogni giorno verso la liberazione da qualsiasi chiusura, rendendo Dio reale in mezzo a noi.

La vita

Jiddu Krishnamurti, ottavo figlio di una modesta famiglia, nacque nel 1895 a Madanapallle nell’india meridionale, fra Madras e Bangalore. Appena quindicenne fu introdotto nella Società teosofica da Annie Besant, la direttrice, e da C.W. Leadbeater, che ne avevano notato l’innata saggezza e il particolare carisma. La Società teosofica si occupò della sua educazione e di quella del fratello Nitya, al quale Jiddu era intensamente legato: i due fratelli nel 1911 furono portati in Inghilterra a frequentarvi i migliori collegi.

Nello stesso anno al Besant fondò l’ordine internazionale della Stella d’oriente, nominandone presidente lo stesso Krishnamurti: l’associazione avrebbe dovuto preparare l’umanità intera all’avvento del “Maestro del mondo”, che veniva indicato nel giovane indiano, oggetto di un autentico culto da parte dei numerosi membri della Società.

In seguito alla morte prematura del fratello (avvenuta nel 1925), Frishnamurti attraversò un periodo di acuta crisi e di rinnovamento interiore, che lo portò a un approfondita riflessione fuori da ogni condizionamento culturale e religioso. Nell’agosto del 1929 in Olanda, alla riunione annuale della Società teosofica, il giovane filosofo rinunciò pubblicamente al ruolo di guida spirituale, che egli sentiva come una sorta di prigione: “Io sostengo che la Verità è una terra irraggiungibile, e che non potete accedere a essa attraverso nessun sentiero, nessuna religione, nessuna setta.

Nel momento in cui avrete compreso questo, vedrete come non è possibile organizzare una fede. La fede è una cosa strettamente individuale, e non potete e non dovete organizzarla. Se lo fate essa muore, si cristallizza, diventa un credo, una setta, una religione da imporre agli altri”.

Dopo essersi dimesso dalla Società teosofica, si dedicò alla ricerca filosofica e pedagogica, e tenne conferenze in tutto il mondo, portando il proprio messaggio di libertà intellettuale e di amore alla vita. Fondò anche istituzioni educative in India, Inghilterra e California, dove morì (a Ojai) nel febbraio del 1986.

Il messaggio

Il pensiero di Krishnamurti non è sistematico, ma ricco di osservazioni penetranti, che possono farci meditare sui temi cruciali della vita. Riporto ora alcune di tali riflessioni dal volume: La ricerca della felicità, Fabbri ed. (su licenza Rizzoli), Milano, 1997.

Il timore della morte.

Se non rifletti e comprendi autonomamente le implicazioni della morte, vagherai in continuazione de un predicatore all’altro,da una speranza all’altra, da una credenza all’altra, cercando di trovare una soluzione al problema della morte. Capisci? Non continuare a chiedere agli altri ma cerca di scoprire da solo la verità di tale questione.

Vedi, temiamo la morte soltanto quando ci aggrappiamo alla vita.

Comprensione del significato della morte. La morte è la mera cessazione della continuità e noi abbiamo pura di non poter continuare; ma ciò che continua non può mai essere creativo. Pensaci, scopri da solo ciò che è vero. E’ la verità che ti libera dalla paura della morte, e non le teorie religiose, né la credenza nella reincarnazione o nella vita dopo la morte (p. 240).

La Religione ? Non è nelle preghiere salmodiate, né nel compimento di un rito, né nell’adorazione di dèi di letta o immagini di pietra, non è nei templi e nelle chiese, né nella lettura della bibbia o della Bhagavadgita, non consiste nel ripetere un nome sacro o nel seguire qualche altra superstizione inventata dagli uomini. Nulla di tutto ciò è religione.

La religione è il sentimento di bontà, quell’amore che è simile a un fiume, vivo, eternamente in movimento. In quello stato scoprirete che arriva un momento in cui ogni ricerca cessa del tutto; e la fine della ricerca è l’inizio di qualcosa di totalmente differente. La ricerca di Dio, della verità., il sentirsi completamente buoni – non il coltivare la bontà e l’umiltà, ma il cercare qualche cosa al di là delle invenzioni e dei trucchi della mente, il che significa sentire quel qualcosa, vivere in esso, esserlo – quella è la vera religione (p. 173).

Una mente innocente.

La mente deve avere esperienze. Deve reagire a ogni cosa al fiume, all’animale ammalato,, al cadavere che viene portato via per essere bruciato, ai poveri contadini che trascinano i loro carichi lungo la strada, a i tormenti e ai dolori della vita – altrimenti è già morta; ma deve essere capace di reagire senza farsi imprigionare dall’esperienza. Ciò che fa invecchiare la mente è la tradizione, l’accumulazione dell’esperienza, le ceneri della memoria. La mente che muore ogni giorno ai ricordi del giorno prima, a tutte le gioie e ai dolori del passato, una mente simile è fresca, innocente, senza età; e senza tale innocenza, a dieci anni come a sessanta, non troverete Dio (p. 293).

DIRITTI UMANI IN NICARAGUA
I danni dello sviluppo e i danni dell’uragano

L’URAGANO MITCH IN NICARAGUA ha modificato il corso dei fiumi, annullato colline e foreste, non ci sono più case e strade. E’ cambiato il paesaggio di un paese, di tanti paesi, di un’intera regione. Quando si modificano i paesaggi cambia anche il nostro rapporto con il territorio, con la realtà, con quello che siamo. Esiste una necessità impellente: quella della solidarietà con le popolazioni colpite. Ma soprattutto da parte di Legambiente esiste l’interesse a significate le cause e le ragioni di questo disastro. Per farlo bisogna attivare la solidarietà diretta, aprire un collegamento attraverso un filo reale con paesi e popolazione.

Così è nata l’idea di aprire un Conto Corrente Nazionale Legambiente Solidarietà Nicaragua
C/C N. 7200/1 Agenzia 53 Cariplo Milano – ABI 6070 CAB 1787
che servisse alla raccolta fondi, così nasce l’idea di incontrare attraverso le relazioni associative della Legambiente un ponte con quel territorio così lontano e abbandonato. Quello che è successo nella gran parte dei paese centroamericani è fonte di preoccupazione e allarme. E’ necessario un cambiamento anche della politica ambientalista forse eccessivamente preoccupata degli aspetti conservazionistici. È necessario portare il cuore tra la gente per comprendere che il danno ambientale parte direttamente dal nostro stile di vita. Dalle economie di rapina perpetrate da sempre dai paesi ricchi. Leggere le cause sul territorio significa comprende le ragioni di problemi globali partendo dal presente e dalle cose che accadono (deforestazione, super produzione agricola, mal utilizzo delle risorse e dell’acqua e via dicendo). Questi paese ritenuti erroneamente da sempre in via di sviluppo sono ora in via di sopravvivenza, devono perciò badare solo a sopravvivere e per questo consumeranno le poche risorse a disposizione. Lo sviluppo non è più una linea retta sulla quale crescere ma l’insieme di piccoli segmenti che viaggiano per conto loro. La globalizzazione è una triste invenzione per annientare le differenze e la diversità, per giustificare altresì l’impossibilità di questa economia di dare risposte alla vita delle comunità umane e soprattutto alla crisi ambientale.

PARTIAMO DAL CONCRETO. Il Primo progetto presentato alla Legambiente per essere sostenuto è stato proposto dall’Acra (Associazione Cooperazione Rurale Africa e America Latina) di Milano. Si tratta di un progetto semplice e concreto per gli abitanti di Wiwilì che esisteva davvero e che visiteremo al più presto. Wiwilì è situato in un luogo dove è usanza affermare che “la vida no vale nada”, noi vorremmo che per un momento sia aperto un ponte, un piccolo passaggio che possa dare un nuovo significato al nostro impegno e alla nostra solidarietà. A WIWILI’ distante 290 chilometri dalla capitale Managua. Il paese travolto dalla furia delle acque e dalle numerose frane ha avuto 800 morti su una popolazione di 3.800 abitanti. Le notizie arrivano frammentare e imprecise, siamo ai limiti della frontiera agricola del paese, in uno dei lati più estremi del territorio del paese. Vogliamo sostenere questa popolazione attraverso l’invio dei primi aiuti d’emergenza (materiali sanitari, alimenti e coperte), la fornitura di materiali da costruzione per approntare i primi ricoveri e successivamente inviare le sementi per permettere lo sfruttamento dell’ultimo periodo della stagione agricola. Dobbiamo intervenire subito e la presenza di Simonetta Frangilli coordinatrice dell’ACRA a Manuagua ci permette di aver pienamente fiducia che gli interventi si realizzeranno rapidamente e concretamente.

L’iniziativa che propone Legambiente nasce dal desiderio di molti soci e socie che hanno visitato il Nicaragua, lo conoscono, conoscono i luoghi e molte delle persone che li ci vivono.

L’interesse di Legambiente è direttamente collegato alla necessità di significare che lo sconvolgimento ambientale sarà causa di ulteriori disastri e aumenterà la precarietà soprattutto dei territori più deboli e delle popolazioni più povere.

A QUESTO PROGETTO ci auguriamo possano collegarsi altri progetti, altre iniziative e soprattutto speriamo che il conto corrente si riempia di contributi da poter utilizzare. L’iniziativa quindi prende avvio da un primo progetto concreto ma si rivolge alle relazioni vicine e sensibili alla politica della nostra associazione per individuare altre opportunità che sia definite nel territorio e nelle azioni da realizzare. Sono così, dal poco che possiamo fare è possibile per la LEGAMBIENTE significare l’impegno e la solidarietà. Mantenere un filo concreto e diretto attraverso amici e amiche con le popolazioni centro americane, è questa una condizione di necessità per poter parlare di crisi ambientale e di politica ambientale.

Marzio Marzorati

Tel. Legambiente 02.7632885 Fax Legambiente 02.70638128 e-mail: mazio@legambiente.org

Simonetta Frangilli

ACRA – NICARAGUA Casilla postal 1545JN Bello Horizonte Casa T18 de la Iglesia Sangre de Christo 1 cuadra al lago, ½ cuadra a bajo

Tel. 00505.2.496176 Fax 00505.2.493954 e-mail: managua@una.org

LEGAMBIENTE SOLIDARIETA’ NICARAGUA
WIWILI’ – NICARAGUA ACRA – LEGAMBIENTE
La tragedia umana e ambientale del Nicaragua e dell’Honduras

Per una catastrofe annunciata, una solidarietà concreta per la prima ricostruzione

Wiwili’: un paese scomparso e distrutto tra le montagne del Nicaragua aiutiamo i 3.000 abitanti a sopravvivere nel fango ed a ricostruire il proprio futuro

Migliaia di morti e dispersi, centinaia di migliaia di senza tetto, interi paesi e villaggi cancellati dal panorama, raccolti persi, attività produttive disarticolate, centinaia di ponti e migliaia di chilometri di strade distrutti, intere e vastissime zone ancora isolate e prive di soccorsi, servizi di energia elettrica, acqua potabile e fognature spazzati via, epidemie incombenti. In questo quadro apocalittico, le stime delle perdite e dei danni provocati dall’uragano MITCH in Centro America appaiono, purtroppo conservatrici. Nei fatti, un’area centroamericana, vasta come un terzo dell’Italia, è stata totalmente distrutta. Ora c’è da aiutare centinaia di migliaia di persone nella dolorosa emergenza e subito dopo nella difficile ricostruzione di un futuro il più umano possibile. I gesti di solidarietà in questi casi devono essere i più urgenti, rapidi e mirati possibili. Proponiamo quindi un’azione mirata che andrà dalla prima emergenza alla ricostruzione di un paese rurale, purtroppo uno dei tanti, sparso e disperso tra la montagna del Nord del Nicaragua: Wiwilì.

WIWILI’: si trova nel nord del Nicaragua, distante 290 km. da Managua. L’accesso alla zona, ora totalmente distrutto ed inagibile ai mezzi, si trova su un tratto della panamericana fino a Jinotega, successivamente su una strada già abbastanza impervia prima del disastro. Questo territorio rurale è stato colonizzato circa 40 anni fa ed è tipico della “Frontiera agricola” della zona forestale del Nord del Nicaragua: 50% di area boschiva, 50% di area agricola destinata alla coltivazione di cereali e fagioli per l’autoconsumo, alla coltivazione del caffè e delle banane, al pascolo. Il clima è tropicale semi umido. L’allevamento bovino risulta essere l’attività agricola prevalente in una zona, che si combina con la coltivazione del caffè e dei grani basici. Nel territorio di Wiwilì prevalgono le piccole e medie imprese agricole a gestione familiare con un’estensione tra i 2 e gli 8 ettari. La zona, molto impervia, è stata teatro di conflitto militare negli anni 80 ed a causa del difficile accesso, è tra le più dimenticate per quanto riguarda gli aiuti ed i sostegni concreti.

I DATI SUL DISASTRO CAUSATO DALL’URAGANO.

Dalle prime notizie di “Medici senza Frontiere” che hanno raggiunto Wiwilì in elicottero, il paese e le comunità rurali sono stati travolti per intero dalla furia delle acque e delle numerose frane. Si parla di circa 800 morti su una popolazione di circa 3.800 abitanti. I sopravvissuti stanno vivendo ora nei boschi.

– Vogliamo portare un primo aiuto d’emergenza concreto (invio di materiali sanitari, alimenti, coperte e ricoveri d’emergenza)

– Vogliamo inviare materiali per la costruzione di primi ricoveri semi-temporanei (tetti in lamiera, legnami per costruzioni, ecc.)

– Vogliamo fornire sementi per sfruttare l’ultimo periodo della stagione delle piogge

– Vogliamo fornire generi alimentari di prima necessità nel periodo della stagione secca

– Vogliamo aiutare a ricostruire un primo tessuto sociale (una piccola scuola, un centro di salute)

– Vogliamo aiutare la Municipalità Locale ad essere punto di riferimento per gli abitanti della zona

COSA CI PREFIGGIAMO DI RACCOGLIERE PER IL “PROGETTO EMERGENZA WIWILI'”

– Per gli aiuti di prima emergenza (coperte e tende): 10 milioni

– Per i materiali per la costruzione di 170 ricoveri semipermanenti: 70 milioni

– Per l’acquisto di sementi per un primo raccolto a gennaio\febbraio: 4 milioni

– Per l’acquisto di generi alimentari di sostegno nel periodo della stagione secca (aprile\ottobre 99): 25 milioni

– Per la costruzione di una piccola scuola ed un centro di salute: 20 milioni

– Per sostenere le istituzioni della società civile e religiosa (la municipalità, la parrocchia e le associazioni agricole di categoria): 35 milioni.

La nuova legge e i nonsottomessi

In un precedente articolo avevamo analizzato la nuova legge sull’obiezione di coscienza, in vigore dal 15 luglio. Non ci eravamo però accorti di un cambiamento importante nella forma in cui verrà repressa la nonsottomissione: il processo, infatti, sarà non più davanti ad un tribunale militare bensì in un tribunale civile: dal pretore del luogo di assegnazione al servizio civile o militare. La seconda novità riguarda coloro che si dichiareranno nonsottomessi dopo aver richiesto ed ottenuto un servizio civile: subiranno un solo processo e non due come avveniva fino ad ora. Cosa cambia? Innanzitutto, per chi sceglieva di presenziare ai propri processi, verrà a mancare un confronto con la controparte più diretta: la magistratura militare. Non dubitiamo comunque che anche su quella civile ci siano sufficienti argomenti di contestazione. Inoltre, con il passaggio alla magistratura ordinaria sarà possibile (ma non automatico) che il pretore ordini la conversione in multa della pena. Da una parte si legittima l’esonero dalla naja civile e militare per chi può permetterselo (Già sono esonerati i “giovani imprenditori”), dall’altra si tende a dividere i nonsottomessi in base alle loro possibilità economiche. Per rifiutare questa possibile nuova prassi ci saranno due strade: il rifiuto di pagare la multa con conseguente pignoramento, oppure l’opposizione legale per farsi dare una condanna “normale”. In ogni caso occorrerà aspettare i primi processi per vedere come si comporteranno i giudici. In caso di procedimento “normale” (celebrazione del processo più condanna) c’è da aspettarsi un allungamento dei tempi rispetto alla media. In sostanza ci pare che il pericolo maggiore di queste novità sia la possibilità di ulteriore “burocratizzazione” della nonsottomissione, quasi si voglia ridurla a pratica amministrativa fra un individuo e lo stato, privandola di visibilità e del suo carattere di scelta politica ed, in prospettiva, anche collettiva. Occorrerà rifletterci meglio.
Obiezione totale: facciamo chiarezza

Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno diffuso la notizia che, “Per evitare la naia c’è un trucco: sborsare 4 milioni” (Il Giornale il 30.09.98), facendo credere che sia automatico e garantito, per un obiettore totale, ottenere la conversione della pena in una multa.

In realtà, perché vengano concesse queste condizioni particolarmente vantaggiose, è necessario che:

a) l’obiettore sia incensurato;

b) si dichiari obiettore per motivi di coscienza;

c) il PM chieda una pena non superiore ai 6 mesi;

c) il PM, su richiesta dell’obiettore, accetti di patteggiare e, quindi, dimezzi la pena che, nel complesso, non dovrà essere superiore ai 3 mesi.

La commutazione della pena in multa non sarà possibile se:

a) l’obiettore non sia incensurato;

b) il PM chieda una pena finale, anche a seguito di patteggiamento, superiore ai 3 mesi;

c) l’obiettore dichiari motivi politici e non di coscienza.

In questi casi rimane il rischio di una condanna penale e, per gli obiettori “politici”, anche quello di una pena detentiva uguale alla durata del servizio militare (10 mesi).

Inoltre, anche se si tratta di affermazioni ancora da verificare, il Sottosegretario alla Difesa, On. Brutti, sostiene che la sanzione penale sarebbe comunque trascritta, per ben cinque anni, sul certificato penale, nei casi in cui questo venisse richiesto dalla Pubblica amministrazione (ad esempio per concorsi).

Come si vede non si tratta di un’esonero facile e garantito, come sostenuto a fini allarmistici da “Il Giornale”.

Non va escluso, infine (come sostenuto dall’On. Brutti), un intervento del legislatore tendente ad alzare la pena minima prevista dall’art. 14 della Legge 230, al fine di impedire la concessione del decreto penale.

I DIRITTI DEGLI OBIETTORI NEL MONDO
Non c’è pace per l’obiezione di coscienza!

Spagna:

insumisos condannati per dichiarazioni contro l’esercito

Unai Molinero, Alberto EstefanÌa e Jose Ignacio Royo, tre nonsottomessi nella caserma di Bilbao, sono stati condannati a 61 giorni d’arresto nel centro Disciplinario della Caserma di Araka per aver infranto l’articolo 9.15 del Codice Disciplinare delle forze armate spagnole. I tre nonsottomessi avevano aderito alla nuova tattica messa a punto dalla MOC che prevede la diserzione pochi giorni dopo aver indossato la divisa seguita da dimostrazioni pubbliche a carattere antimilitarista; in particolare Unai, Alberto e Jose si erano spogliati pubblicamente delle divise dichiarando che erano contro l’esercito, chiedendone la sua abolizione e chiedendo che i soldi destinati alla spesa militare venissero destinati ad opere sociali. I tre si erano poi presentati in un’altra occasione con vistose bocche di carta “perché sembra chiaro che è la nostra bocca che parla che dispiace all’esercito”.

Israele:

in galera aspettando il processo

Eran Avikedar, un ragazzo israeliano di diciotto anni, è incarcerato in attesa del processo per Diserzione. Ha annunciato la sua volontà di diventare obiettore ma, prelevato dall’esercito, è stato spedito due settimane in un centro di punizione, che alla fine ha lasciato disertando.

Grecia:

processo a Nikos Kranikas

Malgrado in Grecia sia entrata in vigore, dal Gennaio 1998, una nuova legge che riconosce il diritto all’obiezione, Nikos Karanikas, obiettore di coscienza greco, sta affrontando un nuovo processo per Diserzione; questo gravissimo fatto sottolinea come la giustizia continui ad accanirsi con chi ha obiettato prima dell’entrata in vigore della legge.

LA VERITA’ 80 ANNI DOPO
Onore ai soldati uccisi dalla guerra e dalla storia

di Enrico Peyretti

Buono e imprevisto l’esordio del ministro della difesa. Scognamiglio. Auguriamo alla nostra patria che contini così. La vittoria non è Vittorio Veneto, ma capire questo cose, almeno 80 anni dopo. In una intervista su La Stampa dell’8 novembre sulla scia aperta da Jospin, egli aderisce con calore all’idea (subito attaccata dai neogollisti) del primo ministro francese di riabilitare i soldati fucilati per codardia o diserzione nella prima guerra mondiale. Ciò avvenne largamente anche nell’esercito italiano. Il terrore di tutti i comandanti era che i loro soldati facessero quel che fecero nel ’17 i soldati russi, i quali “votarono la pace con i piedi” (come si disse allora), voltando i tacchi e tornando a casa.

Il ministro Scognamiglio chiama “mostruosa mattanza” le punizioni fino alla morte inflitte dai comandanti italiani, anche con il bestiale metodo della decimazione: uno su dieci dei reparti indocili, fucilato. Ricordo, da bambino, il racconto del vecchio contadino Richetto degli Orsi: era stato contato col numero nove, quello accanto a lui fu tirato fuori ed ucciso dai soldati del plotone di esecuzione, suoi compagni. Orrore nell’orrore. I vili erano gli uomini del plotone. I grandi traditori erano i comandanti. Una probabile foto , impressionante, è nel 4° volume, 3° tomo, della Storia d’Italia, Einaudi.

Scognamiglio riferisce una cifra (“più di diecimila uccisi dai plotoni di esecuzione”) che sembra eccessiva rispetto ai dati degli storici, sia pure sommando le condanne e morte giudiziali (oltre 4.000, eseguite 750, si legge) e quelle extragiudiziali, inflitte ad arbitrio dei comandanti, che sarebbero varie centinaia. Ma ciò non toglie affatto valore al suo giudizio.

Oltre i grandi classici (Firch Maria Remarque, Emilio Lussu), o le Lettere al re 1914-1918, (pubblicate da Renato Monteleone per gli Editori Riuniti nel 1973) consigliamo di leggere il recente toccante La guerra di Joseph, di Enrico Camann, ed Vivalda , Torino. Fondamentale il Plotone di esecuzione, di Enzo Forcella e Alberto Monticone, Laterza 1968, che dovrebbe circolare di nuovo in questa occasione. Vi leggiamo alcune sentenze: fucilazione alla schiena per diserzione; 8 anni di reclusione militare per tradimento indiretto (il soldato era stato al lavorare in Germania, aveva la fidanzata a Dresda e si era inteso con soldati austriaci della trincea opposta, coi quali aveva perfino scambiato gli auguri di Natale, per spedire e ricevere lettere da lei!); un anno di reclusione militare per conversazione con nemico; fucilazione nel petto per rivolta; ergastolo per tradimento, per aver detto , tra l’altro che “essere austriaci o italiani era la stessa cosa”.

Ora, ministro Scognamiglio, attendiamo i fatti: l’Italia deve onorare, sebbene tardivamente, quei soldati disobbedienti, anche con un giusto monumento al “disertore ignoto”. E facilmente sarà più bello di quello del povero “milite ignoto”.

Riabilitazione e giustizia

di Sandro Canestrini

In Inghilterra una particolare cerimonia ha avuto, per la prima volta da allora, come tema i 306 soldati britannici fucilati “per atti di codardia, diserzione ed insubordinazione”. Il Governo ha riconosciuto, che anch’essi furono vittime delle scioccanti condizioni di vita nelle trincee sottoposte ad ininterrotti bombardamenti, e ha rotto il silenzio su questa pagina ritenuta vergognosa mentre invece è una macina densa di dolente umanità.

Quei morti sono entrati per la prima volta ufficialmente e con tutti gli onori nella tomba dei caduti di guerra.

In Francia il primo ministro, Lionel Jospin, ha annunciato che gli ammutinati ed i fucilati della tremenda battaglia dello “Chemins des Dames” avevano il diritto di essere ricordati con commozione, rompendo anche qui un silenzio di 80 anni meritando rispetto per il sacrificio. Jospin ha ricordato che l’esercito comandato in quel settore dal generale Georgs Livelle fu scagliato contro una posizione tedesca assolutamente imprendibile. 200 mila soldati francesi morirono in quindici giorni. A seguito di ciò vi fu la contestazione dei superstiti di tornare ancora all’inutile massacro e, per ordine del generale Petain (sempre i soliti nomi ritornano, tra i macellai fascisti) furono sottoposti alle decine di fucilazioni indiscriminate.

In Germania per la prima volta è stato comunicato che durante la seconda guerra mondiale il numero dei fucilati per diserzione o per obiezione di coscienza tra le truppe naziste salì al numero di 20 mila unità, che – secondo la barbarica legge del tempo – furono uccisi con il taglio della testa in carcere.

Evidentemente tutta l’Europa si muove per scrollarsi di dosso infami luoghi comuni, per ripensare, con infinita tristezza a tutte le vittime della guerra, ai morti che han dovuto affrontare le stragi sui campi di battaglia e a quelli che sono stati puniti nei loro stessi eserciti per aver portato avanti una parola di dignità e di pace.

E in Italia?

Una petizione per abolire la leva

Il Partito Radicale e il Comitato “Né giusta né utile” hanno lanciato la campagna per l’abolizione della leva militare e civile, riportando d’attualità il dibattito sul ruolo della Leva e sull’idea, ormai obsoleta, ma ancora radicata a sinistra, di esercito di popolo.

Sebbene siano condivisibili le critiche al Servizio Civile (“forma di manodopera coatta” ad uso del settore pubblico, del “privato sociale” e dei soggetti economici “no profit”; mancanza di diritti sindacali degli obiettori di coscienza per rendere gli enti competitivi sul mercato), non possiamo non sollevare alcune perplessità sull’impostazione di questa Campagna:

a) Il titolo della Campagna (Abolizione della obbligatorietà della leva militare e civile), si basa su di una distorsione della realtà; in Italia non esiste una leva civile e basterebbe eliminare l’obbligo di leva, per far decadere automaticamente anche l’idea di Servizio Civile, la cui esistenza è conseguenza dell’obiezione di coscienza al servizio militare.

b) Le motivazioni sulla cui base si sostanzia la richiesta di superamento della leva:

le mutate condizioni internazionali (la caduta della “cortina di ferro”; l’allargamento dell’area atlantica);
la mondializzazione dei conflitti e la necessità di avviare “azioni politiche e militari messe in atto da istituzioni sovranazionali”;
la necessità di adeguare il personale militare agli sviluppi tecnologici ed ai nuovi sistemi d’arma;

l’omogeneizzazione della struttura difensiva italiana a quanto avviene in molti paesi membri dell’U.E., dove le FFAA sono interamente costituite da personale volontario.

In sostanza i promotori chiedono l’abolizione della leva obbligatoria basandosi non su presupposti nonviolenti e/o antimilitaristi (nel testo non compare il rifiuto della logica militarista) ma efficientisti (la leva obbligatoria produce un esercito “inefficiente e costoso”, inadatto a fronteggiare le nuove modalità d’intervento; interessante è l’analogia con le dichiarazioni dei militari, usate per richiedere nuovi finanziamenti per il “Nuovo Modello di Difesa”).

Oltre a ciò vi è un continuo riferimento e riconoscimento al ruolo delle organizzazioni sovranazionali come la Nato o alla falsa retorica degli interventi umanitari delle nostre forze armate.

In conclusione possiamo dire che, essendo contrari a qualsiasi forma di esercito, siamo sicuramente favorevoli all’abolizione della leva (e con essa del Servizio Civile Sostitutivo); non ci sembra, però, che i contenuti della Petizione riflettano le nostre posizioni, al di là della consapevolezza comune che la Leva obbligatoria sia uno strumento assolutamente inutile e che non ci sia niente di formante, per un uomo, nell’imparare ad obbedire agli ordini e a maneggiare un mortaio.

Il testo della petizione è disponibile nel sito dei Riformatori http://www.riformatori.stm.it/levalaleva

I DIRITTI UMANI IN ALGERIA E IN RWANDA
Il genocidio o la fratellanza crescono con i bambini

Khalida Messaoudi, parlamentare algerina, premio Langer 1997, ha tenuto domenica 18 ottobre a Città di Castello la “laudatio” per la consegna ufficiale del premio internazionale “Alexander Langer” 1998 alle rwandesi Yolande Mukagasana e Jacqueline Mukansonera. Nel corso del loro viaggio in Italia, Yolande e Jacqueline sono state ricevute dal presidente della Camera Violante e dalle donne della presidenza, sono state accolte in udienza pontificia ed invitate a parlare a scolaresche e associazioni di volontariato. L’appello etico, che Jacqueline ha lanciato nella sua lingua madre, ha voluto innanzitutto ricordarci che esiste ancora una voce della coscienza, che è l’inviolabile baluardo a difesa della nostra libertà individuale, l’arma con cui si può combattere e sconfiggere le forze della morte e i seminatori di odio e di distruzione.

Khalida Messaoudi: La resistenza dei “giusti”

Dalla Bosnia al Ruanda, passando per l’Algeria, questo è il tragitto, che da tre anni a questa parte il premio Alexander Langer ci ha fatto percorrere.

Questo viaggio, purtroppo, non è quello di Alice nel paese delle meraviglie. Ma in questo caso, Alice sarebbe algerina o ruandese?
Rispondere a questa domanda non è facile.

Il Ruanda, la Bosnia, l’Algeria; quali sono i punti in comune?

L’informazione standardizzata ci risponderebbe così: massacri, orrore, barbarie alle soglie del terzo millennio. Il che è vero. Ciò nonostante permettetemi di ricordare altre cose altrettanto vere.

1) Di fronte al dramma Bosniaco, l’Europa è rimasta cieca: volontariamente ? Per tre lunghi anni. Perché ?

La ragione è da ricercare in una riflessione e in un dibattito che non sembrano essere più di moda.

Come Algerina non posso esimermi dal fare la seguente riflessione: come può l’Europa, che non ha saputo gestire e risolvere un problema sorto nel cuore del suo continente, detenere le soluzioni ai problemi che sorgono in Africa o in Asia ?

2) La percezione che continua ad avere l’occidente del dramma algerino, ci ricorda purtroppo che gli inganni dei pregiudizi culturali sono sempre in agguato. Detto in altre parole, come può l’Europa accettare che l’America e gli americani possano difendersi con ogni mezzo (anche con i bombardamenti) dal terrorismo integralista, e considerarlo come un flagello mondiale quando colpisce gli Stati Uniti, e allo stesso tempo non riconoscere lo stesso diritto all’autodifesa agli Algerini ?

Forse noi algerini, siamo più portati geneticamente a vivere, o sopravvivere, all’ombra dell’integralismo e del suo braccio armato, di quanto non lo siano gli occidentali ?

3) La vicenda ruandese è una delle grandi macchie nella coscienza dell’umanità civilizzata.

Centinaia di migliaia di civili sono stati massacrati senza che nessuna forza di dissuasione sia venuta in aiuto. Il macabro spettacolo della barbarie ha paralizzato a tal punto il mondo civilizzato ?

Yolande ha ragione di ricordare che in termini di barbarie e genocidio, l’Europa è la madre che ha partorito quanto c’è di peggio: la shoah.

Quando imparerà l’Europa a guardare il mondo svantaggiato attraverso gli occhi della memoria delle proprie disgrazie e delle proprie sofferenze ?

In quanto a me, donna algerina, è dentro la mia propria sofferenza e quella dei miei che trovo la forza, l’umiltà e il rispetto per guardare e ascoltare Yolande e Jacqueline. La loro storia è un continuo insegnamento. Esse mi dicono che la resistenza paga.

Yolande non è una semplice sopravvissuta, è una resistente che ha vinto le forze della morte.

Esse mi dicono che la libertà esiste anche nei momenti più estremi. Jacqueline si è comportata come un essere libero, degno. Nel momento in cui la sua comunità si è lasciata travolgere dalla furia omicida, lei è rimasta libera, scegliendo di fare tutto il possibile per salvare la vita di Yolande.

Jacqueline mi ricorda quella minoranza di Francesi, i quali, sotto l’occupazione nazista, hanno scelto di salvare le vite di piccoli ebrei, mentre la maggioranza dei francesi preferiva pensare, come dice Simone de Beauvoir ” che una Francia pacificata dal nazismo era preferibile a una Francia in guerra”.

Oggi, questa minoranza di Francesi coraggiosi, tutti delle Jacqueline, sono chiamati i “giusti”; quanto alla maggioranza, essi sanno che in cambio ha ricevuto sia la guerra che il disonore per il suo comportamento.

Yolande e Jacqueline mi dicono altresì che le donne hanno un potere e questo potere è quello della vita. Spero che Dio faccia in modo che le donne dell’Africa riescano a rimuovere tutti i segreti che si nascondono dietro al dramma ruandese e a quello algerino.

Intendo dire tutti i segreti, compresi quelli che riguardano gli interessi non africani. A Yolande e Jacqueline, io dico grazie di esistere; grazie di far sì che la speranza sia la nostra malattia. Grazie ad Alex che mi ha permesso di conoscervi.

Jacqueline Mukansonera : la libertà di coscienza

Tanto per cominciare vorrei invitare tutti , ruandesi e non ruandesi, comprese le persone qui presenti, a chiedere perdono a Dio per il genocidio commesso nel mio paese perché, nonostante io non me ne intenda di questioni politiche, in questo genocidio mi sembra di aver capito che non sia coinvolta solo la popolazione ruandese, ma che ci siano anche grosse responsabilità da parte della comunità internazionale.

Io sono una giovane donna ruandese di 36 anni; provengo da una modesta famiglia di contadini del Sud-Est del Ruanda. Dopo aver frequentato le scuole elementari ho seguito un corso di avviamento professionale di economia domestica. Rispetto a tutti voi io vivo nella parola e non nello scritto. Il mio unico testo, dal quale traggo insegnamento e riflessioni per guidare la mia coscienza, è la Bibbia.

Dopo aver terminato gli studi, mi sono trasferita a Kigali, capitale del Ruanda; per mantenermi preparavo marmellate e salse a casa mia, che rivendevo ai ristoranti della capitale.

Quando sono iniziati i massacri, non conoscevo ancora Yolande; l’avevo solo incontrata nel suo ambulatorio e mi aveva colpita favorevolmente, per la sua disponibilità e per il fatto che mi aveva dato indicazioni importanti riguardo alla somministrazione di alcune medicine, che mi erano state prescritte, senza spiegazione alcuna, all’ospedale di Kigali.

Quando mi sono trovata Yolande in casa, braccata come un animale, che mi chiedeva aiuto, mi sono attenuta al comandamento della Bibbia: “ama il tuo prossimo come te stessa”. Ho seguito quanto mi diceva la mia coscienza. L’ho nascosta sotto un lavandino, là dove tenevo il carbone e mi sono occupata di lei come se fosse un bambino. Essendo io in possesso della carta d’identità etnica hutu, sono stata la sua guardia del corpo e l’ho aiutata a salvarsi.

Invito tutti a seguire la propria coscienza e a non dare retta ai dirigenti politici e religiosi, che potrebbero indurci a commettere il male. Questa esperienza mi ha insegnato ancor di più a non dare importanza all’appartenenza etnica o religiosa, perché coloro che si sono fidati ed hanno ubbidito ai dirigenti politici e religiosi, hanno commesso il male.

Oggi il Ruanda è un paese che porta le stigmate, perché incarna il male. Oggi, dopo aver identificato i colpevoli ed i responsabili del genocidio, vorrei ricordare anche le persone che hanno agito per il bene, tutti coloro che non si sono resi conto di quello che stava succedendo; quelli che, in quei drammatici giorni, in cui avvenivano scontri ovunque, inconsapevolmente sono finiti nel campo sbagliato.

Non sono l’unica ad aver aiutato i Tutsi perseguitati; ci sono tante altre persone che hanno fatto la stessa cosa, che si sono comportate come me.

Dopo i massacri sono tornata nel mio paese, dalla mia famiglia. Qui ho saputo che mio padre era stato assassinato nel corso del genocidio.

Attualmente lavoro in un centro di aiuto psicologico per tutte quelle donne vittime di violenza carnale, che dopo lo stupro hanno messo al mondo un figlio o hanno contratto l’Aids.

Yolande Mukagasana: un genocidio premeditato

Per me è sempre molto difficile parlare del genocidio. Come ho già scritto nel mio libro, questo genocidio è stato pianificato secondo una logica di lungo termine. La sensazione di tutto ciò l’ho avuta, per la prima volta all’età di cinque anni. Un genocidio infatti si prepara, e quello del Ruanda è stato preparato. Me ne sono resa conto quando ho visto i miei vicini, che erano anche miei amici, armarsi ed ammazzare la mia famiglia.

Già a scuola noi Tutsi venivamo emarginati, perché si raccontava come i Tutsi fossero venuti dall’Abissinia, avessero dominato , governato e fatto del male agli Hutu.

Questo odio, che è sfociato nel genocidio, è cominciato dunque a scuola, dove Tutsi e Hutu venivano intenzionalmente educati in un clima di divisione.

Anche i miei figli, a loro volta, sono stati emarginati. Con ciò voglio ribadire il fatto che l’educazione ha segnato in modo profondo la storia del mio paese e nel futuro, spero, che le nuove generazioni non debbano più sopportare tutto ciò.

Periodicamente ci sono sempre stati degli omicidi di Tutsi e gli assassini sono rimasti impuniti.

Non c’è dubbio che, dal 1959 al 1994, ci sia stata un’opera di coscientizzazione e di separazione della società ruandese: da una parte i boia e dall’altra delle vittime consenzienti.

La comunità internazionale ha assistito a questo processo collaborando con il regime separatista.

Il genocidio è stato messo in atto nel momento in cui la popolazione era sufficientemente preparata a compiere il suo “dovere”. In quel momento la comunità internazionale e la Chiesa erano presenti e sapevano ciò che stava succedendo.

Noi abbiamo chiesto aiuto, ma l’aiuto non ci è stato dato.

Ancor oggi noi vittime viviamo nella paura, non ci sentiamo sufficientemente tutelati e quindi il nostro desiderio di fare giustizia viene seriamente ostacolato.

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO: CINQUANT’ANNI DOPO

Lista d’onore dei Prigionieri per la Pace 1998

Dedichiamo questo intero numero di Azione nonviolenta al cinquantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Naturalmente non è solo una ricorrenza, ma un rinnovato impegno d’azione.
A dicembre di ogni anno l’Internazionale dei Resistenti alla Guerra (la War Resisters International, di cui il Movimento Nonviolento è sezione italiana) diffonde la Lista dei prigionieri per la pace ed invita a mandar loro cartoline natalizie di auguri. Sono comprese nella lista persone detenute a causa della loro obiezione di coscienza o per azioni nonviolente contro la guerra.
Quest’anno la Lista dei Prigionieri per la Pace viene diffusa in concomitanza con il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Il 10 dicembre non possiamo limitarci a “celebrare” una ricorrenza, ma dobbiamo impegnarci in un’azione concreta affinché i diritti umani siano effettivamente rispettati. Scrivere una cartolina è certamente poca cosa, ma è già molto di più delle tante parole retoriche che sentiremo in quei giorni. Ed è un gesto concreto per esprime solidarietà, affetto, compartecipazione a chi ha agito concretamente per la pace, pagando di persona. Chiediamo perciò a tutti i lettori di Azione nonviolenta di andare subito a comprare un bollo ed inviare un saluto ad almeno uno dei detenuti compresi nella nostra Lista. E’ il modo migliore per “fare qualcosa” per i diritti umani. Le parole lasciamole agli altri. Noi, come sempre, preferiamo i fatti.

Mao Valpiana

ARMENIA

Non esiste alcuna disposizione di legge per gli obiettori di coscienza. Né per motivi religiosi, né altro. Il servizio militare dura due anni Conosciamo molti Testimoni di Geova condannati per rifiuto della leva.

John Martirosian (dal 09/97 al 02/99) obiettore, Testimone di Geova

Tigran Petrossian (dal 08/97 al 02/99) obiettore, Testimone di Geova

Samuel Manukian (dal 07/97 al 05/00) obiettore, Testimone di Geova, è stato anche picchiato in cella.

Tutti tre sono detenuti a: g Kosh, ITK, Nachalniku, Armenia

Yerem Nazaretian (dal novembre 1997; fino a ottobre 1999) obiettore, Testimone di Geova

Andranik Kosian (dal 01/98, in attesa di processo) obiettore, Testimone di Geova è arrestato per la prima volta nel novembre 1993 in seguito al rifiuto di prestare servizio militare per motivi religiosi. Latitante, è stato preso e condannato nel marzo 1997 ad un anno di prigione. Amnistiato nel l’aprile 1997 è stato integrato di forza in una unità militare nel giugno 1997. Diserta e viene nuovamente arrestato nel gennaio 1998. In cella viene duramente picchiato. Ora è in attesa di un esame medico (per problemi cardiaci)

Tutti due sono detenuti a: g Yerevan Sovetashenskoye Shosse 20, Sizo, Nachalniku Armenia.

Karen Voskanian (dal 09/98 al 04/01) obiettore, Testimone di Geova

g Gyumri Sizo, Nachalniku, Armenia.

CROAZIA

Campanello Tihomir

Per informazioni e messaggi di sostegno: Zap_zg@geocities.com

(imminente rischio di arresto)

Campanello lavora in Svizzera da parecchi anni, pur seguendo gli studi all’Università di Zagabria. E’ stato iscritto nel registro militare dell’ex Armata Popolare Jugoslava, ma non era mai stato convocato per l’arruolamento. Le autorità croate gli hanno rifiutato il passaporto e l’hanno convocato l’ 11 novembre 98 per fargli svolgere il servizio militare, nonostante la sua domanda di obiezione. Non si è presentato e ha deciso che inizierà uno sciopero della fame se verrà arruolato di forza.

FINLANDIA

Attualmente sono detenuti 5 obiettori totali. Solo uno di loro desidera ricevere cartoline.

Harri Pölönen: Pohjois-Karjalan lääninvankila, PO Box 17, 82201 Hammaslahti, Finlandia
(dal 30/06/98 al 16/1/99)
Obiettore totale incarcerato nel distretto di Carélie du Nord, vicino alla frontiera russa, in una prigione dove si trovano anche skinhead nazisti.

GERMANIA

Sönke Müller: 15/LwAusbRgt 1, Hamburger Str 162 25746 Heide Germania
(arrestato il 03/09/98)

Obiettore totale. Dopo aver manifestato davanti alla caserma si presenta alle autorità militari ma rifiuta di obbedire ai loro ordini. Condannato il 6 novembre subisce quattro detenzioni per 21 giorni. Probabilmente sarà liberato prima di Natale e dovrà presentarsi ad un Tribunale civile.

Jörg Eichler email: je519121@Rcs1.urz.tu-dresden.de

(arrestato il 05/11/98)

Obiettore totale . Ha rifiutato di presentarsi alle autorità militari Pfreimd in Baviera il 1 luglio 1998. Il 1 agosto un altro obiettore totale, Michael Fücker, si è presentato alla caserma con i documenti di Jörg. La polizia lo arresta rendendosi conto dello scambio solo il giorno dopo, quando Jörg e altri simpatizzanti organizzano una manifestazione di protesta. Jörg è stato arrestato il 5 novembre a Dresda e resterà detenuto alcune settimane fino al processo per diserzione.

GRAN BRETAGNA

Stellan Vinthagen # BT8233 HM Prison Preston, 2 Ribbleton Lane, Preston PR1 5AB, Inghilterra

(dal 13/09/98)

Ann-Britt Sternfeldt # BE8971

Annika Spalde # BE8940

HM Prison 617 Warrington Road, Risley, near Warrington, Cheshire WA3 6BP, Inghilterra

(dal 13/09/98)

Questi tre militanti svedesi sono stati arrestati il 13 settembre 1998 all’interno dei cantieri navali di Barrow-in-Furness, nell’Inghilterra del nord, dove avevano iniziato a smontare materiale militare. Il loro gruppo si chiama “Pane, non bombe” ed hanno agito in cooperazione con la campagna inglese contro i missili nucleari Trident. Attualmente sono in detenzione preventiva. Il processo è previsto per l’inizio del 1999.

INDONESIA

Budiman Sudjatmiko (13 anni di prigione),

Présidente del PRD

Ignatius Damianus Pranowo (9 anni);

Gusti Agung Anom Astika, (4 anni);

Petrus Haryanto, (8 anni);

Suroso, (7 ann);

Yakobus Eko Kurniawan, (8 anni),

Membri del PRD

João Freitas da Camara,(10 anni)

Hanno organizzato una manifestazione di protesta contro il massacro di Santa Cruz del 1991.

Tutti detenuti nel carcere:LP Cipinang, Djakarta, Indonesia.

Dita Indah Sari (5 anni) Membro del PRD e sindacalista,

Garda Sembiring (12 anni) Membro del PRD

Entrambi detenuti in carcere: LP Tangerang, Djakarta, Indonesia

Don A.L. Flassy

Agustinus Ansanai

Baas Yufuwai

Laurence Mehuwe

Sam Yaru

della Papuasia; hanno tentato di organizzare un incontro sulla situazione politica del loro paese; sono stati accusati di ribellione e diffamazione; in attesa di processo.

Theys Eluay

Della Papuasia, accusato di ribellione e diffamazione e di “associazione a delinquere”

Non si hanno notizie precise, probabilmente sono detenuti a: Kapolda Irian Jaya, Jayapura, Irian Jaya/West Papua, Indonesia

Francisco Miranda Branco (15 anni di prigione)
Ha confezionato le bandiere per la marcia sul cimitero della strage Santa Cruz del 1991;

Gregorio da Cunha Saldanha (ergastolo)
Ha contribuito ad organizzare la marcia sul cimitero della strage di Santa Cruz del 1991

Jacinto das Neves Raimundo Alves (10 anni)
Ha organizzato una manifestazione di protesta contro il massacro di Santa Cruz nel 1991;

Satunino da Costa Bela (9 anni)
Ha contribuito ad organizzare la marcia sul cimitero della strage di Santa Cruz del 1991

Tutti detenuti nel carcere di LP Semarang, Semarang, Central Java, Indonesia

ISRAELE

Mordechai Vanunu Ashkelon Prison, PO Box 17 Ashkelon, Israele

(dal 1988 al 2006)
Arrestato in Italia nel 1986, condannato nel 1988 a 18 anni di carcere per aver violato il segreto militare sul programma nucleare israeliano.

Yehuda Igos Per informazioni, contattare: icontuvi@netvision.net.il

Obiettore, studente anarchico e pacifista, ha presentato una domanda di esenzione dal servizio militare, che gli è stata rifiutata senza motivo. Attualmente in prigione, dovrebbe uscire il 21 settembre, ma dopo il suo secondo rifiuto dovrebbe essere nuovamente arrestato.

RUSSIA

Grigory Pasko Indirizzo sconosciuto (arrestato nel 11/97)
Giornalista militare, arrestato per “spionaggio” per aver rivelato informazioni sul programma militare del suo paese.

Vadim Nazarov c/o Antimilitarist Radical Association Ul Trubnaja 25-2-49 103051 Moscow Russia
(dal 29/04/98 al 04/99) Obiettore, Testimone di Geova.

SLOVACCHIA

Tre obiettori che hanno rifiutato di prestare il servizio sostitutivo sono attualmente detenuti, ma non siamo riusciti ad ottenere i loro nomi ed indirizzi. Dopo la legge del 1995 sul servizio civile, la domanda di obiezione può essere inoltrata solo nelle due settimane successive alla primo avviso di leva, che ricevono i ragazzi quando compiono i 17 anni. Questa limitazione riduce il diritto di obiezione. Inoltre il servizio civile dura 24 mesi, il doppio del servizio militare.

SPAGNA

Il 14 ottobre il governo spagnolo ha accordato l’amnistia agli ultimi venti obiettori totali che hanno rifiutato di prestare servizio militare e civile. Tuttavia tre obiettori, che avevano partecipato alla campagna del MOC (Movimento Obiettori di Coscienza) “obiezione nelle caserme” sono ancora in prigione. Altri cinque membri del MOC sono stati condannati a 61 giorni di carcere militare per “essersi espressi pubblicamente” a favore dell’obiezione e sono in attesa di un processo.

Elías Rozas Álvarez

Ramiro Paz Correa

Plácido Ferrándiz Albert

Prisión militar de Alcalá Ctra Alcalá-Meco, Km 5 28805 Alcalá de Henares Spagna

(in carcere dal 08/97)

Alberto Estefanía

Unai Molinero

José Ignacio Royo

Contact: KEM-MOC, Iturribide 12-1° D 48005 Bilbao, Euskadi, Spagna

(in attesa di un secondo processo)

Alberto Isaba Lacabe

Jesús Belascoain Equisoain

Contact : KEM-MOC Iruña Apdo 1126 31080 Iruña Spagna

STATI UNITI D’AMERICA

Susan Crane # 87783-011

FCI Dublin Unit A, 5701 8 th St, Dublin, CA 94568 USA
(dal 14/02/97, 27 mesi)

Steve Kelly SJ #00816-111

LSCI Allenwood, PO Box 1000, White Deer, PA 17887 USA
(dal 14/02/97, 25 mesi)

Susan et Steve – membri del “Prince of Peace Plowshares” sono stati accusati di cospirazione e di aver causato danni per 28.000 dollari a proprietà governative dopo aver preso a colpi di martello dei missili da crociera Tomahawk installati sulla nave da guerra USS The Sullivans e averci versato sopra del sangue. Oltre alla multa sono stati condannati e due anni di libertà vigilata e un’ammenda di 4.000 dollari.

Kathy Boylan

Sr Ardeth Platte

Sr Carol Gilbert

Kent County Detention Center, Unit A 104 Vickers Dr, Chestertown MD 21620, USA
(dal 17/05/98)

Fr Frank Cordaro

Fr Larry Morlan Charles County Jail, PO Box 1430, La Plata, MD 20646 USA
(dal 17/05/98)

Tutti cinque membri del gruppo “Gods of Metal Plowshares”, arrestati per aver disarmato un bombardiere B52. Accusati di danno alla proprietà il 22 settembre 1998 e in attesa di processo in gennaio 1999.

John Patrick Liteky

c/o SOA Watch, POB 4566, Washington, DC 20017, USA
(condannato a 2 anni, uscirà nel giugno 1999)

Condannato per aver versato più volte sangue in segno di protesta contro l’istituzione militare Ecole des Amériques (sul Pentagono il 28 settembre e 20 ottobre 19997 e a Fort Benning il 25 febbraio 1998).

Richard Streb # 88113-020

FPC Beckley, POB 350, Beaver WV 25813 USA
(6 mesi, uscirà nel marzo 1999)
Arrestato per occupazione della Ecole des Amériques di Fort Benning.

Kathleen Rumpf # 02117-052

Danbury Prison Pembroke Station, Rt 37, Danbury, CT 06811-3099,USA
(incarcerato per sei mesi il 23/07/98).

Fr Bill Bichsel SJ #86275-020

FPC Sheridan Unit 5, PO Box 6000 Sheridan, OR 97378-6000 USA
(incarcerato per un anno dal 10/98)

Sr Marge Eilerman OSF # 88106-020

FPC Lexington, 3301 Leestown Rd, Lexington KY 40511, USA
(incarcerato per un anno dal 10/98)

Ed Kinane # 86279-020

FPC Allenwood, POB 1000 Montgomery, PA 17752, USA
(incarcerato per 10 mesi dal 10/1998)

Mary Trotochaud # 88102-020

FPC Alderson POB A, Alderson Women’s Prison Alderson, WV 24910 USA
(incarcerata per 8 mesi dal 10/98)

Questi cinque militanti sono stati condannati per aver tolto un pannello pubblicitario della Ecole des Amériques durante una manifestazione il 29 settembre 1997

Daniel Sicken # 28360-013

Oliver Sachio Coe # 28361-013

Federal Detention Center, Unit A, 9595 W Quincy Ave Littletown, CO 80123, USA

(dal 08/1998, in attesa di processo il 20 gennaio 1999)

Membri del “Minuteman III Plowshares”, che è intervenuto il 6 agosto 1998 contro un silos di armi nucleari vicino a Greeley nel Colorado. Riconosciuti colpevoli di cospirazione perché stavano preparandosi a distruggere o danneggiare beni necessari alla difesa nazionale (sabotaggio) e di proprietà del governo. Imprigionati dopo aver dichiarato davanti al giudice che non potevano promettere di non commettere ancora il fatto. Revoca della cauzione. Ora è imposta loro una nuova cauzione di 5.000 dollari.

TURKMENISTAN

Il diritto all’obiezione di coscienza non è legalmente riconosciuto, e non esiste nessuna disposizione per il servizio sostitutivo. Attualmente si hanno notizie di due Testimoni di Geova in carcere.

Roman Sidelnikov

g Chardzhau, ITU, Nachalniku, Turkmenista
(dal 06/98 al 05/2000)

Condannato nel 1996 a due anni di carcere per aver rifiutato l’appello, ma amnistiato sei mesi dopo. Condannato nel giugno 98 a due anni per obiezione.

Oleg Voronin

g Gushgi ITU voennogo naznacheniya Nachalniku, Turkmenistan
(dal 09/98 al 10/2003)

Condannato a 5 anni e mezzo per rifiuto del servizio militare, poi integrato di forza in una unità militare. Noi pensiamo che sia stato duramente maltrattato, e non gli è nemmeno stato concesso un avvocato. Nessuno ha potuto incontrarlo dopo che è stato rinchiuso nel carcere militare di Gushgi.

TURCHIA

Osman Murat Ülke

c/o ISKD Gazi Osman Pasa Bulvari Kostak Ishani No 41 D 203/A Cankaya IZMIR Turchia

osi@info-ist.comlink.de

(attualmente sta per essere trasferito)

Obiettore totale: condannato il 23 ottobre 1997 a 10 mesi di prigione oltre ad una multa per diserzione e disobbedienza continuata. Ha subìto molti processi e molte condanne. E’ appena stato rilasciato il 16 novembre, ma i responsabili del reclutamento militare lo trattengono nei loro uffici ed hanno deciso di condurlo nuovamente in caserma, questa volta sotto scorta. Questo fatto è stato un colpo molto duro per Osman, che si sente preso in una spirale infernale di arresti e detenzioni a ripetizione. Fate pressioni sulle autorità turche (numeri di fax): Primo Ministro : +90 312 417 0476, Ministro della Giustizia : +90 312 417 0476 ; Ministro della Difesa : +90 312 324 4627, Capo di Stato Maggiore: +90 312 418 5341 ; Ministro dell’Interno : +90 312 318 1795.

YUGOSLAVIA (REP. FEDERALE)

Pavle Bozic

8 Paviljon, kP Dom Zabela 12 000 Pozarevac, Serbia FR Yugoslavia
(dal 11/97, per un anno)

Rifiuta di svolgere il servizio militare per motivi religiosi. La sua domanda di svolgere un servizio sostitutivo viene accettata il 30 ottobre 1997, ma gli viene ordinato di presentarsi alla divisione militare di Karadjordjevo. Rifiuta di prestare il servizio civile in una istituzione militare, viene arrestato, processato e condannato il 23 febbraio 1998 ad un anno di prigione per “rifiuto di obbedire agli ordini”. E’ la seconda volta che Pavle è imprigionato per la sua obiezione di coscienza. Nel 1993 era stato condannato a 9 mesi di cui ne aveva scontati sei.

Consigli utili per l’invio della cartoline o delle lettere.

Mettere sempre le cartoline in una busta
Non dimenticare di scrivere anche il mittente, con il vostro nome ed indirizzo
Oltre ai saluti, raccontate ai detenuti chi siete voi, cosa fate per la pace; potete anche inviare foto, disegni, ecc.
Non aspettatevi delle risposte, ma se ne ricevete di particolarmente interessanti, inviatene una copia alla Redazione di Azione nonviolenta. Grazie fin d’ora.
Se qualcuna delle vostre lettere vi viene ritornata, rimandatela all’ambasciata in Italia del paese interessato, o all’ambasciata italiana nel paese interessato, chiedendo che siano loro a recapitarla al prigioniero per la pace.

Idee per azioni di sostegno ai prigionieri per la pace, da svolgersi il 10 dicembre, giornata dei Diritti Umani.

Fate dei banchetti nella strada e domandate ai passanti di firmare le cartoline di sostegno o le lettere di protesta
Organizzate una festa o una riunione per spedire insieme le cartoline
Organizzate una marcia con i nomi dei prigionieri sui cartelli
Organizzate un incontro pubblico, con un dibattito o un film
Prendete contatti con la stampa locale

Date un appoggio finanziario al nostro lavoro

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Inviate i vostri contributi a:

Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona (Italy) (++39 045 8009803; fax ++39 045 8009212; e-mail: azionenonviolenta@sis.it
WRI, 5 Caledonian Road, London N1 9DX, Grande-Bretagne (+44 171 278 4040; fax 278 0444; e-mail: warresisters@gn.apc.org ; http:/www.gn.apc.org/warresisters).

I prigionieri per la pace vi ringraziano per la solidarietà! Grazie!

Gli “schiavi” di oggi

Non è solo da oggi che le Nazioni Unite hanno deciso di agire per porre fine al fenomeno della schiavitù. Già la vecchia Lega delle Nazioni promosse nel 1926 un Trattato internazionale contro la schiavitù, che è tuttora in vigore. Data la persistenza del problema, l’Assemblea generale ha creato nel 1971 il Gruppo di lavoro che opera a Ginevra e che raccoglie le denunce delle vittime o di loro rappresentanti, convocando quindi gli ambasciatori dei Paesi implicati per prendere misure e aiutare le vittime stesse ad uscire dallo stato di servitù in cui si trovano.

A sostenere poi le iniziative concrete per cancellare questa vergogna morale l’Onu ha istituito un Fondo Volontario ad hoc, curato da cinque esperti-garanti delle diverse aree del pianeta, tra i quali José de Souza Martins, e basato sulle donazioni volontarie dei Paesi membri, di cittadini e gruppi umanitari. Ma di fronte alle richieste di aiuto pervenute nel 1997, pari a 770.000 dollari americani, al Fondo erano arrivati solo 12.500 dollari: l’1,5 per cento della somma necessaria. Ed a essere latitanti sono soprattutto i governi.

I media hanno scarso interesse sul tema, e gli appelli sono stati rivolti finora solo ai governi. Dallo scorso anno, invece, il gruppo di curatori del Fondo ha deciso di coinvolgere direttamente la società civile nelle iniziative concrete di sostegno alle vittime e del loro riscatto. “È stato l’esempio di un italiano che ci ha recapitato 500 dollari, a suggerirci di lanciare un appello ai singoli cittadini, scuole, gruppi umanitari perché diano un contributo diretto, anche se simbolico, ai progetti di lotta alla schiavitù messi in cantiere dall’Onu. Con 5.000 dollari, per esempio, abbiamo potuto appoggiare un gruppo locale africano che crea alternative di lavoro e di studio per bambini Pigmei che erano venduti come schiavi ai Bantu”.

“Porre fine al problema non dipende solo dall’Onu, anche se la sua azione è fondamentale”, spiega il professor de Souza Martins. “Dipende soprattutto dal fatto che si formi un vasto movimento internazionale contro i beneficiari della schiavitù, contro i governi che omettono di intervenire, e a favore delle vittime. Dipende, insomma, dal fatto che si prenda una precisa coscienza critica su un punto: i grandi valori che si svilupparono a partire dalla Rivoluzione francese, per molti esseri umani restano ancora soltanto una illusione”.

ADDIO A GIOVANNI TRAPANI
Il passero solitario se n’è andato
Il 21 ottobre è morto a Roma Giovanni Trapani. E’ stato stroncato da un infarto. Da tempo soffriva per il diabete che negli ultimi mesi lo aveva anche accecato. Era nato in Sicilia nel 1940. Anarchico per carattere e per scelta, emigra giovanissimo in Belgio. Per vivere fa il lavapiatti, il garzone, il muratore. Poi conosce Hem Day (libero pensatore, anarchico e nonviolento; Bruxelles 1902-1969) frequenta la sua libreria e le riunioni serali che lì si tenevano; tramite lui entra in contatto con il movimento anarchico e ne approfondisce la cultura. Rientra in Italia negli anni del post ’68 e partecipa attivamente al movimento anarchico, con molti contrasti. Se ne distacca progressivamente, su posizioni personali sempre più vicine alla nonviolenza. Frequenta gli ambienti radicali e antimilitaristi e negli anni ’70 è sempre presente alle iniziative nonviolente, con la compagna Veronica, la stampa anarchica e i suoi volantini. Inizia a tessere rapporti, presentandosi come “Gruppo Hem Day”, poi come movimento “Anarchia e/è nonviolenza” e poi ancora con i fogli di “pensiero e azione”. Diffonde delle lettere ciclostilate che firma “passero solitario”, racconta la sua storia, racconta dell’anarchia di Gandhi e delle basi storiche del pacifismo integrale. Vive vendendo la stampa del movimento. Ha un carattere irascibile, gli piace fare il provocatore, ma non nasconde mai il bisogno di comunicare. Da autodidatta qual è, scrive tantissimo.

Era un personaggio d’altri tempi. Ricordo che una sera mi portò a fare un giro a Trastevere dov’era conosciutissimo e amato: “Ah Giovà, vieni a sentì ‘sto vinello”; in cambio del vino o del piatto di pasta lasciava i suoi volantini anarchici. Mi raccontò che anni addietro faceva la comparsa a Cinecittà nei colossal d’epoca: per la sua bassa statura gli facevano fare l’antico romano. Già, poteva davvero essere uno della plebe in rivolta seguendo Spartaco.

Ci teneva molto che i suoi comunicati apparissero nelle pagine delle AAA, annunci, avvisi, appuntamenti. E se qualche suo notizia saltava, se ne lamentava subito. Giovanni, questa volta ti dò tutta una pagina, e ci metto anche una tua bella foto. Te la sei meritata.

Qui in Redazione abbiamo tante cartelline piene delle sue lettere, con le buste fatte di fogli riciclati e ripiegati. Affidava le sue testimonianze a fotocopie scritte a macchina o penna, inviate per posta. Niente telefono, fax o computer. Negli ultimi anni, forse a causa della malattia, anche il carattere si addolcisce; non ha quasi più rapporti con il mondo anarchico che lo ha deluso; frequenta solo ambienti nonviolenti nei quali organizza piccoli incontri per raccontare di sé e del pensiero anarchico nonviolento. Voleva avvicinare i giovani perché sentiva l’ansia di lasciare qualche traccia di memoria. Nel suo accentuato individualismo era sempre preoccupato di tessere rapporti, di darsi un appuntamento futuro, di programmare il prossimo incontro.

Questa volta però la data non è stata fissata…

Ha lasciato il suo consistente archivio di volantini e libri al Centro Domenico Sereno Regis di Torino. A tutti noi lascia un buon ricordo.

Ciao, Giovanni

Mao Valpiana

Di Fabio