• 3 Luglio 2024 14:53

Azione nonviolenta – Dicembre 2007

DiFabio

Feb 2, 2007

Azione nonviolenta dicembre 2007

– Note a margine del nostro Congresso, di Mao Valpiana
– Saluti e auguri di buon lavoro. I messaggi inviati al Congresso
– Il Congresso ricorda l’amico Piergiorgio Acquistapace
– La nonviolenza è politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti, di Daniele Lugli
– D’accordo, la nonviolenza è politica. E adesso cosa facciamo?, resoconto del dibattito
– Il caso Verona, dalla città di pace alla tolleranza zero, di Sergio Paronetto e Alberto Tomiolo
– Facciamo pace fin da oggi, un bambino alla volta, Elena Buccoliero intervista Ibu Robin Lim
– XXII Congresso nazionale del Movimento Nonviolento: la Mozione generale, le Mozioni delle commissioni, le Mozioni particolari
– Gli organi eletti dal Congresso
– La comunicazione di massa non esiste. Danilo Dolci, poeta del fare e del creare, di Germano Bonora
– Il Trentennale delle Edizioni dell’Amicizia. Spettacolare mostra nonviolenta ad Agnone
– La pedagogia di Aldo Capitini tra profezia e liberazione, di Gabriella Falcicchio

Le rubriche:

– Educazione. La pace non si studia, si vive in prima persona, di Valentina Tosi
– Economia. La tecnologia militare italiana che tutto il mondo ci invidia, a cura di Paolo Macina
– Per esempio. Riesumare i resti dei cadaveri delle vittime, per guarire i vivi, a cura di Maria G. Di Rienzo
– Giovani. Diritto di ascoltare, di conoscere, diritto di capire, diritto di parlare, di Claudia Ferrari
– Musica. Ligabue pianta foreste in Costa Rica per battere l’inquinamento dei concerti, a cura di Paolo Predieri
– Cinema. Un paese tra orrore e folclore dove il disumano impera, a cura di Enrico Pompeo
– Libri. Voci di pace e di libertà, a cura di Sergio Albesano
– Lettere. Un Nobel discutibile, di Corrado Poli

Note a margine del nostro Congresso

di Mao Valpiana

Le opere d’arte si distinguono dai dettagli. Non voglio dire che il nostro Congresso sia stato un’opera d’arte, per carità, ma sicuramente tutti i partecipanti hanno riconosciuto che “è andato bene”: adeguata preparazione, svolgimento ordinato, discussioni approfondite, conclusioni utili. Insomma, l’obiettivo – che era quello di riunire gli aderenti al Movimento per decidere le linee di azione dei prossimi anni – è stato raggiunto, come testimoniano le mozioni approvate che pubblichiamo da pagina 12 a pagina 19.
Dunque possiamo soffermarci un attimo sui dettagli, su particolari momenti dei quattro giorni congressuali che, secondo me, hanno dato quel sapore in più che fa la differenza.
L’apertura dedicata all’amico Piergiorgio Acquistapace, da poco scomparso, ci ha regalato attimi di vera commozione, anche grazie alla presenza in sala della moglie, Lucia, e delle figlie, Laura e Alessia. Così come quei cinque minuti di silenzio, alla fine del dibattito generale, lasciati idealmente e concretamente all’intervento dello stesso Piergiorgio e di Alexander Langer (grandi amici della nonviolenza che ci hanno lasciato entrambi prematuramente), che abbiamo sentito realmente presenti tra noi, vera e propria compresenza. Quel silenzio si è riempito di preghiere, di meditazioni, di ricordi, di sensazioni, che hanno creato un’unità palpabile fra tutti i presenti.
Significativa è stata la premiazione dei due studenti dell’Istituto d’Arte di Trento, Alex Fattore e Lara Mottes, che hanno partecipato al progetto per la realizzazione del manifesto di convocazione del Congresso. La proiezione in video di tutti i bozzetti, la spiegazione da parte dei ragazzi delle motivazioni e delle idee alla base delle loro opere, e le testimonianze delle due insegnanti, sono riuscite a trasmettere lo stretto legame esistente tra arte e nonviolenza. Il premio consisteva nel dvd “Una forza più potente”, il libro “Nonviolenza in cammino” e in una spilletta del fucile spezzato “da indossare quando si sarà raggiunta la piena consapevolezza del suo significato”. Tanti applausi.
Il Congresso era generosamente ospitato nella struttura dei Missionari Comboniani, sulle colline di Verona, a ridosso del centro storico, in un’oasi di verde. L’ambiente circostante, silenzioso, lindo, accogliente, ha certamente contribuito alla riuscita dell’evento. Il quartiere si chiama “Veronetta” ed è ricco di osterie, trattorie, ristorantini (mitico quello del “Ropeton”) dove abbiamo consumato insieme pranzi e cene. Bei momenti di festa e convivialità, dove non è mai mancato il buon vino locale. Anche l’accoglienza notturna, nel vicinissimo ostello, è stata all’insegna della sobrietà. C’è stato anche lo spazio per un’istruttiva passeggiata comunitaria, nei sentieri naturalistici sulla dorsale delle colline, in visita alle mura magistrali della città, con la guida esperta e brillante di Alberto Tomiolo, che tra aneddoti vari ha ricostruito la storia militare di Verona dai Romani alle due guerre mondiali. Il panorama sulla città è di quelli mozzafiato.
La manifestazione del 4 novembre “non festa ma lutto” ha visto una significativa partecipazione (oltre 200 persone in cammino per le vie di Verona) a quella che è stata una vera e propria “assemblea itinerante” riunita nel nome della nonviolenza per onorare i caduti di tutte le guerre, passate e presenti, nell’unico modo per noi possibile: impegnarsi con la nonviolenza attiva contro la guerra e la sua preparazione. La formula della manifestazione con soste di riflessione (già inaugurata nella nostra Marcia Perugia-Assisi, e poi nella camminata da Assisi a Gubbio, e anche nella passeggiata per le vie della Firenze nonviolenta), ci ha permesso di ascoltare Carlo Melegari sul tema dell’immigrazione, davanti alla Basilica di San Zeno; poi la testimonianza di Alberto Trevisan davanti al Tribunale militare; la lezione di storia dell’urbanistica delle fortificazioni militari di Alberto Tomiolo, davanti all’Arsenale; e il racconto di Sergio Paronetto, al Ponte della Vittoria, del vero drammatico volto della prima guerra mondiale; in Piazza Brà abbiamo deposto la bandiera della nonviolenza sulla lapide che ricorda l’olocausto nei campi di sterminio nazisti e davanti al cippo dedicato a tutti i caduti di tutte le guerre. Daniele Lugli ha concluso richiamando il senso profondo del “ripudio” della guerra.
Nell’editoriale di presentazione del Congresso, nel numero di agosto-settembre, scrivevo “se riusciremo a svolgere un buon Congresso e condurre una buona manifestazione, avremo, nei fatti, già messo in atto la nostra politica nonviolenta”. Mi fa davvero piacere poter affermare ora che ciò è effettivamente accaduto. Le amiche e gli amici della nonviolenza che si sono riuniti a Verona (un centinaio nei quattro giorni di lavori congressuali) hanno dato vita ad un buon Congresso, che costituisce la base ideale e programmatica per i prossimi anni di vita del Movimento Nonviolento.
Saluti e auguri di buon lavoro
I messaggi inviati al Congresso

In apertura dei lavori sono stati registrati letti i saluti ai congressisti inviati da parte di persone amiche, o rappresentanti istituzionali, che pur non potendo intervenire personalmente, hanno comunque voluto far pervenire un loro messaggio. Riportiamo gli stralci più significativi di alcuni saluti ricevuti e accolti dall’assemblea con calorosi applausi.
Da Sandro Canestrini, avvocato di Rovereto
Sono impedito dalle mie negative condizioni fisiche dal partecipare al Congresso, per la prima volta in tutti questi anni. Vi auguro di tutto cuore ottimo successo nei lavori, accompagnandovi come sempre con il mio fraterno augurio.
Da Giuliano Pontara, Università di Stoccolma
Mi piacerebbe essere fisicamente presente a queste giornate di corale ricerca e marciare con voi per le vie di Verona (e magari tirar fuori sul più bello un panino di tasca e mangiarlo ordinatamente in istrada). La nonviolenza è fatta nel giornaliero, da uomini e donne “terribilmente normali”, con aggiunte individuali che assieme possono creare ruscelli, torrenti, fiumi.
Da Ekkehart Krippendorff, Università di Berlino
La nonviolenza è ovviamente qualcosa di diverso da una semplice posizione intellettuale e generica di pura negazione – la a-violenza, cioè la negazione della violenza. Essa può essere solo l’espressione pratica e il comportamento concreto di una visione positiva e creativa della vita.
Da Giancarla Codrignani, Presidente della LOC
Ho detto che ritengo rilevante il momento, sia per le vicende in corso che hanno a che vedere con tutti i problemi della violenza, sia perché i principi che abbiamo coerentemente onorato negli anni debbono essere riletti alla luce delle ipotesi che sapremo formare per il futuro.
Non intendo soffermarmi su cose ovvie. Tuttavia credo che, proprio a partire dalla nonviolenza, si debba ridare senso al “fare politica” come dovere civile costruttivo e “bello”. Se, poi, i nonviolenti, saranno così efficaci da capire che non si può più parlare di nonviolenza senza partire dalla cultura di genere e dalla competenza delle donne, forse si potrà aprire qualche pagina nuova.
Da Diego Cipriani, Direttore UNSC
Sono convinto che, anche ora che la leva obbligatoria nel nostro Paese è stata sospesa, la mission principale che il legislatore ha voluto assegnare al servizio civile nazionale sia quella del contributo che esso è chiamato a dare alla “difesa della Patria” con mezzi e attività non militari. Dunque, la “cifra” che caratterizza il “nuovo” servizio civile non è molto diversa da quella del “vecchio” e cioè la nonviolenza. So bene che anche voi, nella vostra lunga esperienza di Ente “convenzionato”, prima, e “accreditato”, ora, avete potuto sperimentare tutto ciò.
Da Paolo Ferrero, Ministro della Solidarietà Sociale
La crisi delle strutture che abituavano gli individui a vivere in società – lo Stato, il lavoro, la famiglia…. – unita alla precarietà economica ed alla durezza della vita urbana, aumenta l’incertezza e la paura di tutti e tutte noi, e spinge ad individuare nell’altro, nel diverso, il capro espiatorio a cui imputare tutto il male e ad espellerlo con violenza dalla comunità sociale, o dalla vita stessa.
In queste condizioni i valori e le pratiche della nonviolenza assumono una rilevanza ancor maggiore. La diffusione e l’evoluzione delle idee nonviolente, la loro capacità di estendersi dal tema della pace a quelli dell’economia e dell’ambiente, della politica, della giustizia e di tutte le relazioni interpersonali, sono per tutti e tutte noi motivo di conforto e di speranza.
Da Fausto Bertinotti, Presidente della Camera dei Deputati
La scelta della nonviolenza si colloca oggi all’interno di un quadro complessivo di grande drammaticità, in cui la guerra e il terrorismo realizzano giorno dopo giorno un progressiva erosione delle ragioni dell’uomo, dei suoi diritti inalienabili, delle basi fondanti della vita associata.
Declinare attraverso la pratica individuale e collettiva la metodologia della trasformazione pacifica e nonviolenta della società allargando gli spazi del dialogo, dell’accoglienza e dell’ascolto delle diversità rappresenta dunque una premessa indispensabile per la costruzione di un nuovo modello di società, sorretto dalla cultura della partecipazione democratica, del riconoscimento tra i popoli e le nazioni del mondo e della pace.
Da Franco Marini, Presidente del Senato della Repubblica
Il pensiero e la figura di Aldo Capitini costituiscono un modello e una fonte inesauribile di ispirazioni per quanti credono in un mondo affrancato dalla violenza e dall’intolleranza.
Il Congresso ricorda l’amico
Piergiorgio Acquistapace

Chi ha conosciuto Piergiorgio Acquistapace lo avverte qui, con noi.
Vedo Piergiorgio che cammina, determinato e sorridente, dietro lo striscione del Movimento Nonviolento a Vicenza. Lo rivedo qualche tempo prima, una sera, a Verona. Siamo insieme a tavola, c’è anche la moglie e una figlia. Facciamo festa: il male che l’aveva afferrato aveva allentato la sua presa. Il suo modo era attento, appropriato. Danilo Dolci avrebbe detto “esatto”. Le cose vanno fatte con cura, con costanza d’impegno, con leggerezza, senza sforzo apparente.
Tante cose ha fatto. La diffusione “militante” di Azione nonviolenta è un esempio. Piergiorgio aveva indetto un premio per i più attenti e solerti amici della nonviolenza: Art. 1 Sono messe in palio cinque copie dell’ultimo numero della rivista “Azione Nonviolenta” al modico prezzo di 3 euro trattabili. Art.2 I concorrenti dovranno prenotare una copia via e-mail all’indirizzo pga@lillinet.org. Vincono le copie i primi cinque concorrenti in ordine di prenotazione. Farà fede la data e l’orario indicati nella stessa mail Art. 3 I premi saranno consegnati direttamente agli interessati o a persone di fiducia espressamente indicate. Art.4 Ai concorrenti classificati dal 6° posto in poi saranno riservate espressioni di apprezzamento e riconoscenza con il proposito di aumentare il numero delle copie del prossimo numero di Azione nonviolenta e quant’altro ritenuto opportuno dall’insindacabile giudizio di Piergiorgio Acquistapace.
Non ci ha fatto mancare il suo contributo al congresso. La rivista molisana “Il ponte”, sett.-ott. 2007, apre con “Politica di pace e pratiche di nonviolenza” di Piergiorgio Acquistapace.
Molti sono i ricordi di amici molisani, di persone che hanno condiviso, in vari significativi momenti, il suo impegno, di amici della nonviolenza. Cito solo la breve nota di Luciano Capitini: Leggo che tutti abbiamo risentito pesantemente della mancanza del nostro caro amico. Come altri hanno detto, anch’io ho potuto trattenere a stento le lacrime. Di lui ricordo l’impressione che dava: una persona perfetta, un nonviolento privo di sbavature ed invece ricco di doti. Sono sempre stato impressionato dalla sua serenità, la calma, la profondità, che poi si attuavano in azioni incisive, precise, ricche di energia. Ammiravo la sua famiglia, il gruppo che aveva costituito attorno a sé. Ora non c’è più, e non riesco ad immaginare come potrebbe, una morte, colpirmi di più.
Concludo con Aldo Capitini: Ho insistito per decenni ad imparare e a dire che la molteplicità di tutti gli esseri si poteva pensare come avente una parte interna unitaria di tutti, come un nuovo tempo e un nuovo spazio, una somma di possibilità per tutti i singoli, anche i colpiti e annullati nella molteplicità naturale, visibile, sociologica. Questa unità o parte interna di tutti, la loro possibilità infinita, la loro novità pura, il loro «puro dopo» la finitezza e tante angustie, l’ho chiamata la compresenza.
Ringraziamo Piergiorgio Acquistapace per la sua presenza, che ci aiuta a sentire questa profonda vicinanza, questa unità, che fatichiamo a vivere.
(dall’apertura della relazione di Daniele Lugli)
La nonviolenza è politica per il disarmo
ripudia la guerra e gli eserciti

di Daniele Lugli

Al congresso abbiamo dato un titolo inusitatamente lungo. Come introdurre un incontro così impegnativo? Un suggerimento viene da una conversazione avvenuta in Cina oltre due millenni e mezzo fa:
– Nel Regno del Sud le cose vanno molto male, cosa consiglierebbe il maestro?
– Ridare alle parole il loro senso originario, è la risposta di Confucio.
Anche nella periferia del Regno del Nord, dove ci troviamo ora, le cose vanno piuttosto male.
Propongo poche aggiunte come invito a riflettere sulle parole.
La nonviolenza. È pianta di molte radici, perché molti sono gli elementi che la costituiscono, molti gli approcci, gli approdi. Ma, se dobbiamo darne un’immagine – io resto molto legato a Capitini – è una freccia di direzione che diamo alla nostra vita, al nostro agire individuale e collettivo. Fondante è l’adesione personale, la persuasione della sua possibilità e necessità. Altro elemento è l’intenzionalità verso l’apertura a quello che vive, quindi al suo esistere, alla sua libertà, al suo sviluppo. È l’impegno che assumiamo con l’adesione alla carta del Movimento Nonviolento, movimento pienamente politico. Constatiamo difficoltà, inadeguatezza, ma non c’è salto tra la nonviolenza e la pratica politica. In essa non perde valore, anzi è momento di partenza, l’impegno personale. Al centro dell’agire sono persone, che sanno farsi centro, dal basso, collegate tra loro a costruire reti orizzontali. Porsi al centro non è mettersi sopra, ma sollecitare lo sviluppo di quanti condividono le nostre esperienze.
È in atto una profonda involuzione politica e sociale. La nonviolenza ci sollecita a guardare dentro ai mutamenti, a dirci con sincerità quanto ci sembra di comprendere, anche se contrasta le nostre aspirazioni e ci fa soffrire. La nonmenzogna è un contributo non trascurabile che possiamo dare al rinnovamento della politica. Luther King traduceva satyagraha come potere dell’amore. Questo ci rammenta che la nonviolenza affronta il problema del potere sapendo che il potere non è quello che ci viene rappresentato nei suoi aspetti oscuri, ma che presenta una possibilità diversa e luminosa.
Hannah Arendt ci ricorda che il momento più alto e qualificato dell’azione è l’azione politica e che il potere corrisponde alla capacità umana non solo di agire ma di agire di concerto. Lo sapevano bene i ragazzi di Barbiana: Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia. Ogni volta, faticosamente, ci tocca di riscoprirlo.
Il potere consiste nella relazione, nella costruzione di relazioni, nell’agire consapevole e di concerto per la soluzione del problema, sempre più comune agli altri e a me. Il potere è nostro, è di tutti, ci appartiene. La Costituzione ce lo riconosce sovrano, ma esiste solo nel suo esercizio, non per sovranità riconosciuta ma per capacità esplicitata. Il potere e la violenza sono opposti: dove governa l’una l’altro è assente. Combattere la violenza in tutte le sue forme, in tutti i suoi luoghi, è dunque condizione per la buona politica, per l’instaurazione di un potere condiviso e riconosciuto.
La nonviolenza è politica. Se la democrazia è la soluzione politica meno peggio che siamo riusciti a mettere in campo, bisogna difenderla. La sua permanenza – democrazie occidentali minacciano di risultare accidentali – è insidiata dall’esterno e ancora più dall’interno. Per questo non troviamo particolarmente affascinanti le sirene dell’antipolitica. Rispecchiano la cattiva politica che contestano. Hanno in essa una giustificazione, ma non ne rappresentano un superamento.
La crisi della democrazia non è solo italiana. La crisi economica spiega qualcosa, non tutto. Un paese come la Svizzera, risparmiato dalle guerre, senza problemi economici pressanti o particolari difficoltà di integrazione, dà il massimo dei voti al partito che ha nel manifesto elettorale tre pecore bianche che scacciano una pecora nera. Pontara, abituato al buon uso delle parole, scrive di tendenze naziste. È una crisi grave e profonda. Non riguarda solo l’Italia, anche se come paese abbiamo delle specificità con cui confrontarci.
Gran parte del nord sembra dire che della politica non sa che farsene: ha da fare i soldi, la politica è solo ostacolo alle ghiotte occasioni di profitto. Le istituzioni debbono agevolare l’attività imprenditoriale senza interrogarsi sui suoi esiti. La politica ha subito una mutazione difficilmente reversibile in gran parte del meridione, che appare nelle mani della criminalità organizzata. Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita controllano il territorio, modellano l’economia e la società in quelle zone, e non solo. La resistenza che incontrano non viene principalmente dalle donne e dagli uomini della “politica”. Resta una parte del paese in cui la disaffezione alle istituzioni, pur crescente, non ha ancora raggiunto i livelli descritti. Ma anche lì la democrazia sembra sempre più apparire un elemento residuale piuttosto che un ideale capace di mobilitare le coscienze.
Abbiamo specificità non invidiabili. Di due cose si meravigliava la corrispondente del “Financial Times”: gli italiani sembrano non avere un’idea di che cosa sia un conflitto d’interessi e accettano una situazione impensabile altrove in Europa; il Papa sembra considerarsi il re d’Italia e questo non desta apprezzabili reazioni. Noi che spesso sottolineiamo come la violenza culturale e strutturale siano alla base di ogni violenza manifesta, avremmo anche a questo riguardo un grosso lavoro da compiere.
Sento in giro molta delusione per l’azione del governo, proporzionata forse alle illusioni della vigilia. Chi come me da tempo vota in un’ottica di riduzione del danno ne risente forse meno. Illusioni, come Movimento, non ne abbiamo mai nutrite. Sapevamo che dalle urne elettorali non poteva scaturire molto di buono, perché molto di buono in giro non c’è. Anche questo ci rimanda una responsabilità generale in cui siamo pienamente coinvolti come cittadini, e come cittadini amici della nonviolenza, impegnati cioè a dare un’aggiunta per il miglioramento, se non la sopravvivenza, della democrazia. Non è una questione che possiamo addebitare solo alla mala casta dei politici. Profonda è la sfiducia collettiva nella possibilità di una politica diversa. Partiti, sindacati, istituzioni rappresentative si contendono, da tempo, gli ultimi posti nella considerazione dei cittadini italiani. Certo i partiti, anche nell’ultima competizione elettorale, potendo scegliere con la maggiore libertà le persone che sarebbero state elette, salvo qualche eccezione – che conosciamo una ad una – hanno fatto pessime scelte. Ma va anche ricordato che con qualsiasi legge elettorale, salvo quella pensata da Calderoli e da lui definita una porcata, il cattivo schieramento, che ha prevalso sul pessimo, non ce l’avrebbe fatta. Momenti di protagonismo sociale, che pure non mancano, non si collegano ai rari tentativi di rinnovamento delle istituzioni politiche. Anche sotto questo profilo il nostro impegno, minimo nelle dimensioni ma continuo e preciso, può dare un contributo utile. È un impegno per il progresso.
Possiamo non avere nel progresso indefinito e necessario dell’umanità la stessa fiducia che aveva Condorcet, intento a scriverne anche all’ombra della ghigliottina. Ne condividiamo però le direzioni che lo fanno come tale riconoscere: l’eliminazione delle disuguaglianze tra le nazioni, l’estensione dell’eguaglianza in seno ai singoli popoli, il perfezionamento della natura umana.
La nonviolenza è politica per il disarmo. Con il disarmo, cioè il toglierci le armi – le armi che abbiamo, l’armatura, la difesa – andiamo a toccare un punto molto sensibile. Ci sono preoccupazioni, paure, ossessioni securitarie, ma c’è anche la necessità della sicurezza.
La sicurezza, il poter stare senza preoccupazione, è certamente un bene ed è un bene collettivo. Nessuno può darcela se non ce la procuriamo noi. Dobbiamo riconoscerla come bene comune, quotidianamente custodirla, costruirla. Spesso facciamo il contrario: distruggiamo quella che abbiamo.
La sicurezza è cosa da preservare e costruire assieme con intelligenza e capacità momento per momento. Quando parliamo di disarmo dobbiamo fare i conti con la percezione della sicurezza, con le nostre paure. Diversamente le proposte di disarmo, che sembrano meglio intenzionate, argomentate, sostenute sono destinate a sicuro fallimento. Un esempio per tutti il referendum in Brasile sul porto d’armi: istituzioni, chiesa, società civile schierati per il disarmo, ma il voto popolare va in senso contrario. Potenza della lobby delle armi?
Qui emerge la necessità di un programma costruttivo. Ci sono esempi di azioni intenzionali, concertate, intelligenti nelle quali sono interessate e rese consapevoli della propria forza e indispensabilità le persone, che si avvertono nel rischio, spaventate anche da messaggi che sembrano avere lo scopo di atterrire. In esse c’è collaborazione delle istituzioni, delle polizie, degli operatori sociali, delle associazioni, dei cittadini. Il nostro posto è lì: nell’intervento dal basso, nella capacità di tessere relazioni tra attori così diversi, nel portare l’aggiunta necessaria, nell’attenzione al mutamento possibile.
Vi è una preoccupazione che riguarda l’intero Paese ed è collegata all’immigrazione. L’assassinio di una donna a Roma apre scenari inquietanti di razzismo e xenofobia. È in discussione la nostra capacità, la capacità delle nostre istituzioni, della società tutta, di includere e non di escludere. È fortemente correlata alla capacità di prendere le difficoltà come opportunità, di trasformare i conflitti, di instaurare relazioni. Bossi e Fini e il sindaco Tosi non hanno inventato le nostre paure: se ne sono fatti imprenditori e, poiché la cosa rende, trovano imitatori anche nel campo che si dice avverso.
Sento nelle scuole, tra giovani di bella presenza e di buoni risultati scolastici, circolare convinzioni razziste, propositi di spedizioni punitive, invettive contro il troppo che si concede agli stranieri togliendolo a noi. Episodi isolati di intolleranza violenta verso migranti e itineranti sono destinati a crescere. Così come non tarderanno a manifestarsi conflitti etnici. Da questi ci ha fin qui preservato la dispersione in centocinquanta nazionalità diverse della nostra immigrazione, rispetto alla compattezza di quella inglese, francese, tedesca (Commonwealth, Maghreb, Turchia). La diversa distribuzione delle presenze e il carattere recente dell’immigrazione più massiccia sono ulteriori elementi di differenza che hanno fin qui giocato a nostro favore. È un tema la cui importanza è destinata a crescere e che ci interpella direttamente.
Un giovane francese, passato dal movimento delle banlieu a un insegnamento alla Sorbona, ricordava gli arresti subiti, l’essere spogliati nudi per rendere più efficace e svelta la perquisizione e la convinzione diffusa nel movimento che la violenza resta l’unico modo di farsi intendere da parte di chi non ha voce. Sembra che l’esperienza passata non serva a nulla. E a nulla servirà se non saremo capaci di contribuire a una risposta diversa anche nel nostro paese. Cresceranno assieme violenze e illegalità e misure repressive e liberticide. Lo abbiamo già visto, lo stiamo vedendo. Senza fare i conti con questo ordine di problemi ogni nostro discorso sul disarmo rischia di non trovare ascolto.
…ripudia la guerra e gli eserciti. Secondo etimologia ripudia è collegato a pudere, vergognarsi, ovvero a pede, piede. Si ripudia qualcuno, qualcosa che era fortemente legato a noi e con cui non vogliamo più avere nulla a che fare. Allontaniamo addirittura col piede chi è stato con noi in così stretta relazione.
Che la guerra sia un flagello è scritto nella carta istitutiva dell’ONU, che sia cosa da dementi l’ha detto un Papa. Dovrebbe bastare per ripudiarla. Non è così. Accompagnata da aggettivi accattivanti sembra tornata presentabile. Un filosofo del diritto vieta perciò ai suoi allievi la parola guerra per sostituirla con “carneficina di massa”. Una santa carneficina di massa, una carneficina di massa giusta, una carneficina di massa preventiva, ecc. sembrano espressioni più difficilmente usabili.
Possiamo dimostrare che siamo stati e siamo coinvolti in azioni di guerra e non di polizia internazionale, contrarie alla Carta dell’ONU e alla Costituzione, ma se passa la convinzione che combattendo là la allontano da qui la maggioranza dirà che va bene così. Un’opinione coerentemente pacifista e disarmista è minoritaria. Non parliamo di quella nonviolenta. Eppure è evidente che quanto la politica non riesce a risolvere, neppure la guerra riesce a risolvere. Anzi lo aggrava e prepara di peggio. La guerra continua la politica con altri mezzi, e con lo stesso livello di inefficacia. Renè Girard dice non esservi più una politica intelligente, mentre la guerra è generalizzata, e non ci sono più capri espiatori disponibili per salvarci la pelle: tocca a noi.
Profonde sono le radici della guerra dentro di noi. Hanno consentito ai giovani di allora di trovare radiose le giornate di entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale e consentono oggi di non avere problemi nel reclutamento dei volontari. Nei corpi speciali la selezione è dura: almeno 10 aspiranti per posto. Leggo nel supplemento “Uomo” dell’Espresso che gli incursori di Marina non sono uomini ma “mezzi di assalto”. Ognuno è sub, artificiere, paracadutista e commando. Hanno più palle di tutti. Hanno talora tatuaggi, ma minuscoli, capelli anche lunghi, vestono come vogliono, sono guerrieri snob. Non sono male neppure i carabinieri del GIS e i paracadutisti del Col Moschin. I corpi d’élite non presentano difficoltà di reclutamento. E per il resto se non basteranno – finora sono bastati – gli incentivi all’arruolamento ci sono pronti i nuovi cittadini di centocinquanta nazionalità, per essere nel nostro esercito quello che negli USA sono latinos e neri.
L’esercito, dunque, da exercitu: ci si esercita a fare le cose della guerra. E ci sono cose necessarie che neppure i volontari possono fare. Si appaltano allora a schietti mercenari gli aspetti più cruenti, indicibili, della carneficina di massa. Torniamo alla paura che acceca. Parlare di rinuncia all’esercito, quando se ne richiede da più parti l’intervento anche per l’ordine interno, non è facile. Esercito viene anche da ex arcere, cioè buttare fuori, tenere lontano mentre la soluzione, lo sappiamo, sta nell’includere, nel conciliare, nel tenere vicino, nel camminare assieme. Ma mentre approfondiamo la nostra proposta non dimentichiamo che, in quelle classifiche di gradimento istituzionale con i partiti all’ultimo posto, l’esercito, seguito dalla polizia, svetta al primo.

D’accordo, la nonviolenza è politica.
E adesso che cosa facciamo?

Che la nonviolenza sia politica nessuno lo ha messo in dubbio. Più dibattuto è stato il tema sulle forme di partecipazione che il MN dovrebbe darsi e il punto più delicato ha riguardato proprio il rapporto con i partiti.
Il più determinato rispetto ad una ipotesi di impegno politico diretto è Rocco Pompeo, del MN di Livorno: “Dopo tanto dibattito credo sia giunto il momento di impegnarci come MN su una proposta politica alternativa, concreta e davvero praticabile”. La sua ipotesi è “portare una interferenza diretta nello schieramento politico italiano interloquendo con chi, tra i partiti, ha dichiarato una opzione per la nonviolenza – segnatamente i Verdi, Rifondazione Comunista e Sinistra Democratica. Ad essi dovremmo presentarci esigendo che la nostra partecipazione sia visibile e libera, in un rapporto di pari dignità”.
Piercarlo Racca, MN di Torino, interviene con un invito al realismo sottolineando che non ci sono le energie per fondare un “partito dei nonviolenti”, mentre potrebbe essere utile dare suggerimenti a chi la politica la fa professionalmente.
Tra chi difende l’identità del MN si inserisce Pasquale Pugliese, MN di Reggio Emilia: “Il MN non è un fine in sé, è uno strumento e come tale può cambiare. Ma trasformarlo in una lista elettorale è molto più che modificarlo. Significa cambiare strumento”. Il compito del MN oggi, prosegue Pasquale, è fare politica dalla base dove, ad esempio, “il tema del disarmo è completamente dimenticato. Abbiamo bisogno di provare ad intaccare questa inciviltà profonda che avanza. Per questo vorrei che rinforzassimo il nostro Movimento in quanto tale, insieme ad Azione Nonviolenta”.
Anche Luca Giusti, del MN di Genova, si sente poco coinvolto dall’idea di un impegno politico istituzionale e rilancia la proposta per una campagna nazionale condotta secondo l’esempio gandhiano. Ma “non è facile trovare un unico obiettivo per un movimento nazionale ed articolato come è il nostro, quindi propongo di metterci a disposizione dei territori ogni volta laddove emerge un conflitto, sociale o ambientale, per dare un apporto secondo lo spirito della nonviolenza”.
Per Massimiliano Pilati, del MN di Trento, tutto questo avviene già. “In tutte le nostre zone c’è qualcosa su cui impegnarci, a Trento devo solo decidere se oppormi all’inceneritore o alla TAV. Io vedo la necessità di essere lì, sul proprio territorio. Perché sono quelle le campagne dove – la Val di Susa insegna – gli amici della nonviolenza fanno la differenza”.
Gianni Tamino, del MN di Padova, in passato europarlamentare con i Verdi, torna ad abbracciare anche temi globali. “Il vero nodo da affrontare come MN non è trasformarsi in partito né mandare propri uomini all’interno della politica, ma creare le condizioni perché le proprie idee abbiano spazio all’interno della politica”.
Per questo non sono i numeri a fare la differenza. “Di difesa popolare nonviolenta si parla dagli anni Ottanta, di corpi civili di pace almeno dal ’95, ma non sono per nulla obiettivi raggiunti. Il nostro compito è favorire un dibattito anche molto piccolo ma che crei veramente qualcosa prima di tutto attraverso i rapporti umani – da qui l’importanza di essere tra persone che si conoscono e che, pur in 200, sappiano coinvolgere ognuno altri 200, in una reazione a catena che formi una massa critica”.
La questione, spiega Gianni, non è diffondere conoscenze ma cambiare atteggiamenti profondi. “Temi come il disarmo o la decrescita non si risolvono con elaborazioni intelligenti. Quelle le abbiamo già da oltre un secolo. Il problema è portare la gente nel suo complesso a dire: il re è nudo. La società civile in genere è più avanti delle istituzioni, ma qualche volta sembra che venga meno. Ecco allora, con la crisi della politica, lo spazio per l’antipolitica, che è politica meschina. Occorre diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza che la soluzione dei conflitti non può essere una soluzione armata, o che non è possibile un progresso infinito. Se questo passa è possibile che nelle istituzioni la politica della nonviolenza vada avanti – con o senza di noi nelle file dei partiti”.

Il caso Verona,
dalla città di pace alla tolleranza zero

Verona delle Arene di pace, di Nigrizia, di Azione nonviolenta. Ma anche Verona dei divieti, delle chiusure, del razzismo, della violenza. Come è possibile spiegare un passaggio così repentino, un tale crollo di speranza?
Su questo ci siamo confrontati nella serata di avvio del Congresso, un dibattito aperto alla città. Graditi ospiti nell’analisi della situazione erano Sergio Paronetto, insegnante, di Pax Christi, e Alberto Tomiolo, scrittore, del Movimento Nonviolento.

Dall’intervento di Sergio Paronetto
Verona è una città frammentata, un labirinto di labirinti, ma è anche un laboratorio di esperienze, le più varie, le più strane.
La prima urgenza del nostro tempo è il disarmo. Siamo prossimi alle basi militari di Aviano, Ghedi, Vicenza, dobbiamo capire che in un eventuale scenario di guerre preventive nucleari verranno coinvolte proprio alcune città venete. Cosa vuol dire costruire una difesa nonviolenta? E che ruolo può avere una città come Verona?
Poi c’è una violenza familiare, quotidiana, diffusa, che rovina il cuore, la mente, il corpo e si sviluppa a causa di depressioni, solitudini, assenza di relazioni. La nostra città coltiva una retorica buonista che spesso maschera il vuoto. I conflitti irrisolti, se non elaborati, esplodono in rabbie solitarie e in violenza sociale. Tutto questo, mescolandosi con i conflitti portati con sé da persone che arrivano da lontano con le loro povertà vecchie e nuove, diventa di ancora più difficile gestione.
C’è poi una questione morale aperta da vent’anni, da Tangentopoli in avanti. Oggi il rapporto sulla mafia della Confesercenti indica la criminalità organizzata come prima azienda italiana, 90 miliardi di euro l’anno pari al 7% del PIL, e anche Verona naviga nel sistema mafioso.
La nonviolenza cosa ha da dire su questo, in quanto forza della verità? Il “potere dell’amore”, come la chiamava Martin Luther King, è energia vitale di cittadini attivi che mettono in gioco se stessi, si liberano dalla paura e dalla tristezza che alimentano in loro la spirale delle intolleranze e delle violenze. Abbiamo bisogno di liberarci dalle paure: quelle eccitate, inventate, costruite, esibite, manipolate come strumento di lotta politica, ma anche le paure reali. Oggi abbiamo molti motivi per sentirci insicuri, e anche chi sostiene il contrario ha al suo interno tante zone d’ombra.
In una città come Verona può affermarsi la sicurezza di tutti e con tutti, dove si producono e si inventano beni comuni intesi come fraternità, collegamento, interdipendenza. Molti progetti veronesi vanno da tempo in questa direzione, bisogna dare spazio e respiro a queste realtà presenti in una Verona carica di contraddizioni e contrasti, ma anche ricca di energie vitali.

Dall’intervento di Alberto Tomiolo
La vittoria elettorale della destra nelle ultime elezioni è scritta nella storia di questa città. Verona è stata la caserma di tutti gli eserciti di tutte le epoche, da Cangrande in avanti. Avamposto della Repubblica di Venezia, dell’Impero Austroungarico, retroguardia della I Guerra Mondiale, capitale della Repubblica di Salò e infine, elemento molto concreto degli ultimi anni, caserma nella riorganizzazione delle presenze militari americane dopo la II Guerra Mondiale.
C’è un anno fatale per la città, il 1955. In città si sta lavorando alla trasformazione del piano di ricostruzione in piano regolatore generale della città. Verona è allora una delle 5 città italiane più bombardate. Verona è oggi una città bella e ben conservata ma molto diversa da come avrebbe potuto essere se il piano regolatore non fosse stato affidato ai poteri forti della città, cioè alle grandi imprese edilizie che imposero la distruzione del centro storico: intere strade demolite per fare spazio al parcheggio delle banche, agli interessi delle assicurazioni…
Adesso, e i primi atti del nuovo sindaco ce lo dimostrano, viviamo una sorta di ricostruzione bis. Allora era materiale ed effettiva, oggi è una ricostruzione dalla paura.
Inoltre Verona non ha avuto un ceto borghese degno di questo nome, quello che in altre regioni – la Lombardia, il Piemonte, la Liguria – ha caratterizzato un salto culturale per tutta la popolazione.
Nel 1992, dopo la vicenda del caso Maso, Turoldo scriveva: “Mi chiedo se proprio quei figli che siamo tentati di definire come mostri, non siano invece i figli più logici, più sinceri, più coerenti con il sistema di cui siamo produttori e protagonisti”.
Questo è il nostro compito: dobbiamo togliere a Verona la soddisfazione di essere diventata finalmente se stessa.
Facciamo pace fin da oggi,
un bambino alla volta

Ibu Robin Lim, l’ostetrica dai piedi scalzi, è venuta a Verona per una serata inserita nel Congresso del Movimento Nonviolento e aperta alla città.
di Elena BuccolieroPremio “Alexander Langer” 2006, Ibu Robin, 49 anni, vive a Bali con il marito Will Hammerle, i sette figli, i nipoti. Nel dicembre 2004, dopo lo tsunami, corre nella regione di Aceh, nell’isola di Sumatra travagliata anche da conflitti di natura etnica e religiosa, e comincia a lavorare con le donne sopravvissute in un’opera di tipo sanitario e ostetrico ma anche di elaborazione del lutto, di ricostruzione del tessuto sociale e delle relazioni d’aiuto tra le persone.
Attualmente è direttore esecutivo di due cliniche, a Bali e ad Aceh. Non veri e propri ospedali ma “centri comunitari”, dove è possibile fermarsi anche per una tazza di tè o per fare due chiacchiere. A Bali dal 2002 ha fondato anche un centro giovanile che fa formazione professionale e prevenzione delle varie forme di abuso. E il suo esempio, anche in campo educativo, è di grande verità e coinvolgimento diretto nelle situazioni più estreme.
“Quando mi sono recata a portar soccorso alle vittime dello tsunami ho portato con me i miei figli adolescenti”, ha raccontato Ibu Robin. “Hanno sperimentato insieme a me il più grande disastro del pianeta. Hanno sollevato corpi morti, hanno assaggiato la salinità dell’acqua per trovare acqua dolce per i sopravvissuti, sono stati fermati dai militari. Molti mi hanno criticata perché li mettevo in questa situazione. In seguito però mia figlia è stata coinvolta nella Commissione Verità e Riconciliazione dell’ONU per il Timor Est.
Io credo che possiamo costruire la pace un bambino alla volta. E se vogliamo che la prossima generazione si metta sulla strada della nonviolenza dobbiamo allattare al seno i neonati, accoglierli in modo rispettoso e insegnare la pace fin dal momento del concepimento”.
In tutta l’Indonesia le sue sono le uniche cliniche dove le donne possono entrare insieme al loro nucleo familiare e in cui possono scegliere di partorire in acqua. Ma non è soltanto questo.
“Lavoriamo da molto tempo per strappare la nascita all’industria medica e restituirla alle donne. Questo è molto importante soprattutto in Indonesia dove le donne non sono trattate con rispetto, soprattutto durante il parto durante il quale vengono addirittura abusate, picchiate se osano piangere e fatte partorire in condizioni non igieniche.
Noi diamo buone cure alle mamme. Le accogliamo insieme alle loro famiglie, ci assicuriamo che siano alimentate correttamente, le accarezziamo sulla schiena finché partoriscono e soprattutto cerchiamo di preservare la loro dignità”.
Chi sono le mamme che si rivolgono al vostro centro?
“Sono le più povere. Per questo vengono da noi, perché in qualunque altro ospedale indonesiano devono pagare cifre molto alte per partorire e, se non hanno denaro, non possono portare via il bambino. Quello che però ci spezza il cuore è sentire donne che vengono da noi al secondo parto, dopo aver avuto il primo figlio in un ospedale, e poi ci ringraziano perché non le abbiamo picchiate quando piangevano durante il parto”.
Anche la nonviolenza politica sta nascendo e le cose da fare sono molte. Che cosa pensa del titolo del nostro congresso?
“La nonviolenza per me è essenziale, ne abbiamo bisogno come dell’acqua e del latte materno. Dobbiamo respirare, mangiare e bere nonviolenza. Dopo lo tsunami ogni giorno i soldati feriti venivano alla nostra clinica e volevano che li curassimo. Noi eravamo disposti a farlo, come per tutti i cittadini, a patto che lasciassero le armi fuori dalla clinica. Erano ragazzi, bambini in armi, non è stato difficile convincerli a non portare le armi con sé. Poco a poco è diventata un’abitudine”.
Vi è mai capitato di avere paura?
“Non direi. Noi non abbiamo preso parte nel conflitto tra i ribelli e questo voleva dire non avere nessuna protezione. In realtà non eravamo neppure in pericolo. Quello che ci ha preservato è stato il servizio dato a chiunque ne avesse bisogno, al di là delle appartenenze politiche e culturali, e l’aver preso una posizione fortissima per la nonviolenza.
Una sola volta ho avuto veramente paura. Ci avevano chiesto di circoncidere degli orfani e io non volevo eseguire l’ordine ma non sapevo come sottrarmi. Al colloquio con le autorità sono andata insieme a mio figlio 17enne e, quando ancora non sapevo come gestire la situazione, è stato lui a parlare per primo: ‘Mi dispiace signore, la religione di mia madre è la nonviolenza, non può fare violenza a dei bambini’. A quel punto mi hanno lasciata libera di scegliere”.
XXII CONGRESSO NAZIONALE DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Verona, 1-4 Novembre 2007

Mozione generale

Le amiche e gli amici della nonviolenza, riuniti in Verona per il 22° Congresso del Movimento Nonviolento, al termine di lavori articolati in commissioni e sedute tematiche:
– esprimono adesione alle linee generali di analisi e di programma esposti nell’introduzione del Presidente;
– assumono gli impegni risultanti dai lavori delle commissioni come approvati dall’assemblea e gli indirizzi delle mozioni particolari approvate dall’assemblea stessa;
– ribadiscono la necessità dell’apporto dei pensieri e delle pratiche della nonviolenza, esercizio competente del potere di tutti e di ciascuno, per affrontare la grave crisi della politica e delle stesse strutture della democrazia rappresentativa, evidentemente, anche nei paesi di più lunga e consolidata tradizione;
– si impegnano nel confronto e sono aperti alla collaborazione con quelle forze politiche e sociali che si mostreranno più consapevoli della profondità della crisi del nostro paese e dell’illusorietà di soluzioni affidate all’ingegneria istituzionale o alla demagogia dell’antipolitica;
– indicano nella diffusione e approfondimento del lavoro dei Centri del Movimento Nonviolento e dei singoli aderenti, nel loro collegamento a livello regionale, nel loro coordinamento affidato al comitato nazionale, nella costante apertura, proposta e pratica di collaborazione ai movimenti o realtà diffuse che alla nonviolenza si ispirano, la condizione necessaria perché l’aggiunta della nonviolenza per la politica buona sia credibile e possibile;
– indicano nella diffusione di Azione nonviolenta, nel suo utilizzo come essenziale strumento di comunicazione dei pensieri e delle pratiche della nonviolenza, un impegno prioritario per tutti gli aderenti.
Il Movimento Nonviolento impegna se stesso, tutti i propri iscritti, le sedi e i centri, il comitato di coordinamento e il direttivo, a realizzare entro l’autunno del 2010, a conclusione del Decennio per la nonviolenza, una iniziativa (marcia, raduno o altro) possibilmente di dimensioni europee (coinvolgendo altri movimenti nonviolenti, in collaborazione con War Resisters’ International), che riaffermi la priorità dell’opposizione integrale alla guerra e alla sua preparazione tramite il metodo della nonviolenza attiva. Tale evento sarà preparato e costruito con specifiche giornate – almeno due all’anno, da individuare nelle date e nei contenuti -, nella quale tutti i gruppi e i singoli aderenti si attiveranno localmente in modo pubblico per riaffermare l’identità del Movimento Nonviolento e la sua visibilità.
La marcia o evento conclusivo del 2010 sarà riempito dai contenuti emersi dalle iniziative proposte da questo XXII Congresso ed effettivamente realizzate nei prossimi 3 anni. Sarà il punto di arrivo di un percorso collettivo, realizzato con “familiarità e tensione” dagli aderenti al Movimento Nonviolento che nuovamente si riuniranno nel XXIII Congresso Nazionale, nel 2010.
Approvata (unanimità)

Mozioni delle Commissioni
CORPI CIVILI DI PACE (COMMISSIONE 1)
Il XXII Congresso del Movimento Nonviolento ribadisce la validità della funzione svolta dall’Associazione IPRI ((Italian Peace Research Institute)-Rete CCP (Corpi Civili di Pace), di cui il Movimento Nonviolento è cofondatore con altre associazioni. Il Movimento Nonviolento ritiene che la funzione principale di questa associazione che riunisce la ricerca sulla pace (IPRI) e la proposta di interventi nonviolenti in zone di conflitto (Rete CCP) debba continuare ad essere quella di perseguire l’obiettivo di proporre la costituzione da parte dello Stato o dell’Europa di corpi Civili di Pace quale alternativa dell’attuale politica di invio di missioni militari spacciandole per interventi di pace anche quando senza ombra di dubbio sono interventi di guerra.
Come obiettivi da perseguire a livello istituzionale identifichiamo:
Legge per l’istituzione anche nel nostro Paese di un Istituto di ricerca sulla Pace;
Legge che istituisca dei Corpi civili di pace quale alternativa all’invio di militari all’estero in zone di conflitto;
Programma di incontri culturali e seminariali di pratica nonviolenta da proporre alle Amministrazioni locali tramite la rete della associazioni locali.
Pur essendoci già delle iniziative di volontari in zone di conflitto, il Movimento Nonviolento ritiene che un riconoscimento di questa funzione da parte dello Stato sia un passo necessario di riconoscimento al ruolo che posso esercitare i Corpi civili di pace :
Prevenzione
Mediazione, interposizione e soluzioni nonviolente in situazioni di conflitto
Interventi di riconciliazione
Tutte queste attività devono essere necessariamente distinte da interventi di aiuti umanitari o di “ricostruzione” che sono ruoli normalmente gestiti dalle ONG.
E’ necessario quindi che l’attività dell’ IPRI-Rete CCP con l’attivo impegno del Movimento Nonviolento, progettuale e anche autonomo, continui ad essere di interlocuzione con le nostre istituzioni parlamentari, governative ed Enti Locali.
Approvata (1 astenuto)

SERVIZIO CIVILE (COMMISSIONE 2)
Il Movimento Nonviolento si impegna a:
Salvaguardare il significato/valore del SC (Servizio civile) come contributo alla DPN (difesa popolare nonviolenta), e pertanto ad essere informato sulle ricerche in atto e sulla realtà operativa odierna del sistema SCN (Servizio civile nazionale).E quindi a :
impegnare il Comitato di Coordinamento a partecipare e contribuire criticamente al dibattito sul processo di sviluppo del SC nelle prospettive individuando modi, luoghi,tempi e soggetti strategici più idonei, non appena i dati delle ricerche sono disponibili.
Utilizzare la rubrica SC su Azione nonviolenta come strumento di confronto in modo costante e attinente ai “fatti” attuali del SC.
Curare la qualità della realizzazione dei progetti di SC posti in essere aumentando lo sforzo per :
rafforzare la realizzazione di percorsi formativi nelle specifiche tematiche legate a nonviolenza, DPN, EDAP (Educazione alla pace)
individuare programmi operativi più dettagliati e condivisi. Questo già a partire dal progetto in avvio a Brescia il 5 Novembre 2007 per poi modificare i progetti da presentare nel 2008.
Avviare e curare il confronto per la condivisione di attività progettuali con associazioni, movimenti e soggetti affini al Movimento Nonviolento a partire da quelli presenti sui territori delle sedi del MN accreditate per il SC, al fine di presentare i progetti 2008 in forma co-progettante.
Individuare almeno un’idea progettuale in materia di DPN, al fine di sperimentare con volontari in SC forme di DPN, in Italia o in collegamento con la WRI (War Resisters’ International). Obiettivo sarà presentare un progetto di tale natura entro il 2009.
Valutare l’opportunità di aggiornare l’accreditamento al SC del Movimento Nonviolento nei tempi consentiti da UNSC (Ufficio nazionale Servizio civile) e Regioni al fine di facilitare, appena possibile, la realizzazione della presente mozione.
Approvata (1 astenuto)

EDUCAZIONE ALLA NONVIOLENZA (COMMISSIONE 3)La commissione ha preso le mosse da una breve analisi delle esigenze raccolte nella scuola e al di fuori di essa rispetto alla formazione alla nonviolenza, e di ciò che già viene fatto a nostra conoscenza, dentro e fuori dal Movimento Nonviolento.
Nelle premesse è stato concordato che:
l’educazione è un campo strategico, e già politico, per la crescita della nonviolenza;
le esperienze di educazione alla pace e alla nonviolenza in questi anni stanno crescendo presso Enti Locali, scuole, associazioni, Università;
i contenuti trasmessi comprendono sia aspetti di educazione alla proposta della nonviolenza richiamandosi ai grandi autori e alle più importanti esperienze della storia, sia proposte mirate a sviluppare competenze nella gestione dei conflitti interpersonali e sociali vissuti da chi si avvicina alla formazione alla nonviolenza;
lo specifico della nonviolenza consiste proprio nel guardare alla complessità tenendo insieme i conflitti di livello micro, meso e macro; ricerca e azione; violenza diretta, culturale e strutturale;
le più importanti azioni che il Movimento Nonviolento mette in campo rispetto alla formazione sono:
la pubblicazione di Azione nonviolenta, fondamentale strumento di formazione;
una piccola linea editoriale che dà diffusione a riflessioni ed esperienze altrimenti difficili da reperire;
i campi estivi per giovani e adulti;
la partecipazione ai lavori del Comitato per il Decennio dell’educazione alla pace e alla nonviolenza;
la formazione ai volontari in Servizio Civile, presso le proprie sedi e, ove possibile, per altre realtà;
incontri sui temi della nonviolenza in tutti i luoghi dove si è chiamati e dove è possibile andare.
Di fronte al compito di rinforzare questi settori e di aprire a nuove possibilità, sono stati individuati tre nuclei di lavoro che nascono da esigenze specifiche:
Obiettivo: diffondere i contenuti della nonviolenza, per nulla scontati, cominciando dagli ambiti preposti alla formazione, ovvero la scuola, l’università, il servizio civile nazionale. Azioni: sono stati individuati alcuni impegni diversamente graduati che ricordiamo fin da oggi a tutti gli iscritti al MN e, per quanto possibile, a tutti gli abbonati ad AN, ovvero;
– proporre personalmente l’abbonamento ad Azione nonviolenta e l’acquisto di materiale librario alle biblioteche comunali e di quartiere dei luoghi dove abitiamo, alle biblioteche scolastiche, agli uffici che si occupano di servizio civile;
– prendere contatto con i Comuni di residenza affinché si impegnino nella promozione dell’educazione alla pace e alla nonviolenza, assumendo formalmente il tema nei loro statuti comunali e agendo coerentemente nella promozione di iniziative nelle scuole e sul territorio;
– far vivere nella propria realtà gruppi aperti di riflessione, di studio e di azione per la formazione alla nonviolenza, sull’esempio dei Centri di Orientamento Sociale di Aldo Capitini e dei laboratori maieutici di Danilo Dolci.
2) Obiettivo: valorizzare la ricchezza di esperienze già in atto, promuovendone lo scambio e il confronto a scopo sia di autoformazione, sia di moltiplicazione delle iniziative.
Azioni: proseguimento della rubrica sull’educazione, eventualmente dandole uno spazio più ampio per raccontare esperienze in atto, e creazione di una sezione specifica del sito dedicata all’educazione, di cui un primo progetto è già stato abbozzato da Luca Giusti e Raffaella Mendolia che valuteranno la possibilità di seguirlo anche in seguito, insieme al webmaster del sito del Movimento.
Questa sezione del sito potrebbe comprendere:
progetti ed esperienze di educazione e formazione alla nonviolenza;
materiali di lavoro elaborati e sperimentati da insegnanti iscritti al Movimento per condurre lezioni delle loro discipline, evidenziando lo specifico della nonviolenza o sviluppando una formazione più completa e senso critico rispetto alle discipline;
indirizzi di persone del MN disponibili a essere riferimento o a fare formazione;
bibliografie tematiche;
uno spazio per le scuole per la nonviolenza presentate in Azione nonviolenta, con i link;
link ad associazioni amiche;
un blog di scambio tra gli insegnanti iscritti al Movimento o impegnati sul tema, per una comunicazione veloce e leggera sui contenuti e i metodi che sperimentano nel loro lavoro
Obiettivo: favorire l’incontro tra chi opera nel campo dell’educazione e formazione alla nonviolenza, anche in un rapporto di collaborazione e apertura con altre realtà.
Azioni: progettare un seminario specifico sull’educazione alla nonviolenza proponendone la realizzazione congiunta al Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) e preparandolo attraverso il sito e la rivista. Anche su questo è stata individuata una referente per la sua preparazione, in una amica del Movimento Nonviolento che fa parte dell’MCE da molti anni e può quindi fungere da figura di collegamento tra le due associazioni.
Approvata (1 astenuto)

ECONOMIA, ECOLOGIA, ENERGIA (COMMISSIONE 4)
La Commissione ha affrontato con notevole interesse e partecipazione il complesso legame tra economia, ecologia ed energia. E’ ormai per noi ovvio come l’attuale sistema economico abbia creato un’economia violenta, antropocentrica e malata che sta rapidamente portando verso il disastro. Ad essa va opposta un’economia nonviolenta, rispettosa della natura e di tutti gli esseri viventi. Nell’ottica capitiniana del “ad ognuno di fare qualcosa” abbiamo raccolto una serie di pratiche virtuose che chiediamo di applicare e promuovere a tutti gli aderenti al Movimento Nonviolento:
sviluppare forme di scambi non monetari anche attraverso la creazione di banche del tempo;
riciclare e riparare le cose e gli oggetti, anche supportando il piccolo lavoro artigiano legato a questo, soprattutto nelle sue forme legate al lavoro femminile e migratorio;
creare momenti di scambio di cose ancora utili che non usiamo più, organizzando delle “feste del riuso” nei nostri comuni;
coltivare un orto, autoprodurre alimenti;
organizzare i nostri acquisti in gruppi di acquisto solidale presso agricoltori biologici locali, sia per ridurre gli spostamenti della merce, sia per rafforzare forme di economia locale;
sempre in un’ottica di promuovere forme di autoproduzione, si propone di portare nelle scuole l’esperienza degli orti a scuola e questo anche per far capire ai bambini l’importanza dell’origine degli alimenti e di un approccio consapevole ad essi;
ricordare l’importanza di potenziare e facilitare l’uso della mobilità ciclo-pedonale in città, scoraggiando l’uso dell’automobile;
praticare e promuovere forme di turismo locale “di vicinato” e consapevole, anche per ridurre il traffico aereo;
applicare e promuovere nei nostri comuni forme di risparmio energetico sull’illuminazione, sul riscaldamento e sul riutilizzo dell’acqua piovana nelle nuove costruzioni;
sposare l’economia solare (forma di energia alla quale si riconducono tutte le altre energie rinnovabili alternative, dall’eolico al legno) alla quale affidarci anche nel piccolo delle nostre case attraverso i pannelli solari.
Questo decalogo è consapevolmente un elenco incompleto delle buone pratiche possibili che ci portano ad avere stili di vita sostenibili che rientrano nel desiderio di un vita più sobria e di una politica legata alla decrescita felice del consumo.
Il Movimento Nonviolento si impegna ad una costante informazione sui temi trattati (anche attraverso la promozione dell’abbonamento cumulativo tra le riviste Azione nonviolenta e Gaia) e soprattutto a farsi promotore di forme di economia locali che vadano verso la costruzione di vere e proprie reti di economia solidale.
Approvata (unanimità)

RISPOSTE DI MOVIMENTO ALLA CRISI DELLA POLITICA (COMMISSIONE 5)
Per “crisi della politica” si deve intendere innanzitutto la crisi dei partiti e dei politici, a partire da quelli di sinistra, che troppe volte hanno perso il fondamento e il riferimento nella loro cultura e storia di origine, sino al punto di annullare ogni distinzione concreta fra destra e sinistra.
Tutti ciò ha contribuito, complice la “cattiva maestra TV”, ad un diffuso imbarbarimento e alla diffusione di una cultura parafascista, intollerante, nichilista che contagia gran parte della gioventù.
Di fronte a questo scenario, il Movimento Nonviolento dovrà impegnarsi lungo le seguenti linee direttrici:
Operare per coinvolgere la cittadinanza in una politica dal basso che realizzi concretamente l’ideale della omnicrazia capitiniana, dell’empowerment, dell’arte di non essere governati, dell’autogoverno. Questo processo sarà più facile da sviluppare nella piccola scala, ovvero in singoli quartieri, piccole cittadine e paesi dove tuttora sono più forti i legami di solidarietà;
In questa opera di diffusione del “potere dal basso” il Movimento Nonviolento privilegerà la partecipazione a quelle esperienze di lotta già radicate nel territorio, in difesa di comunità minacciate dalla politica centralista, sviluppista, corruttrice, delle “grandi opere” e della militarizzazione del territorio (TAV, autostrade, rigassificatori, inceneritori, basi militari). Gli attivisti del Movimento Nonviolento sono in grado di contribuire all’addestramento alle lotte nonviolente coinvolgendo anche settori non sempre in sintonia con tale orientamento (centri sociali, movimenti antagonisti). Si invita a costituire una banca dati ed una mappatura delle esperienze in corso;
Il Movimento Nonviolento promuove una cultura della nonviolenza intesa come “rivoluzione permanente” e come “sovvertimento di una società inadeguata” (Capitini) a partire innanzitutto dal proprio specifico di “opposizione integrale alla guerra”, con un programma costruttivo che intende realizzare forme di difesa popolare nonviolenta, interna ed esterna, mediante i Corpi civili di pace, e una diffusa capacità di trasformazione nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro, mediante tecniche di mediazione;
Il Movimento Nonviolento continua il suo lavoro di interlocuzione con il livello della politica istituzionale sia su temi e proposte legislative specifiche, sia su un confronto culturale che richiami alla loro responsabilità quei politici e quelle istituzioni che troppo spesso si richiamano alla nonviolenza in termini genericamente retorici;
Consapevole dell’enorme portata di questo impegno, il Movimento Nonviolento si propone di potenziare le proprie strutture e sedi organizzative, aumentare la partecipazione degli attivisti, migliorare gli strumenti di comunicazione, a cominciare dalla rivista Azione nonviolenta, e svolgere un capillare lavoro culturale e di formazione in tutte le sedi e le occasioni propizie, in sinergia con altre associazioni e movimenti dell’area nonviolenta.
Approvata (3 astenuti)

RESISTENZA NONVIOLENTA CONTRO IL POTERE MAFIOSO (COMMISSIONE 6)
La commissione, pur ritenendo degna di grande attenzione l’evoluzione della situazione nelle diverse aree del paese interessate dal fenomeno mafioso, ha preso in esame in particolare la situazione della Calabria, regione nella quale tra l’altro si è svolto nell’agosto scorso un partecipato incontro preparatorio al Congresso nazionale.
Il Movimento Nonviolento riconosce in Calabria un’emergenza democratica e una degenerazione delle condizioni di convivenza civile. Le analisi sul fenomeno della ‘ndrangheta sono molte. In questo pezzo di Italia si è consolidato ed è in espansione un sistema mafioso che intreccia e salda i tre livelli di violenza analizzati da Galtung:
la violenza diretta: la ‘ndrangheta ha un apparato militare capace ormai di colpire in qualunque angolo d’Italia e di Europa, con estrema violenza come si è visto con la strage di ferragosto in Germania;
la violenza strutturale: essa ha un totale controllo del territorio fondato su reti familistiche di affiliazione, che non generano pentitismo, che situa i propri uomini in tutti i luoghi di incontro tra i bisogni delle persone e la loro soddisfazione. Ciò che in altri luoghi di Italia è un diritto – cure ospedaliere, lavoro, sicurezza ecc. – in Calabria è una elargizione del potere mafioso a cui si contraccambia con il voto di scambio. La presenza mafiosa è ormai trasversale ai diversi partiti di destra e sinistra;
la violenza culturale: l’espansione del sistema di violenza genera rassegnazione nelle popolazioni più anziane e ammirazione in buona parte delle più giovani, che vedono in questo centro di potere una garanzia di affermazione e rispetto dei propri “diritti”, in un circolo perverso che genera nuovi affiliati e aumenta la capacità di dominio e controllo.
Di fronte a un contesto di questo tipo il Movimento Nonviolento non crede che ci si possa limitare a “fare il tifo” per i pochi magistrati coraggiosi, isolati, e osteggiati dal potere politico, ma ritiene che queste condizioni possano costituire un importante laboratorio nel quale la nonviolenza italiana si misura con un sistema interno di violenza. Non si parte da zero ma da un’esperienza maturata negli anni, a partire dall’impegno di persone come Danilo Dolci, Peppino Impastato, Placido Rizzotto e dagli approfondimenti e iniziative sviluppate in Sicilia, anche con il contributo di Libera e di tanti amici della nonviolenza.
A questo scopo il Movimento Nonviolento intende muoversi su alcune direttrici:
a) sostenere, per quanto nelle sue possibilità e in particolare attraverso i propri iscritti residenti in Calabria, la costituzione di una rete nonviolenta regionale che ha mosso il primo passo proprio nell’incontro di agosto promosso dal Movimento Nonviolento a Palmi. All’interno di questa rete vede con particolare interesse la costruzione del progetto “Satyagraha in Calabria”, proposto al Congresso da un nostro iscritto, e che prevede il coinvolgimento sul focus antimafia dei diversi centri di pace e nonviolenza presenti in regione;
b) il Movimento Nonviolento vede con altrettanto interesse la realizzazione di un seminario su “mafia e nonviolenza” che la rete IPRI-Corpi Civili di Pace sta preparando per la prossima primavera a Stilo, al quale non farà mancare il suo contributo di idee, oltre a mettere a disposizione Azione nonviolenta per i materiali preparatori e per la pubblicazione dei risultati;
c) infine, impegna il proprio Coordinamento nazionale ad organizzare in tempi congrui un campo estivo in Calabria di formazione alla nonviolenza in collaborazione con i centri nonviolenti della regione.
Approvata (1 astenuto)Mozioni particolari

OBIEZIONE DI COSCIENZA
Preso atto che la Commissione Difesa del Parlamento, con potere legislativo, quindi senza dibattito in Aula, ha approvato una legge (n. 130 del 2 agosto 2007, recante “Modifiche alla legge 8 luglio 1998, n. 230, in materia di obiezione di coscienza”, pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 194, del 22 agosto 2007), che permette a chi negli anni scorsi ha fatto la scelta del servizio civile sostitutivo delle leva obbligatoria militare, dichiarandosi quindi obiettore di coscienza, di recedere da tale dichiarazione, potendo così fare richiesta del porto d’armi, sia per l’esercizio della caccia che per difesa personale;
pur non volendo impedire a nessun obiettore di rivedere, cambiare, negare la scelta fatta in gioventù,
il Movimento Nonviolento rivendica la centralità dell’obiezione di coscienza ieri come oggi (al punto che ai volontari in servizio civile impiegati nelle proprie sedi propone la scelta dell’obiezione come valore fondante la nonviolenza).
Nella convinzione che l’obiezione di coscienza dovrà essere sempre garantita a coloro che hanno scelto volontariamente di far parte dell’esercito e dovrà essere garantita nell’eventualità del ripristino della leva obbligatoria, per ora solamente sospesa, il Movimento Nonviolento chiede agli Uffici competenti (Ministero della Difesa e Ufficio nazionale servizio civile) di accedere ai dati sulle eventuali rinunce da parte di ex obiettori, al fine di creare un osservatorio su tale fenomeno;
inoltre il Movimento Nonviolento chiede che –in coerenza con la normativa di rinuncia allo status di obiettore- venga (per principio di reciprocità) riconosciuto nel Codice Militare di pace e di guerra la possibilità per i militari di rinunciare in qualsiasi momento, anche nelle missioni internazionali, al proprio status di soldato e quindi poter rifiutare l’obbedienza agli ordini iniqui o comunque in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione italiana.
Approvata (unanimità)

CASA PER LA PACE DI GHILARZA
Il Congresso, preso atto dell’offerta di donazione al Movimento Nonviolento della struttura “Casa per la pace” di Ghilarza (provincia di Oristano, regione Sardegna), dà mandato ai nuovi organi eletti di procedere all’acquisizione della proprietà. Impegna il Movimento a mantenere le finalità di “Casa per la pace” in conformità e nello spirito di quanto contenuto nella propria Carta programmatica. Individua come obiettivo a breve termine la concretizzazione di una propria sede a Ghilarza con lo scopo di radicarsi nel territorio e promuovere iniziative nonviolente. Il Movimento si impegna ad attivare una specifica campagna finanziaria per reperire quelle risorse necessarie al mantenimento di questa nuova struttura.
Premesso che una gran parte della “Casa per la pace” di Ghilarza, tramite lavori di ristrutturazione potrebbe garantire spazi per l’attuazione di progetti innovativi (centro di documentazione, laboratori per attività manuali, parte mussale, ecc.), il Movimento Nonviolento si attiverà per la concretizzazione di possibili proposte finalizzate a consolidare la presenza della “Casa per la pace” a Ghilarza.
Approvata (unanimità)

NO DAL MOLIN
L’ampliamento della base militare di Vicenza, l’aumento delle spese militari destinate agli armamenti, la costruzione di nuove armi offensive di distruzione, ecc., rappresentano scelte criminose e guerrafondaie da sempre contrastate dal Movimento Nonviolento. Pertanto il Movimento Nonviolento si impegna a sostenere la lotta della popolazione di Vicenza contro l’ampliamento della base militare USA e a rafforzarne sempre più le caratteristiche di conduzione nonviolenta. In particolare il Movimento Nonviolento, tramite il proprio Centro e la Casa per la Pace, si impegna a partecipare alla mobilitazione prevista nella città di Vicenza nel mese di dicembre 2007.
Approvata (unanimità)

NO TAV
Il progetto per il “Quadruplicamento della linea Verona-Fortezza di accesso alla galleria di base del Brennero sull’asse ferroviario Monaco-Verona” e per la stessa “Galleria di base del Brennero” costituisce un complesso unitario di grandi opere che fanno parte del cosiddetto corridoio 1 Berlino-Palermo del programma Trans European Network, TEN. Non si tratta di semplici opere di potenziamento, è un vero e proprio progetto TAV/TAC (treni ad alta velocità e capacità) anche se i promotori hanno evitato di usare queste sigle che ormai per il senso comune significano interventi inutili, danni ambientali gravi, costi collettivi enormi, profitti di pochi.
Ci opponiamo a questo progetto:
· per ragioni di politica dei trasporti prima di tutto, e cioè perché (al di là degli altri danni devastanti) è inutile visto che i futuri enormi flussi di merci sono un auspicio dei promotori e non una previsione seria, che la linea storica è ancora largamente sottoutilizzata e non esiste nessuna strategia pubblica per trasferire fin da ora le merci da camion a rotaia (i TIR preferiscono l’autostrada A22 perché i pedaggi sono molto bassi e non per l’assenza di una ferrovia veloce);
· per ragioni sociali, perché le linee ferroviarie TAV (come del resto le grandi arterie stradali di transito) rendono le vallate corridoi per le merci sempre più difficili da abitare, come accade nelle Valli dell’Isarco e dell’Adige;
· per ragioni ambientali, visto che per il tunnel di base del Brennero e le nuove tratte di accesso venti anni di lavori con enormi cantieri causerebbero danni irreversibili alle falde acquifere, al paesaggio, ai terreni agricoli, creando grossissime discariche, grande traffico di camion, aumento drastico di emissioni nocive (scarichi, polveri);
· per ragioni economiche, dato che le opere in progetto (basate su un modello finanziario e gestionale dappertutto in crisi) sottraggono fondi ad attività ben più necessarie ed hanno costi complessivi altissimi (almeno 20 miliardi di euro) che finiranno inevitabilmente per essere pagati solo dalla collettività e non dai realizzatori privati cui, insieme ai loro protettori politici, andranno tutti i vantaggi;
· per gli sprechi energetici, visto che divorerà enormi quantità di energia sia durante i lavori sia ad opere realizzate (una linea TAV consuma il triplo di una linea normale).
Per tutto questo:
– visto che nei territori interessati si sono costituiti o si stanno costituendo dei Comitati di opposizione a quest’opera;
– visto lo splendido esempio della lotta nonviolenta portata avanti dagli amici della Val di Susa grazie anche alla partecipazione attiva di amici della nonviolenza;
il Movimento Nonviolento si impegna, dove vi siano le condizioni possibili, a partecipare attivamente alla crescente mobilitazione di opposizione a questa opera, apportando la nostra aggiunta nonviolenta.
Approvata (1 astenuto)

RIDURRE IL TRAFFICO AEREO
Il Congresso del Movimento Nonviolento
– impegnato nella difesa della biosfera fortemente minacciata dal surriscaldamento del clima;
– consapevole del pesante contributo che al surriscaldamento del clima dà il trasporto aereo;
– cosciente altresì che il trasporto aereo costituisce una forma di mobilità altamente inquinante e devastante per l’ambiente e dannosa per la salute e il benessere delle persone, fortemente energivora, interna ad un modello di sviluppo ecologicamente insostenibile, assai costosa per l’intera collettività locale e l’intera umanità vivente che in larghissima parte neppure ne fruisce;
esprime sostegno ai movimenti che si impegnano per la drastica riduzione del trasporto aereo;
ed in tal ambito sostiene i movimenti e le iniziative che con la scelta della nonviolenza e la forza della democrazia, in difesa della legalità e dei diritti umani di tutti gli esseri umani:
a) si oppongono alla realizzazione di nuovi aeroporti (e all’ampliamento degli aeroporti esistenti) laddove non ve ne sia una vera necessità ma essi siano realizzati per promuovere forme di turismo “mordi e fuggi” legate a una fruizione consumista, alienata, usurante e mercificata dei beni
ambientali e culturali, e ad un’esperienza del viaggiare che non sia arricchimento di conoscenza ma asservimento agli imperativi delle agenzie della narcosi pubblicitaria;
b) si impegnano per la riduzione drastica ed immediata del carico di voli dei sedimi aeroportuali collocati a ridosso di centri abitati già pesantemente gravati e fin soffocati dall’attività aeroportuale;
c) chiedono la cessazione dello sperpero di pubblico denaro per finanziare le compagnie aeree;
d) chiedono che cessino le agevolazioni e le esenzioni fiscali alle compagnie aeree;
e) si oppongono alle condotte gravemente antisindacali e violatrici dei diritti dei lavoratori messe in atto da eminenti compagnie aeree;
f) difendono il diritto alla salute, i beni culturali e ambientali, gli ecosistemi locali e l’ecosistema planetario, i diritti dell’umanità presente e delle generazioni future, minacciati dal dissennato incremento del trasporto aereo;
g) si impegnano per il rigoroso rispetto della legislazione in materia di difesa dell’ambiente, della salute, dei beni comuni;
h) chiedono che tutte le strutture aeroportuali realizzate e realizzande siano sottoposte senza eccezioni alla dirimente verifica della compatibilità con quanto disposto dalla vigente legislazione italiana ed europea in materia di Valutazione d’impatto ambientale (Via) e di
Valutazione ambientale strategica (Vas);
i) si oppongono alle attività militari che violano l’art. 11 della Costituzione e ad ogni ampliamento delle basi aeronautiche militari, e particolarmente alla presenza e all’ampliamento di basi aeronautiche militari di stati stranieri e di coalizioni intese a, o impegnate in, attività belliche che la Costituzione ripudia;
l) promuovono forme di mobilità sostenibile, modelli di sviluppo autocentrati con tecnologie appropriate, scelte economiche ecocompatibili, eque e solidali;
m) promuovono una cultura della mobilità e del viaggio sostenibile, conviviale, solidale, aperta all’incontro e all’ascolto reciproco, rispettosa delle persone e dell’ambiente;
n) si impegnano per la riduzione del surriscaldamento climatico e per la difesa della biosfera.
Approvata (3 astenuti)

RIGASSIFICATORE
Il Movimento Nonviolento conferma il suo sostegno e l’adesione al Comitato contro il rigassificatore off-shore di Livorno e Pisa, per i seguenti motivi:
Questo progetto sarebbe un esempio concreto di una nuova generazione di impianti pericolosi e dannosi per l’ambiente e la salubrità dell’aria;
La realizzazione di questo progetto delineerebbe il mare come un “sito industriale” in uno spazio ambientale di particolare rilevanza, il santuario dei cetacei;
Amplierebbe l’economia violenta nei confronti del Delta del Niger, luogo di partenza della materia prima;
Incrementerebbe il traffico navale di petroliere e gasiere nel Mediterraneo con aumento di inquinanti nell’acqua del mare;
Comporterebbe nessun vantaggio per le comunità locali, sia interne di occupazione e riduzione del costo dei consumi, perché i lavori sono stati appaltati a ditte esterne e il gas liquido, per essere trasformato in GNL ha necessità di un processo costoso, che inciderebbe sulle bollette;
La totale mancanza di partecipazione e condivisione delle comunità locali nella gestione del progetto.
Approvata (1 astenuto)

URANIO IMPOVERITO
Il Movimento Nonviolento si impegna ad approfondire ed informare sulla cosiddetta “sindrome del Golfo” e sulle morti e malattie diffuse tra militari e civili a causa della permanenza nei territori di guerra o nei poligoni di tiro (polveri sottili, uranio impoverito, metalli pesanti, ecc.) e a fare di questo dramma un ulteriore elemento di contrapposizione ad ogni guerra e all’uso di armi i cui letali effetti per il presente e per l’avvenire sono forieri di conseguenze drammatiche ancora sconosciuti per la nostra e le future generazioni.
Approvata (unanimità)

NASCITA SENZA VIOLENZA
“Ogni donna è perfettamente preparata a partorire, come ogni neonato è perfettamente preparato a nascere”. A partire da questa frase di Lorenzo Braibanti, grande amico della nonviolenza, il Movimento Nonviolento si impegna:
a diffondere un pensiero e una pratica di attenzione al momento della nascita nel quale le pratiche dannose comunemente accettate espropriano donne e nuovi nati di ogni soggettività e li sottopongono a violenze di ogni genere: fisiche, psicologiche, relazionali, sociali;
a diffondere informazioni e conoscenze e pratiche sulla nascita senza violenza:
a riconoscere le violenze (posizioni, solitudine, taglio cesareo, ecc.) e le espropriazioni cui sono sottoposte le donne durante il parto in ospedale, come violenze sessuali e di genere;
a lottare contro una medicina che si è sostituita al sapere delle donne e dei nuovi nati;
a riconoscere la nascita come bene comune.
Approvata (unanimità)

VEGETARIANESIMO E ANIMALI
Un aspetto fondamentale della vita delle madri e dei padri della nonviolenza (Maria Montessori, MK Gandhi, Lev Tolstoj, Aldo Capitini, ecc.) è stata la scelta vegetariana.
La violenza nei confronti degli animali (vivisezione, allevamenti, randagismo, caccia, zoo, circhi, ecc.) è enorme. L’invito è ad una seria riflessione (e azione) anche su questi temi, ricordando che l’Associazione Vegetariana Italiana è stata fondata da Aldo Capitini.
Approvata (unanimità)

FIORI DI PACE
Il Movimento Nonviolento, partecipando con alcuni suoi esponenti al progetto “fiori di pace”, intende sostenere ed estendere queste esperienze di incontro e di dialogo fra ragazzi israeliani e palestinesi in Italia e nel loro paese (presentate all’ONU dei Giovani di Terni – 5-6 ottobre 2007) perché sono:
incontri di dialogo fra le differenze
esperienze di gestione nonviolenta dei conflitti
un progetto di pace preventiva (perché far incontrare questi ragazzi ed aiutarli a superare paure e pregiudizi significa aiutarli nel loro sviluppo psicologico per superare la durezza di una realtà insostenibile)
e rappresentano una speranza che nasce da una disperazione.
Pertanto si impegna a sostenerlo e a diffonderlo tramite le proprie reti e strumenti. In particolare adotta il DVD-video “Fiori di pace” come strumento utile alla diffusione della cultura della nonviolenza tra le giovani generazioni, tramite le scuole e i centri di aggregazione giovanile.
Approvata (1 astenuto)

DIRITTI UMANI
Nel 2008 (60° anniversario della Dichiarazione ONU sui Diritti Umani) il Movimento Nonviolento diffonderà, alle Amministrazioni locali, al Governo centrale, al Parlamento italiano, puntuali aggiornamenti sulle violazioni dei diritti umani contenuti nella Dichiarazione ONU, che quotidianamente avvengono nelle nostre comunità locali e a livello internazionale, per le competenze del governo italiano. Diffonderà tempestivamente tali osservazioni, oltre che agli organi di informazione, agli amministratori locali e ai parlamentari affinché possano provvedere a realizzare il rispetto della Dichiarazione ONU per le competenze di ciascuna Amministrazione.
Approvata (4 astenuti)
Gli organi eletti dal Congresso

Dopo l’approvazione della mozione politica generale, delle mozioni emerse dalle sei commissioni di lavoro e delle mozioni particolari, il Congresso ha votato gli organi del Movimento.

Presidente: Daniele Lugli

Direttivo: Elena Buccoliero e Mao Valpiana

Comitato di Coordinamento:
Sergio Albesano
Marco Baleani
Renato Fiorelli
Raffaella Mendolia
Adriano Moratto
Claudia Pallottino
Massimiliano Pilati
Rocco Pompeo
Pasquale Pugliese
Piercarlo Racca
Alberto Trevisan
La comunicazione di massa non esiste.
Danilo Dolci, poeta del fare e del creare.

Di Germano Bonora *

Il 30 dicembre ricorre il decimo anniversario della morte di DANILO DOLCI. Vogliamo ricordarlo con una testimonianza di Germano Bonora, fondatore dell’Associazione Nazionale AMICI di DANILO DOLCI.
Per Danilo la comunicazione di massa non esiste. La giudicava una stridente contraddizione lessicale. Un maledetto imbroglio, ordito dai ceti dominanti. Con l’aiuto di autorevoli amici scienziati aveva approfondito le modalità di attacco dei virus, che colpiscono le cellule degli organismi, distruggendone le difese. Questa medesima tecnica distruttiva vedeva messa in atto, nei modi sempre più subdoli e raffinati, da parte del capitalismo più spregiudicato.
Nel corso dei seminari di studio Danilo non si stancava mai di sottolineare la sostanziale differenza tra il trasmettere unidirezionale e potenzialmente violento e il comunicare, la cui azione implica reciprocità e interattività. Non amava l’abusato termine di massa, derivante dalla stessa voce latina e dal greco antico maza, che corrisponde all’italiano pasta. Teneva molto alla proprietà del linguaggio. Nella nomenclatura scolastica alla parola maestro preferiva sempre educatore; ad alunno, studente; alla militaresca voce classe, quella più semplice di gruppo, unità didattica; a pedagogia, che presuppone il conduttore, la guida, la meno ambigua perifrasi di scienza dell’educazione, di cui era diventato con l’esperienza degli innumerevoli incontri e seminari uno dei maggiori esperti al mondo. Negli ultimi anni era particolarmente indignato per la concentrazione della editoria e delle emittenti radiotelevisive nelle mani di singoli o di gruppi multinazionali. La maggior parte degli editori, con i quali aveva pubblicato dagli anni cinquanta fino agli anni settanta, erano finiti nelle mani di pochi affaristi. Editori-mercanti. Si affidava a piccoli editori attenti alla qualità delle opere: l’Argonauta di Latina, Edizioni Sonda di Torino, Lacaita di Manduria, Rubbettino di Soveria Mannelli e altri. Pochi anni prima della morte Armando Armando pubblicò “Palpitare di nessi” e il corpo poetico selezionato dall’autore sotto il titolo “Creatura di creature” , poiché considerava sia il testo in prosa sia quello in versi poesia per educare, senza essere né didascalica né pedagogica. La parola non ha soltanto valore semantico ma anche etico ed estetico. Usare una parola imprecisa al posto di quella specifica equivale a falsare il senso e quindi a ingannare l’interlocutore. (Falsare deriva dal latino fallere = ingannare).
Pur non essendo un filologo di professione, ha avuto sempre una particolare attenzione al linguaggio. Restava profondamente contrariato quando verificava che anche i dizionari più accreditati registravano impropriamente i verbi trasmettere e comunicare come sinonimi. Il trasmettere denota azione unidirezionale, quale può essere un messaggio pubblicitario. Un colpo di pistola che colpisce il bersaglio è propria del trasmettere violento. Il comunicare, invece, indica reciprocità con altri nella conversazione. Teneva a precisare, tuttavia, che il trasmettere non è portatore di negatività o violenza in sé, ma può diventarlo. Danilo condanna in particolare il trasmettere che tende a sedurre, corrompere, subornare, per sottomettere e dominare gli altri, annientando la libera scelta, la volontà di ciascuno con tecniche sofisticate, quali sono i cosiddetti messaggi subliminali, che arrivano a influenzare l’inconscio.
Aderendo alla Bozza di MANIFESTO l’educatore e filosofo brasiliano Paulo Freire, morto nel 1997, poco tempo prima del Dolci, sosteneva: “La mia esperienza politica e di educatore mi dice che la vita si fonda sulla necessità di comunicare. L’educazione non può prescindere dalla comunicazione: il processo di conoscenza è sociale […], non è possibile conoscere da soli. La conoscenza può avere momenti di trasmissione, purché alimentino la comunicazione. Senza comunicazione non vi è autentica vita”.
Il trasmettere è accettabile soltanto se aperto alla discussione, alla comunicazione maieutica. Per Danilo la struttura maieutica e/o creativa è un vero e proprio antidoto al virus del dominio, la malattia del potere. Creatività e sviluppo sono perciò intimamente connessi. Non si potrà comprendere a pieno la molteplice produzione letteraria, che spazia dalla documentazione dell’attività socio-politico-educativa alla narrativa e alla poesia, se non la si considera connessa con la vita stessa dell’autore. Lo scrivere è di fatto l’altro modo – non meno concreto – di operare di Danilo.
Mario Luzi nella nota introduttiva al corpo poetico dell’Amico osserva: “Non velleitariamente, ma partendo dal vivo della sua esperienza ispirata e civile, Danilo è oggi uno di coloro che ci porta più lontano dall’impasse molto tribolata in cui si è dibattuta la poesia e la cultura moderna”. Siamo ben oltre, dunque, la tradizione letteraria non soltanto italiana ma anche europea, che tendeva ad idealizzare, evadendo dalla realtà effettuale, in cui, invece, Danilo si immerge coraggiosamente, impegnando tutte le sue energie per sottrarre gli oppressi dal mare vorticoso degli abusi e dello sfruttamento politico- mafioso e anche religioso. “Ecco perchè – annota ancora il poeta fiorentino – la sua più matura poesia (la più sua) traduce all’interno del proprio poi e in tutte quante le fondamentali premesse che hanno ispirato la sua vita morale e pubblica: qualificare cioè l’uomo, renderlo conscio e disposto a partecipare; con in più – e non è trascurabile – la manifesta pulsione amorosa e il fervore creativo che erano subiacenti a questa proposta, a questa volontà. La poesia che ci saremmo, con un po’ di immaginazione anticipativa, dovuti aspettare da lui. Il che non esclude che nel corrispondere puntualmente alla sua idea di scrittura dove protagonista non è l’io né il tu ma la scrittura stessa come profondo atto amoroso […] Danilo dava un vitale esempio di sortita dall’arroccamento pur sdegnoso e abdicatorio in cui si era consumato il dramma dell’autore moderno, nel settore dei più variati reagenti ma nell’unico senso di un tradimento subìto o presunto; e dava perfino l’esempio di infrazione della frontiera tra il parlare di suo e il parlare per anonima investitura come necessità interna al linguaggio dato alle ‘creature’ che al pari di ogni altra virtù creata esige a sua volta di divenire creante per forza generativa di amore. Tale sembra a Danilo essere la legge fondamentale del mondo, tanto che si è studiato di portarla nel cuore della società proprio dov’era più refrattaria”.
Occorrevano la sensibilità e l’acume di un grande poeta per intuire a fondo l’assoluta novità dell’opera di Danilo Dolci, il quale – sono ancora parole di Luzi – “sposta il centro dell’autorità da quello che si è sempre ritenuto, appunto, ‘l’autore’ a una effabilità latente e imperiosa che risiede nella lingua come tale”.
In una lettera inviatami pochi mesi prima della morte, Mario Luzi del comune Amico così scriveva: “C’è in Danilo non solo come desiderio ma come convincimento attivo la intersoggettività dell’espressione, più precisamente della scrittura. Per di più la lingua contiene potenzialità creative dalle quali germoglia il giusto e anche il bello del discorso umano, il fecondo”.
Il Dolci riconduce la poesia alla radice greca poiéin, che vuol dire fare, operare, creare. La poesia dolciana non è soltanto creatività ma anche progetto educativo. Il sociologo, l’antropologo, l’operatore sociale, il narratore, il poeta, l’educatore-maieuta sono una cosa sola. Il titolo emblematico della silloge poetica “Creatura di creature” non attiene soltanto alla creatività poetica, ma anche allo sviluppo personale di ciascun uomo in quanto creatura, cioè persona destinata a creare. Mario Luzi con grande onestà intellettuale riconosce a Danilo di aver fatto uscire dall’empasse in cui si trovavano nel secondo dopoguerra la cultura e la poesia non solo nel nostro Paese, ma anche nel resto d’Europa. Nella prefazione al corpo poetico dolciano il poeta fiorentino così scrive: “La poesia suscita sensibilità poetica, e nuova poesia attorno a sé […] Ogni persona è in grado di avere innumerevoli, pur se invisibili, radici che la mettono in comunicazione con il resto del mondo in ogni direzione […] Intelligenza del vivente e incremento della vitalità sono per Dolci simultanei: la poesia è il luogo dove questa simultaneità si esprime simultaneamente”.
La poesia suscita sensibilità poetica e nuova poesia attorno a sé. Ogni persona è in grado di avere innumerevoli, pur se invisibili, radici che la mettono in comunicazione con il resto del mondo, in ogni direzione. Molti testi poetici sono raccolti dalla viva voce della gente meno istruita, di cui si fa fedele interprete. In tal senso lo si può considerare l’Omero dei poveri cristi.* Germano Bonora ha collaborato dal 1980 alla morte con Danilo Dolci, al quale ha dedicato vari articoli su giornali e periodici, come Misure critiche, Azione nonviolenta e Critica liberale, che gli dedicò uno speciale con brani tratti dal libro “Danilo Dolci – testimonianze di ieri e di oggi”, pubblicato in coedizione da Qualecultura-Kurumuny nel 2006; nello stesso anno pubblicò “Attualità di Danilo Dolci – Omero dei poveri cristi” presso le Edizioni Maieutiche di Agropoli.
Il Trentennale delle Edizioni dell’Amicizia
Spettacolare mostra nonviolenta ad Agnone

Il Centro di Spiritualità Nonviolenta ha organizzato ad Agnone un’artistica mostra per il Trentennale delle Edizioni dell’Amicizia (1977-2007). Essa ha avuto luogo nel Teatro Italo Argentino stupendamente allestito per l’occasione. Logo della manifestazione è stato un grande cuore stampato in una cinquantina di manifesti, nel quale erano inseriti articoli sulle EdA e immagini, tra le quali quelle di Gesù e di Gandhi.
Interessante è stata soprattutto l’esposizione dei libri delle Edizioni dell’Amicizia e del materiale relativo alla loro storia e a quella del Centro di Spiritualità Nonviolenta. Non è mancata anche la presentazione di lettere e di aneddoti inerenti alla casa editrice agnonese.
Questa importante mostra, che evidenziava i trent’anni di attività delle Edizioni dell’Amicizia è stata aperta al pubblico il giorno 15 ottobre alle ore 17. Dopo essere stata visitata, diversi oratori hanno preso la parola per illustrare l’evento.
Il moderatore è stato Michele Carosella, che ha ben saputo presentare i relatori e concludere la serata.
In particolare ha letto alcune importanti lettere di solidarietà al Trentennale pervenute da Pasquale Jannamorelli di Sulmona, direttore del periodico “Qualevita”, da Mao Valpiana di Verona, direttore di “Azione nonviolenta”, e di Luciano Benini di Fano, vicepresidente nazionale del Movimento Internazionale della Riconciliazione, ecc.
Per un breve saluto il primo a prendere la parola è stato mons. Domenico Angelo Scotti, vescovo di Trivento.
La prima relazione dal titolo “Le radici delle EdA: Non per profitto o vanità ma per amore”, è stata tenuta da Nicola Terracciano, cofondatore delle Edizioni dell’Amicizia. Egli ha anzitutto ricordato le origini della casa editrice, legate alla particolare amicizia con Remo de Ciocchis. Ha poi spiegato ampiamente il significato del motto delle Edizioni dell’Amicizia, delineando così le caratteristiche di questa trentennale iniziativa editoriale, basata sulla nonviolenza e sul dono. Ha augurato anche che Agnone possa diventare un luogo privilegiato della nonviolenza italiana, avanzando la proposta di chiamarla “città della nonviolenza”.
Ha preso poi la parola Giorgio Palmieri che, avendo come tema Le Edizioni dell’Amicizia nel panorama editoriale molisano, ha evidenziato la storia della editoria molisana e il ruolo atipico che hanno avuto le Edizioni dell’Amicizia nell’ambito di essa.
Era particolarmente attesa la relazione di Amalia Ciardi Dupré, famosa scultrice fiorentina, venuta apposta ad Agnone per onorare il Trentennale delle Edizioni dell’Amicizia. La sua relazione aveva il seguente titolo: “I miei rapporti con Agnone e con le Edizioni dell’Amicizia”. Ella ha prima parlato di ciò che la lega ad Agnone, e soprattutto la presenza delle opere dei suoi avi, Giovanni e Amalia Dupré, nella chiesa di S. Emidio. Poi ha evidenziato i rapporti avuti con le Edizioni dell’Amicizia e come abbia da sempre solidarizzato con i principi di nonviolenza e di spiritualità promossi dai loro libri.
Infine c’è stata la relazione frondamentale di Remo de Ciocchis, che ha ricordato come le Edizioni dell’Amicizia siano state il frutto della profonda amicizia tra lui e Nicola Terracciano. Ha poi fatto un po’ la storia delle Edizioni, precisando come per trent’anni siano stati promossi i valori del bene tramite il mezzo puro e credibile del dono dei libri.
A questo riguardo ha rilevato il considerevole impegno economico e il molto tempo profusi. Si è poi soffermato a spiegare come dalle Edizioni dell’Amicizia sia nato il Centro di Spiritualità Nonviolenta. Ha inoltre rilevato i risultati educativi della diffusione dei libri e anche alcuni loro effetti benefici sul piano sociale. Infine ha delineato quello che sarà il futuro delle Edizioni dell’Amicizia, divenute oggi organo di Stampa del Centro di Spiritualità Nonviolenta.
Nei giorni successivi la mostra è stata visitata dagli alunni delle scuole superiori di Agnone. È stata poi prolungata di un giorno a causa dell’afflusso di altre scolaresche.
L’esperienza del Trentennale ha evidenziato che le Edizioni dell’Amicizia costituiscono un’iniziativa unica nel campo dell’editoria nazionale: pare che non sia mai esistita un’altra casa editrice che abbia per trent’anni istituzionalizzato il dono dei libri, per diffondere i valori della nonviolenza, della pace, della giustizia, della fraternità e della salvezza.
Vedere scritto dietro ad ogni pubblicazione al posto del prezzo la parola “Dono” è un fatto che denota quanto siano grandi la fede nel bene e il disinteresse economico dei fondatori delle EdA.
La pedagogia di Aldo Capitini
tra profezia e liberazione

di Gabriella Falcicchio

Profezia e liberazione: con queste due parole, che non intendono chiudere un segmento, ma segnare due elementi ineliminabili di un asintoto che punta verso aperture e aggiunte infinite, si è voluto intitolare il convegno La pedagogia di Aldo Capitini tra profezia e liberazione, tenutosi a Pienza (Siena) dal 5 al 7 ottobre 2007.
Era il 1956 quando Aldo Capitini rientrò nel mondo universitario, da docente di pedagogia a Cagliari. Una sede decentrata per un personaggio che già aveva mostrato più volte quale e quanta capacità di dissenso era in grado di esprimere; una materia (è ancora presto per chiamarla disciplina) anch’essa di secondaria importanza nel ventaglio dei saperi umanistici, quella che non a caso era definita sulla scorta di G. Gentile “filosofia minore”. In altre parole un Capitini geograficamente e culturalmente messo a un canto, avrebbe dovuto essere tenuto sotto controllo meglio.
Come può immaginare chi conosce questa straordinaria personalità, mai doma e sempre in grado di aprirsi, né la collocazione in Sardegna isolarono l’attività instancabile del Nostro, né la pretesa di relegarlo nell’area pedagogica, che invece diventa il terreno più fertile per tradurre la sua visione del mondo, la teoria della compresenza, in azione praticabile nella quotidianità per realizzare la liberazione. È nell’atto educativo che la punta più alta del passato-presente, per quanto limitato, e la realtà liberata si incontrano, nel maestro-profeta e nel fanciullo, il figlio della festa. Senza questo contatto che porta la generazione adulta ad aprirsi ai nuovi nati vedendoli già pienamente come espressione del futuro e a sostenerli perché fioriscano e possano dare vita a un mondo radicalmente nuovo, “tramutato”, non c’è possibilità di rivoluzionare la storia di secoli. Questo contatto avvia l’educazione. Su queste considerazioni è nata la volontà di tornare ad ascoltare la voce più pedagogica di Aldo Capitini, quella che forse meno è stata valorizzata finora e che pure si è inserita nel dibattito pedagogico del suo tempo con spunti attualissimi – si pensi alla scuola media unica – e non di rado con una capacità profetica che anticipa linee di ricerca recenti – si pensi alla pedagogia interculturale, al dialogo interreligioso e alla gestione creativa dei conflitti – o addirittura ancora inattuali – si pensi alla mancanza di una vera educazione alla cittadinanza nella scuola italiana. Ma si pensi a quanto illuminato e lungimirante lo sguardo dell’educatore Capitini, quando parla dell’amicizia, da praticare e insegnare, con tutti gli esseri viventi. Sono scenari che Capitini sa scorgere e li vede tutti collocati nell’educazione, processo complesso nel quale la partita per un domani liberato dal male può sperare di essere vinta, a patto che gli educatori sappiano, da profeti, riconoscere nei bambini il preannuncio della liberazione.
Capitini dedica tre opere fondamentali all’educazione (L’atto di educare, Il fanciullo nella liberazione dell’uomo, i due voluti di Educazione aperta); riunisce studiosi di tutta Italia per formulare quella che fu la prima proposta strutturata e completa di un’educazione civica della giovane democrazia italiana (L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale); scrive articoli di attualità pedagogica e dissemina tutti i suoi scritti di riferimenti all’educazione. Capitini non fu solo filosofo, non solo pedagogista, non solo animatore culturale e sociale, non solo attivista, ma fu tutto questo insieme; e altro. Pensare di dargli una definizione può servire agli studiosi per orientarsi davanti a una personalità che sfugge, ma rischia di chiudere Capitini in ambiti che non esauriscono la sua essenza e di impedire di andare in profondità, dove tutto il suo pensiero è intimamente interconnesso.
È per questo che nel convegno sono stati presenti accademici appartenenti al mondo pedagogico e studiosi, esponenti del mondo nonviolento, che si ispirano a Capitini nel lavoro quotidiano di dissenso verso la realtà com’è e alimentano il fuoco della pratica nonviolenta; né poteva mancare la voce di chi Capitini l’ha avuto vicino come docente all’università e maestro nella propria professione insegnante. Tre modalità di avvicinarsi al pensiero e all’opera pedagogica capitiniana, perché rimanessero vivi tutti gli spunti che offre il Nostro: l’interpretazione degli studiosi va e deve camminare insieme alla pratica della nonviolenza e alla traduzione concreta della sua pedagogia nella quotidianità educativa. E viceversa.
Il convegno ha voluto riaprire alcune piste di ricerca, cercando di dare più che una visione che si pretendesse esaustiva, elementi di riflessione su alcuni aspetti salienti, anche giovandosi dell’apporto di giovani studiosi: il dialogo interreligioso, la relazione educativa, l’educazione estetica, la visione etica e politica, l’educazione alla cittadinanza, la prospettiva antispecistica, l’amore.

 

EDUCAZIONE
A cura di Pasquale Pugliese
La pace non si studia,
si vive in prima persona

Educare al rispetto di se stessi, degli altri e dell’ambiente, per crescere in pace e promuovere insieme un ambiente di pace.
Questi gli obiettivi di CàPace, il primo centro regionale in Emilia Romagna specializzato nell’educazione alla pace, alla convivenza e allo sviluppo sostenibile, inaugurato nel 2005.
CàPace realizza percorsi formativi e soggiorni residenziali di educazione alla pace sia nelle scuole che ne fanno richiesta, sia presso la propria sede (Pinarella di Cervia), che ben si presta a soggiorni residenziali di uno o più giorni.
Lo sfondo pedagogico di riferimento degli itinerari didattici fa riferimento alle teorie dell’ ecologia profonda, alla psicologia della pace, alla teoria e pratica della nonviolenza ed alle pedagogie della complessità.
Pace dunque intesa nell’accezione nonviolenta gandhiana, ovvero come condizione di vita che realizza la liberazione dalle ingiustizie e dall’oppressione per tutti e come ‘gestione nonviolenta dei conflitti’. In senso nonviolento la pace non è concepita come una condizione di quiete, di assenza ideale di conflitti, ma piuttosto come un processo, una tensione costante e costruttiva che mira alla trasformazione delle condizioni d’oppressione e di violenza attraverso modalità non distruttive che celebrino la vita in tutte le sue dimensioni e che favoriscano l’integrazione di tutte le dimensioni della persona.
Riscoprire una coscienza ecologica, vivere in modo nonviolento, significa non solo ripudiare la guerra e la violenza e fare attenzione agli equilibri dell’ambiente di cui siamo parte, ma significa innanzitutto ripartire da noi, dal nostro esser corpo per partorire un futuro in cui siano riconciliate le violente separazioni tra persona e natura, corpo e mente, anima e materia, razionalità e creatività.
Per queste ragioni gli itinerari didattici di CàPace, più che trasmettere contenuti e valori, sono per loro natura orientati all’azione e al miglioramento della qualità delle relazioni intra ed interpersonali, per imparare a gestire i conflitti e costruire insieme relazioni e ambienti di pace.
Molta attenzione viene data all’utilizzo dei linguaggi analogici e ad alle arti considerate vie preferenziali per risvegliare una coscienza ecologica, per favorire i processi d’integrazione della sfera emotiva, cognitiva, corporea e per promuovere un pensiero non dualistico che a nostro avviso è l’unico autentico antidoto ad una epistemologia violenta.
Gli studenti vengono pertanto coinvolti in prima persona attraverso tecniche di narrazione e di dialogo animato, quali laboratori teatrali, musicali e di creatività artistica, giochi di ruolo e simulazioni, testimonianze di esperti, cineforum, gruppi di discussione, che si accompagnano sempre a momenti di riflessione e rielaborazione.
Le nuove proposte didattiche di CàPace per l’anno scolastico 2007/08 comprendono un qualificato ventaglio di attività formative per le scuole di ogni ordine e grado: spettacoli teatrali di narrazione, soggiorni tematici a carattere residenziale, percorsi didattici sul territorio, corsi di formazione per docenti. Gli argomenti spaziano dalla gestione dei conflitti all’educazione alla mondialità, dalla sostenibilità ambientale alla sperimentazione di nuovi stili di vita.
Novità di quest’anno scolastico è ‘Il teatro della pace’, con spettacoli teatrali di narrazione in cui vengono presentate intense storie di vita in grado di coinvolgere il pubblico e stimolare la riflessione sui temi dell’intercultura, dell’integrazione e dell’emarginazione, della nonviolenza.
Oltre ai percorsi formativi ed ai soggiorni residenziali, CàPace promuove corsi di aggiornamento e formazione per insegnanti, in cui si affrontano non solo le tecniche di animazione e i contenuti teorici, ma le premesse stesse dell’educazione alla pace, scoprendo che essa non è una ‘materia di insegnamento’ (la pace non si studia sui libri di scuola), ma un contesto relazionale positivo che si può insegnare solo vivendolo in prima persona. Ponendo in rilievo la centralità della persona come ‘soggetto di relazioni’, l’educazione alla pace investe tutta l’esperienza educativa e coinvolge tutti i docenti della scuola, a prescindere dalla materia che insegnano. Attraverso una metodologia attiva ed esperienziale, gli insegnanti vengono accompagnati ad espandere le proprie competenze relazionali per migliorare il dialogo con la classe, con i colleghi e nella vita personale ed a scoprire come la competenza educativa possa aiutare il ragazzo e la ragazza a sviluppare le abilità che aiutano a gestire positivamente i conflitti.
Valentina Tosi
CàPace – Centro di Educazione alla pace, alla convivenza e allo sviluppo sostenibile
c/o Casa vacanze Baciccia, viale Abruzzi, 88 Pinarella di Cervia (Ravenna)
Per informazioni e prenotazioni:
Numero Verde: 800.855811
(dal lun al ven: 10-13 e 15-18)
E-mail: capace@lalumaca.org
www.capace.org

 

ECONOMIA
A cura di Paolo Macina
La tecnologia militare italiana
che tutto il mondo ci invidia

Savona, 21 settembre, ultimo giorno d’estate. Il cacciamine Alghero, solitamente di stanza a La Spezia, approda nel porto civile con l’intenzione di passare un week-end di riposo. L’equipaggio pensa però, con il consenso delle autorità superiori, di non sprecare tempo inutilmente, e si mette a disposizione della popolazione per alcune visite. Passo casualmente da quelle parti e la tentazione è troppo forte: complice anche la giornata di splendido sole, si crea quasi una piccola coda per accedere sul ponte, dove ci attende sorridente il comandante.
Con tono dimesso, il giovane ufficiale ci illustra le caratteristiche del mezzo, quasi completamente costruito in vetroresina per evitare spiacevoli contatti con mine a caccia di scafi d’acciaio. Costruito nel 1993 dalla Intermarine, è dotato di camera iperbarica per i sommozzatori che vi prestano servizio e di un sofisticato sistema antincendio per scongiurare i pericoli derivanti dal trasporto, in giro per il Mediterraneo, di decine di chili di tritolo utilizzato per innescare gli ordigni avvistati.
Il comandante illustra con orgoglio l’attività sua e dei 50 militari che abitualmente dimorano nella barca. Racconta che ormai il lavoro nei mari Ligure e Tirreno è quasi inesistente, se non fosse per qualche collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali utile a recuperare relitti o individuare reperti archeologici. Ma in compenso ha avuto un notevole sviluppo l’attività nell’Adriatico e nello Jonio, grazie alla guerra nella ex-Jugoslavia. Non solo per l’intensa attività di spargimento di mine da parte dei vari eserciti coinvolti nel conflitto: durante l’intervento della Nato, i caccia dell’alleanza partivano dalla base di Aviano carichi di bombe che, a volte, non riuscivano a scaricare completamente. Per evitare quindi un atterraggio pericoloso, si disfacevano del carico avanzato, affondandolo al largo delle spiagge croate ed italiane, come più volte denunciato dai pescatori d’alto bordo, che si trovavano le reti squarciate.
La tecnologia italiana nel campo dei cacciamine è di rilevanza mondiale. Il più grande produttore privato è il gruppo Rodriquez-Intermarine, che nonostante il nome spagnoleggiante ha sede in Italia. Azionista di maggioranza risulta la società IMMSI, la stessa che possiede il gruppo Piaggio, storica azienda di vespini e ciclomotori di recente tornata in borsa con successo. E maggior azionista di IMMSI, nonché alfiere del salvataggio della ditta di Pontedera, osannato dalla stampa economica di mezza Europa, è Roberto Colaninno da Mantova, che dopo aver provato l’avventura di Telecom Italia, ha investito in questo modo i denari provenienti dalla vendita del gruppo telefonico a Pirelli.
I cantieri Rodriquez prima dell’arrivo di Colaninno se la passavano abbastanza male: ora, con un portafoglio ordini di 350 milioni di euro solo nel settore della difesa, le cose sono cambiate. Con l’acquisizione del contratto per la Finlandia, salgono a sette le Marine (nigeriana, malese, italiana, Usa, australiana e thailandese) alle quali Intermarine ha fornito 38 cacciamine negli ultimi vent’anni, direttamente o tramite licenza concessa a partner esteri.
Unico inciampo, la nota legge 185/90 e la conseguente campagna Banche Armate, che ha reso difficile trovare un finanziamento. Come denunciato pubblicamente dallo stesso Colaninno, a finanziare la commessa finlandese sarà una banca francese, perché nessuna delle banche italiane consultate si è resa disponibile per sostenere gli investimenti.
Intervenuto al famoso convegno organizzato ogni anno a maggio dall’Aspen Institute a Roma, in compagnia dei massimi vertici militari, l’imprenditore della “razza padana” (la denominazione è addirittura di Massimo D’Alema) ha confermato l’interesse per lo sviluppo del settore militare dei cantieri di sua proprietà, sperando magari anche in qualche italica commessa. Sempre che la campagna contro i finanziamenti alla produzione ed al commercio di armi non metta i bastoni tra le ruote. Noi invece non possiamo che rimanere soddisfatti dell’ennesimo esempio di come una legge ben fatta riesca a produrre risultati concreti e misurabili. Rimane sospesa solo una domanda: riuscirà la campagna Banche Armate ad influire anche sull’operato della banche straniere, che sempre più sostituiscono quelle italiane in questo controverso settore? Il recente consolidamento del sistema bancario italiano, che ha permesso ad alcune di loro di assumere posizioni di rilievo nel nostro paese, rende ancora più urgente la risposta a questa domanda.

 

PER ESEMPIO
A cura di Maria G. Di Rienzo
Riesumare i resti dei cadaveri
delle vittime per guarire i vivi

Sin dal 1984, l’Equipe Argentina di Antropologia Forense (EAAF) ha applicato le proprie tecniche scientifiche all’indagine sulle violazioni dei diritti umani. L’EEAF non si limita a riesumare i corpi per stabilire le cause della morte ed identificare le vittime, ma assiste i parenti di queste ultime nel processo di recupero. Il lavoro del gruppo contribuisce alla ricostruzione storica di atrocità che i governi tentano di nascondere, minimizzare o negare, producendo l’evidenza legale necessaria ai tribunali per dar via ai procedimenti. La fondatrice Mercedes Doretti, nativa di Buenos Aires, ha dato vita al gruppo inizialmente per riscavare i corpi delle persone uccise durante la dittatura militare in Argentina, contribuendo a portare alcuni generale di fronte alla giustizia. Due suoi amici “scomparvero” in quel periodo (1976/1983), e la sua intera famiglia aveva ricevuto minacce di morte. Presto l’impegno ha però portato “Mimi”, come tutti la chiamano, in giro per il mondo. Dal 1986, l’EAAF ha infatti lavorato in Cile, Bolivia, Paraguay, Brasile, Venezuela, Perù, Colombia, Salvador, Guatemala, Panama, Honduras, Haiti, Filippine, Romania, Croazia, Kurdistan iracheno, Etiopia, Polinesia francese e Sudafrica. In tutti questi casi, è stata la società civile dei vari paesi a richiedere l’intervento dell’Equipe.
La peggior esperienza, racconta Mimi, è stata il riesumare le vittime del massacro di El Mozote, in Guatemala, avvenuto durante la guerra civile: la squadra ha districato una pila di 140 corpi allacciati insieme, fra cui 34 bimbi ed una donna incinta, persone che erano state ammassate in una piccola stanza e su cui poi era stato aperto il fuoco: “Ritrovare i resti dei propri cari non cancella certamente il dolore del passato, ma è una parte significativa del processo di guarigione, ed una forma di riparazione cruciale. Dovunque abbiamo lavorato, abbiamo potuto testimoniare l’incredibile sofferenza e paralisi che la “scomparsa” di una persona produce sui suoi familiari. Ritrovare i morti, sapere come sono morti, è un bisogno di queste famiglie e come forma di riparazione non dovrebbe essere meno importante degli indennizzi economici. Ogni nuovo governo che si insedi dopo un conflitto dovrebbe impegnarsi a far chiarezza sul passato e la comunità internazionale dovrebbe assisterlo lungo il cammino. Per noi, le famiglie degli scomparsi sono la priorità principale. Perciò prima di dare l’avvio a qualsiasi indagine sul campo le incontriamo, ascoltiamo le loro storie, chiediamo dettagli sui singoli casi, e siamo sempre assolutamente onesti con loro su ciò che è possibile fare e ciò che non lo è. Ogni risultato che otteniamo viene comunicato simultaneamente alle famiglie ed ai tribunali e, ove siano presenti, alle Commissioni per la verità e la giustizia.”
Le difficoltà ci sono, com’è ovvio. Mercedes Doretti dice che molte dipendono da quanto potere hanno ancora i perpetratori dei crimini o i loro sostenitori. Intimidazioni e minacce, sul gruppo e sulle famiglie degli scomparsi, sono comuni, soprattutto ove si stia tentando di mantenere la questione il più possibile “locale” e nascosta, senza che un’ong internazionale come l’EAAF ci ficchi il naso. Altre difficoltà concernono i metodi di indagine effettuati precedentemente il loro intervento: “Vi è la tendenza a concentrare gli sforzi sull’evidenza genetica, ma il problema di questo approccio è che non riesce a dare un quadro completo e può essere complicato da svariati fattori, conducendo ad un’identificazione fallace. Noi tentiamo di usare un sistema olistico, una visione a lungo termine di come procedere nel disvelare la verità, in modo accurato, e ciò comprende il provvedere ad altri tutte le conoscenze che abbiamo acquisito negli anni. Nei luoghi in cui ci rechiamo istruiamo quante più persone possibile: il nostro successo, nel tempo, dipende anche da quanto forte è la comunità medica ed antropologica locale nel portare avanti il lavoro. Naturalmente stiamo ben attenti a considerare in che rischi li mettiamo, perché noi abbiamo il lusso di potercene andare e i nostri colleghi possono invece dover restare nel mezzo di gruppi ostili o pericolosi, che non vogliono veder proseguire il loro impegno. Perciò restiamo costantemente in contatto con tutte le persone con cui abbiamo lavorato.”
Nel 2002, Mercedes ha prodotto un documentario sull’attività dell’Equipe, il cui sottotitolo è: antropologia forense e indagine sui diritti umani. Se volessimo chiederle perché fa quel che fa, è il titolo del film a darci la risposta: “Camminando sui passi di Antigone.”

 

GIOVANI
A cura di Elisabetta Albesano – elisabetta251@virgilio.it
Diritto di ascoltare, di conoscere,
diritto di capire, diritto di parlare

In questo numero vi proponiamo l’esperienza dei campi estivi organizzati nei precedenti sette anni dai Giovani delle Comunità Cristiane di Base italiane.
Si contano sulle dita delle mani i giovani delle comunità di Base che partecipano alle attività da quando erano piccoli. Tra questi ci sono anche io. Eravamo pochi e spesso questo non suscitava in noi la voglia di fare tra di noi i discorsi “dei grandi”. Poi tutto è cambiato.
In occasione del XXVI Incontro Nazionale delle CdB del 2001, a Chianciano, i “grandi” hanno pensato di organizzare uno spazio particolare per noi giovani, aprendo le porte a tutte le realtà e a tutti i singoli giovani che avessero voglia di confrontarsi su temi di fede e non, cosa spesso impossibile per moltissimidi noi, data la scarsità di proposte nelle nostre città.
Il successo dell’iniziativa ha evidentemente montato la testa al gruppetto di adulti che si era preso carico dell’iniziativa spingendolo ad “osare” ancora di più: l’organizzazione a titolo puramente sperimentale, per il settembre dello stesso anno, di un “Campo” nazionale per le/i giovani, tenutosi a Rocca di Papa, vicino Roma, e per questo battezzato “POPE ROCK CAMP”, anche se il titolo ufficiale era “IL G8 E LA FORMICA”. Il tema affrontato ha suscitato in tutti i presenti molto interesse, e la voglia di… farlo ancora!! E con “farlo” intendo trovarsi, tra giovani, con tante esperienze diverse o simili alle spalle, e confrontarsi, su temi grandi o piccoli, ma che sentiamo vicini e importanti per la nostra realtà.
A quel primo storico campo sono seguiti “IO, JEKYLL E Mr.HYDE”, “PAROLE, NOTE, VITE RIBELLI”, “CAMMINANDO SI APRE CAMMINO” (campo a suo modo storico per la decisione dei presenti di passare da una forma di “vicinanza” alle CdB ad una di appartenenza vera e propria), “VIOLENZA & VIOLENZE”, “LA LEPRE E LA LUMACA” ed il recente RIGHTS CAMP (i Diritti che ci interrogano) un tema che ci è sembrato d’obbligo in vista della “Settimana della Pace e i diritti umani 2007 “ e che ci è servito per preparare la nostra presenza cosciente e determinata all’ONU DEI GIOVANI di Terni e all’ultima “marcia per la pace Perugia – Assisi”, il cui tema era appunto, “TUTTI I DIRITTI UMANI PER TUTTI”, convinti come siamo che i diritti, dagli ambiti locali a quelli universali, richiedano non solo di essere riconosciuti, ma ancor più di essere difesi e promossi nel tempo da ogni singolo cittadino consapevole della loro fragilità.
A questo grande evento abbiamo voluto comunicare la nostra presenza a chi camminava accanto a noi per dire a chiare lettere quello che forse troppo spesso abbiamo lasciato sottointeso… vogliamo che ci venga garantito il diritto ad essere giovani, cioè il diritto ad ascoltare, a conoscere, a capire, a parlare! Quello che ci impegniamo a fare quando ci incontriamo è proprio questo: parliamo e discutiamo di vari argomenti sui quali raramente abbiamo occasione di scambiare opinioni nella vita quotidiana, come l’impegno nel sociale, la religione, la sessualità e il rapporto col nostro corpo e il diritto alla felicità, l’emarginazione, il rapporto tra chiesa e potere, la laicità… e spesso ci facciamo raccontare esperienze ed opinioni da chi ne ha fatto esperienza prima di noi e ha voglia di incontrarci per farne con noi memoria viva.
Inoltre, si è pensato di aprire delle pagine web di contatto, che poi sono divenute di sintesi, poi di dialogo, poi di cultura giovane… “OLTRE…”, www.cdbgiovani.it, insomma!
Claudia Ferrari

 

MUSICA
A cura di Paolo Predieri
Ligabue pianta foreste in Costa Rica
per battere l’inquinamento dei concerti

Qual è l’impatto ambientale di un prodotto musicale, quanta energia richiede, quanti rifiuti produce in fase di realizzazione e in fase di esecuzione un dato tipo di musica? Ligabue evidentemente si è posto il problema e ha prima sostenuto il ”Live Earth” del 7 luglio scorso, il grande appuntamento musicale per l’ambiente promosso da Al Gore, reinterpretando una delle canzoni più ecologiste dell’intero repertorio italiano: ”Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli, poi ha pensato di dare un segnale ancora più concreto. Il rocker di Correggio non è nuovo alle iniziative ecopacifiste, vedi “Il mio nome è mai più” e l’appoggio esplicito dato ad Emergency. “Quando si fanno tour si inquina. Abbiamo fatto fare rilevazioni – ha detto Ligabue – e abbiamo visto quanta CO2 produciamo e di conseguenza pianteremo tante piante corrispondenti al livello di anidride carbonica prodotta per la tournée. Utilizzeremo anche apparecchiature a idrogeno, così inquineremo il meno possibile”.
Si è così concretizzato il progetto del tour a “Impatto zero” che ha compreso 14 concerti fra Roma e Milano nei mesi di novembre e dicembre. La Lifegate spa di Marco Roveda, applicando gli intenti del Protocollo di Kyoto, ha studiato come ridurre le emissioni di anidride carbonica e le ha calcolate su tutto il tour in 592.511 kg di CO2. Per compensare questa emissione, Ligabue si è impegnato a far piantare 152906 metri quadri di foresta in Costa Rica. Gli spettatori avranno la garanzia di aver partecipato a un evento senza alcun impatto ambientale e contribuiranno a loro modo a piantare semi per salvare il Pianeta dalla desertificazione.
Se questo è il primo caso che solleva il problema a grandi livelli cercando di trovare una soluzione, non è però una novità che artisti ed eventi musicali abbiano voluto sottolineare un impegno ecologista proprio con l’attenzione ai materiali e alle tecnologie utilizzate: pensiamo ai dischi confezionati con attenzione al rispetto per l’ambiente, come quelli dei Pooh a sostegno del WWF con copertine in carta e cartoncino riciclati (“Oasi” e “Il cielo è blu sopra le nuvole”, ad esempio) con involucri per i cd che hanno ridotto al miniamo la plastica (qualche esempio che mi capita fra le mani: “Sporco mondo” di Grazia De Marchi, “Contact from the underworld of redboy” di Robbie Robertson e “Per fortuna c’è il cavaliere” di Fausto Amodei… ). Nel 1994 Greenpeace ha pubblicato il cd “Alternative NRG” ( = energia alternativa) con la registrazione di un concerto dal vivo alimentato esclusivamente con un generatore solare: 16 canzoni interpretate, fra gli altri, da U2, Sonic Youth, UB40, Rem, Annie Lennox con chitarre e altri strumenti elettrici per dimostrare che l’attenzione per l’ambiente e il divertimento non sono in contrapposizione. Qualcuno ricorderà forse nell’87 i concerti a sostegno del referendum antinucleare, in diverse piazze italiane, amplificati con un impianto alimentato ad energia solare portato in giro per l’Italia da un gruppo austriaco. Anch’io allora ho avuto l’opportunità di cantare e suonare a Trieste e Milano: in quei casi, durante il giorno veniva immagazzinata l’energia che permetteva poi di amplificare e illuminare il concerto serale. Anche questo un bel segnale concreto e non solo ipotesi lasciate a mezz’aria..

 

CINEMA
A cura di Enrico Pompeo
Un paese tra orrore e folclore
dove il disumano impera

Titolo: L’amico di famiglia

Regia di Paolo Sorrentino, Italia, 2006
Durata: 110 minuti. Genere: drammatico
Con: Giacomo Rizzo, Laura Chiatti, Fabrizio Bentivoglio

Brutti, sporchi e cattivi. A trent’anni dal film che vide protagonista un Manfredi mai così sgradevole il cinema nostrano sforna negli ultimi tempi protagonisti dai tratti spesso ripugnanti, spesso deformi o attratti dal deforme.
In questa nostra storia, sugli sfondi alla De Chirico di una città fantasma dell’Agro Pontino va in scena, attraverso le immagini e i simboli dell’ultimo film di Paolo Sorrentino (napoletano, classe 1970), la discesa agli inferi di Geremia dè Geremei, personaggio interpretato dal bravissimo e ai più sconosciuto Giacomo Rizzo (era il Rigoletto dell’overtoure di 900 di Bertolucci), vecchio, brutto e sporco usuraio in uno scenario che pesca a piene mani nella cronaca e nella sociologia dei nostri anni.
Sorrentino, dopo il successo del precedente Le conseguenze dell’amore (2004), conferma di essere uno dei pochi cineasti italiani dotati di un senso cinematografico non solo nazionale ma europeo, oltre a dimostrare anche stavolta di possedere un talento visionario di una potenza inaudita e di saper manovrare la macchina da presa da vero artista originale e mai banale.
Come faceva Bunuel nella sua prima fase del periodo messicano, il giovane regista napoletano utilizza la sua creatura mostruosa per sviluppare una storia che ci mostra quanto siano mostruosi i normali nel loro quotidiano, e lo fa attraverso il rapporto tra l’usuraio e le sue vittime: giovani coppie che si indebitano pur di permettersi accessori domestici di alta tecnologia, donne mature che ricorrono alla chirurgia estetica, ragazzotti che desiderano comprare titoli nobiliari, genitori che necessitano di organizzare un matrimonio all’altezza, anziane con il vizio del gioco del bingo, giovani aspiranti veline e desiderose del circo mediatico.
Ecco la vera denuncia del film: la condanna del consumismo e dell’idiozia che porta i “normali” a rivolgersi al “mostro” per ottenere prestiti necessari a realizzare desideri totalmente superflui ma trendy, di quelli che nella generalità dei casi appartengono alle fasce sociali che i media ci propongono come vincenti, e perciò da emulare. Sarebbe molto più semplice e conveniente desiderare ciò che si trova grosso modo sul proprio livello ontologico, o poco distante; un modello di vita più sobriamente equilibrato sarebbe più intelligente e forse perfino potenzialmente foriero di maggiore felicità, o di minore infelicità.
Ma il consumismo di massa vuole diversamente, ed ormai il sistema bancario col suo enorme potere si basa sempre più sulla ferocia del prestito al consumo, facendo concorrenza spietata all’usuraio del film sia per rapacità che per disumanità.
L’opera di Sorrentino, tecnicamente spiazzante, dovrebbe essere utilizzata come supporto e sostegno per analisi sociologiche del nostro belpaese, sempre più mediocre ed arruffone, regno di egoismi e dominato completamente dal consumismo e dalla mercificazione e dove anche l’amore diventa appunto una merce di scambio.
E’ una società corrotta fin dalle sue fondamenta ed il percorso del film ci lascia scaricare la nostra buona coscienza addosso al protagonista ma poi… “il mio ultimo pensiero sarà per voi” sembra dirci il regista riferendosi a tutti gli altri “normali” che circondano Geremia e che più in generale popolano la nostra Italietta.
Oltre allo strepitoso protagonista (altro grande merito del regista quello di averlo “pescato” quasi dal nulla) Giacomo Rizzo, meritano applausi il sempre bravo Fabrizio Bentivoglio in versione country e la giovane Laura Chiatti, bellissima e spietatissima nel ruolo della bella principessa che bacia il brutto rospo…
Stefano Romboli

 

LIBRI
A cura di Sergio Albesano – sergioalbesano@tiscali.it

A. PALINI, Voci di pace e di libertà, Editrice Ave, Roma 2007, pagg. 336, euro 14.

Il saggista Anselmo Palini è in libreria con il suo ultimo lavoro, Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi, che reca l’autorevole prefazione del giornalista di RaiUno Paolo Giuntella.
Con il frutto delle sue minuziose ricerche storiografiche lo studioso cattolico dimostra come il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle abbia non solo il volto inumano e violento dei gulag e della shoah, ma anche e soprattutto il volto di chi in tali contesti ha cercato di resistere e di affermare il proprio diritto alla libertà e di chi ha condannato la sopraffazione e ha manifestato un desiderio di pace.
In questa sua opera Palini parla di alcuni di loro: Anna Achmatova, la scrittrice russa che con il poema lirico Requiem ha dato voce al dramma delle madri e delle mogli di quanti in Russia erano stati ingiustamente incarcerati dal potere comunista; i tredici docenti universitari che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo perdendo così la propria cattedra e rimanendo senza lavoro; Josef Mayr-Nusser, il giovane altoatesino dirigente di Azione Cattolica e presidente della Conferenza di San Vincenzo che si rifiutò di giurare fedeltà al fuhrer pagando questa scelta con la vita; Etty Hillesum, la giovane ebrea che nell’inferno della shoah seppe riscoprire Dio e affermare la bellezza della vita.
Il libro intende togliere dall’oblio questi personaggi che hanno avuto la forza di dire no alla tirannide e di resistere al male, mantenendo acceso un piccolo lume nel buio della notte.
Proseguimento ideale del cammino intrapreso dall’autore con il precedente Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni (uscito sempre per la Ave nel 2006, con prefazione di Franco Cardini), in questo volume il filo rosso che collega i personaggi presentati è ancora una volta il tema della testimonianza ossia della fedeltà a valori e princìpi che si ritengono assoluti e non negoziabili.

Flavio Marcolini

 

LETTERE

Sconfitto l’ambientalismo con
il Nobel per la pace ad Al Gore

L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace ad Al Gore, in considerazione del suo impegno per l’ambiente, rappresenta una sconfitta dell’ambientalismo. Chi scrive ha seguito la vicenda politica di Gore sin dagli anni ottanta. Soprattutto tra il 1991 e il 1992 quando il senatore del Tennessee si candidò a Vice Presidente di Clinton. Rimasi colpito dal suo impegno ecologico. Sebbene nemmeno io fossi entusiasta delle posizioni di Gore gli ambientalisti di allora mi criticavano perché – dicevano – non capivo quanto egli fosse pur sempre un conservatore. Coloro che mi criticavano per la fiducia che avevo riposto in “Un Verde alla Casa Bianca”, quindici anni dopo osannano Gore come se fosse un vero innovatore. La realtà è che l’ambientalismo è stato omologato al regime e al sistema. Dal 1992 si sono fatti solo passi indietro come dimostrano le posizioni di Verdi e Legambiente, un ex Presidente della quale è oggi uno dei massimi fautori del nucleare!
Il problema del Nobel sta nel fatto che Gore non è un ambientalista. È un onesto conservatore attento all’ambiente. Propone tecnologie meno inquinanti, ma non ha mai speso una parola contro la crescita e il modello di sviluppo. Questa critica sarebbe la vera discriminante tra un ambientalismo opportunisticamente conservatore e il tentativo di proporre qual cosa di davvero utile.
L’ex Vice di Clinton è in ottima compagnia. Poiché l’opinione pubblica s’è accorta dell’emergenza ambientale, sono in molti oggi a cavalcare la moda ecologica. Ma quasi nessuno spende una parola forte sulla necessità di ridurre il consumo e adottare stili di vita diversi con ampie conseguenze anche sulla politica.
Né si può dimenticare che Gore non perse le elezioni del 2000 solo per i presunti brogli su cui oggi si pone l’accento. In realtà perse anche perché alla corsa per la Presidenza degli Stati Uniti si presentò Ralph Nader a capo di un movimento Verde. Nader si candidò poiché la piattaforma elettorale di Gore era clamorosamente carente sotto il profilo della tutela ambientale. Gore preferì affidarsi ai sondaggi – che non attribuivano un seguito significativo alle istanze ecologiste – anziché seguire le sue convinzioni che sono certamente sincere, ma evidentemente deboli e secondarie rispetto alla sua ambizione politica. Se Gore avesse vinto il Nobel nel 1992, la cosa avrebbe avuto un senso. Nel 2007 dimostra solo il conservatorismo e la dipendenza politico-lobbistica dell’Accademia scandinava. Allora meglio Bush di Gore, così almeno il nemico è chiaramente identificato? No, anche l’equivoca attenzione di Gore e di quelli come lui, può innescare un processo di cambiamento. Ma sia ben chiaro che le posizioni di Gore sono di retroguardia e non si può rimandare un impegno più onesto che consiste anche nello smascherare i falsi ambientalisti.

Corrado Poli
Padova

Di Fabio